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PROCESSO A GIOVANNA D'ARCO regia di Robert Bresson

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Ciumi     8½ / 10  09/01/2012 20:36:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'isolamento imposto da Bresson alla sua Giovanna d'Arco è totale: le linee inflessibili degli ambienti squadrati, i volti magri di pietra dei processanti (isolati a loro volta uno per uno in inquadrature granitiche), le incitazioni lapidarie di morte di una folla invisibile e l'occhio a metà tra inquisitorio e feticista al di là della parete.

La ricostruzione meticolosa e scarna del processo ritrae una Giovanna razionale, impenetrabile, in contrasto con la visionarietà mistica dell'eroina. La porta della cella, che diviene passaggio di un via vai di sordidi interrogatori, rimane socchiusa come a indicare l'impossibilità di una fuga (il pessimismo bressoniano dai tempi del "Condannato").

Il processo è chiuso tra i ferri di una musica martellante e funebre che s'interrompe durante tutto il suo svolgimento, tra le mani (senza volto) sulle spalle degli inquisitori nell'incipit e il silenzio delle fiamme nel finale: le presenze umane scompaiono e il raffronto rimane quello tra la croce avvolta nel fumo e il monito del tronco arso e spoglio con cui il film si chiude.
Marco Iafrate  10/01/2012 22:11:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il Kowa giù in basso lo considera secondo alla Giovanna d'Arco di Dreyer per importanza, lo è anche per bellezza, e lo dico pur essendomi, questo di Bresson, piaciuto tantissimo. La passione di Dreyer è inarrivabile, un capolavoro senza tempo, una Falconetti da antologia del cinema.
Ciumi  14/01/2012 13:31:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Marco, i due film hanno in comune una struttura a loro modo severa, però trovo difficile farne un confronto. L’aspetto che li differenzia di più sta proprio nella recitazione: Dreyer la mette al centro del film ed è enfatica, Bresson invece impone come al solito alla sua attrice di non recitare.