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LA DONNA DI SABBIA regia di Hiroshi Teshigahara

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Ciumi     9 / 10  09/03/2010 17:33:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ecco un film veramente kafkiano: ritroviamo qui, rilette da due autori orientali, le stesse atmosfere claustrofobiche e opprimenti, quelle situazioni assurde, i vertiginosi ribaltamenti che catapultano la dimensione terrena in quelle metafisica.
Il protagonista è innanzitutto un entomologo, un ricercatore dunque saldamente radicato in una realtà scientifica: studioso del piccolo, infinitesimo, minuzioso, già enigmatico mondo dalle forme molteplici. Ma più vasto e meno definito è il mistero che incontra nel deserto: l’osservatore diventa l’osservato; l’uomo - l’Io fuori dalla moltitudine - l’insetto da analizzare.
Il luogo è d'altronde tutta una costruzione metafisica. Nei suoi spazi sconfinati transitano, non decifrabili sino in fondo, diversi simboli: come il mezzo che conduce alla metropoli e alla civiltà: esso viene perduto, dando il là ad un’obbligatoria e imprevista deviazione.
Vediamo il deserto trasformarsi in una desolante periferia informe; coi i suoi abitanti – reietti, zotici, cinici indigenti – i suoi codici e le sue leggi; dove l’uomo moderno sprofonda, impegnato da incessanti insabbiature, continui crolli, frequenti infiltrazioni. La sabbia ha la sua fossa, la sua tana, il suo luogo famigliare; che introduce nuovi doveri e dove dentro si cova un’oscura concupiscenza: la donna è, assieme, compagna e nemica.
Qui l’individuo prova la sete e la fatica, mentale e fisica, e riscopre nell’ingegno una nuova forza da affiancare ai propri impulsi primitivi di sopravvivenza: non gli resta che da scavare, per trovare un’acqua infondo al nulla arido e surreale.
C’è nel finale forse la riscoperta di una dignità del vivente; forse una disperata presa di posizione, di fronte alla perdita della propria identità nel centro della mostruosa società moderna, da parte dell’uomo emarginato. Ma non è un film che davvero si lascia analizzare.