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BIG FISH - LE STORIE DI UNA VITA INCREDIBILE regia di Tim Burton

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kafka62     8½ / 10  03/03/2018 15:27:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A Tim Burton, per la prima volta nella sua carriera, è riuscita la magia di conciliare nella stessa pellicola realtà e fantasia, storia e mito: la vita di Edward Bloom, il protagonista di "Big fish" al cui capezzale di malato terminale il figlio accorre dopo anni di incomprensione dovuta al fatto che il genitore è sempre stato un affascinante ma inguaribile bugiardo, è infatti un inesauribile racconto pieno di appassionanti avventure, fantastici incontri e rocamboleschi colpi di scena, la cui grossolana inverosimiglianza è temperata proprio dalla consapevolezza che di pure invenzioni si tratta; ma, per un altro verso (ed è quello che a poco a poco affiora nella seconda parte del film, quando il figlio va alla ricerca, consultando documenti e interrogando testimoni, della parte sconosciuta del padre), la fantasia (o ciò che era creduta tale) trova inaspettate conferme nei dati di fatto, fino a comporre un puzzle esistenziale in cui i confini tra vero e falso sono quanto mai labili, e addirittura ininfluenti, visto che in fin dei conti "Big fish" altro non è che una ingegnosa metafora dell'arte. Edward Bloom, il quale, novello barone di Munchausen, per tutta la vita ha narrato agli altri la propria vita sotto forma di aneddoti incredibili, non ha fatto che incarnare l'aspirazione a trasformare in una forma eterna e immodificabile i desideri e le aspirazioni di un cuore e di una mente ansiosi di sperimentare l'oltre: ha cioè creato un'opera d'arte, destinata ad essere tramandata ai posteri, e con ciò stesso legittimando e rendendo autentici (cioè riconoscibili da tutti) tali desideri e tali aspirazioni. La commovente consonanza tra morte immaginaria (quella che il figlio regala al padre senza più parole raccogliendo il testimone della narrazione, con quella bellissima scena felliniana del fiume in cui il trapasso è una metamorfosi indolore) e morte reale (il funerale, al quale assistono, solo leggermente diversi dalla loro versione mitica, gli stessi personaggi) chiude emblematicamente il cerchio, sancendo la sovrapposizione dell'una e dell'altra, e quindi la necessità (ma anche la verità) dell'arte nella vita quotidiana.
"Big fish" è un film bellissimo, stracolmo di personaggi mostruosi (la strega, il gigante, le sorelle siamesi) e di situazioni oniriche (il paese-fantasma), che però, anziché essere il simbolo di un "aldilà" perturbante venuto a creare disordine e portare inquietudine nel nostro mondo, acquistano la tenera semplicità e la spontanea immediatezza di una favola, quella favola che Burton, fin dai tempi di "Edward mani di forbice", ha inseguito, senza però mai neppure sfiorare esiti di così struggente elegia. Burton è come il grosso pesce del film, un regista ambizioso e sfuggente, che in tanti film (non tutti e non sempre – a dire il vero – apprezzabili o convincenti) non si è mai lasciato catturare dallo star system o racchiudere in un genere, riuscendo in questo modo ostinatamente, utopisticamente, quasi per accumulazione (quanti personaggi delle sue opere precedenti sembrano rivivere in questa pellicola!), a realizzare finalmente il capolavoro della sua vita.