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IL CAPPOTTO regia di Alberto Lattuada

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)     10 / 10  19/10/2012 22:41:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il genere fantastico in Italia non è mai stato approfondito al cinema come nella letteratura ma IL CAPPOTTO sa essere un valido concorrente insieme a LA CORONA DI FERRO del genere a livello internazionale. Un film che ha ancora le influenze del neorealismo ma che sa uscire da esso percorrendo nuove strade, un film che tocca la commedia e il dramma ma che mantiene i suoi toni fantastici, specialmente nell'ultima parte del film.
Lattuada è uno dei maggiori registi italiani della storia che ha saputo affrontare diversi generi altalenandosi fra commerciale e cinema d'autore ma la pellicola che ho amato di più è sicuramente questa, una pellicola che vede protagonista il sottovalutato attore Renato Rascel, che grazie alla sua capacità di mutare personaggio con interpretazioni di spessore Policarpo, De Carmine, ...) dovrebbe essere messo al pari di attori come Mastroianni, Tognazzi, Gassman. Un Rashel qui nei panni di De Carmine, un pover uomo che non chiede altro che rimettere a posto il suo cappotto tutto rattoppato e per ottenere il denaro necessario si farà calpestare la propria dignità, diventando un po' lo zimbello dei colleghi, un uomo che esprime tenerezza, un uomo con una certa dose di innocenza e di ingenuità, un uomo in pena che chiedeva solo giustizia per il suo cappotto, fonte di tanto dolore. La furbizia di Lattuada o meglio dello scrittore Gogol da cui è tratto il film ("La mantella") sta nel non trasformare questo ometto per bene in un assassino spietato proveniente dall'oltre tomba, infatti contrariamente a quanto ci si aspetta il fantasma di De Carmine mantiene il suo candore e questo rende il personaggio finale la perfetta reincarnazione del leggendario fantasma, quello con le catene che vaga disperato nelle strade desolate della città da qui all'eternità, tormentato da quel suo cappotto che tanto aveva desiderato e amato. Un capolavoro che sa toccare il cuore, una storia triste ma con un'umanità che rare volte si è vista al cinema, una storia che sa essere anche una tagliente denuncia, perchè no attuale, di una politica che pensa ad abbellire la propria immagine ("deve essere tutto perfetto per l'arrivo del santo padre") e non si degna di capire i veri problemi dei propri cittadini (i due compassionevoli e quasi comici pensionanti che continuano a chiedere una pensione più alta, "so stato in guerra, sa"), Non ci si stupisce se De Carmine impazzisce dalla disperazione e decide di porre fine alla sua povertà e alla sua tristezza: ha lottato "tutta la vita" per ottenere quel cappotto così bello che in un secondo gli è stato portato via, un colpo insostenibile per un uomo che viveva in una situazione di insoddisfazione generale data dalle continue martellate provenienti da una società in cui l'indifferenza rivolta a tutte quelle persone non appartenenti all'elite vengono derise pubblicamente ignorando ogni forma di giusnaturalismo. Il film nella sua drammaticità sa essere piuttosto sarcastico, l'emblema del film che lo rappresenta è forse un'inquadratura che la maggior parte della gente ha sfortunatamente dimenticato: ad un certo punto del film vediamo De Carmine felice e soddisfatto del suo cappotto ma l'inquadratura successiva fa un PP ai piedi, o meglio alle scarpe, di De Carmine, le quali sono tremendamente vecchie e rovinate! Una malinconia di fondo magistralmente elaborata da Zavattini e Lattuada che non si ferma solo alle inquadrature, ai personaggi e alla loro psicologia ma risiede nello sfondo in cui è ambientato, è cioè una fredda Pavia sotto il periodo di Natale e Capodanno.
Il tagliente dialogo finale, ambientato nelle fredde e desolate strade di Pavia, tra De Carmine e il sindaco risulta molto pirandeliano in questa situazione di amore gotico e se si attua una certa introspezione alla superficie filmica si può notare come il film nel suo misto di commedia e dramma sociale riesca ad essere molto surreale e gotico, una specie di horror gotico con accenni al surreale fiabesco. Il film venne ritenuto per lungo tempo un film di serie B, così come il filone di cui è parte. Pasquini in un'intervista recente ricorda che nemmeno con Argento questi filoni o sottogeneri vennero presi seriamente, bisognerà aspettare veramente i decenni successivi perchè essi vengano rivalutati. Si era tentato di sperimentare, di aprire le porte ancora sigillate di questo genere ma fu stroncato in breve tempo. Zavattini è probabilmente stato il più grande sceneggiatore di tutti i tempi ma la critica fu recidiva a rifiutare il film a cui lui prese parte insieme a Malerba e Lattuada, in fondo bisogna riconoscere la bravura e la cura che ha avuto nell'adattare un racconto così lontano alla nostra realtà e viene da pensare che non sia un caso se in alcuni tratti il film ricorda MIRACOLO A MILANO. E' giusto sottolineare questo aspetto visto che a distanza di sessant'anni giusti il cinema italiano non è ancora riuscito a spaccare quelle catene che tengono chiusi i cancelli del genere fantastico, una vergogna che dovrebbe far pensare, specialmente in tempi come questi dove la fabbrica dei sogni italiana si è soffermata sulle scarne commediole commerciali e i filmoni drammatici del cinema d'autore.