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IL PADRINO PARTE III regia di Francis Ford Coppola

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jack_torrence     7 / 10  29/01/2011 15:28:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sono passati 18 anni dal secondo: e Coppola decide di non replicare né l'epica, né l'elevatura tragica. E' una scelta intelligente. Sin dall'inizio, ci troviamo condotti a una dimensione "umana" della famiglia Corleone, quale non l'avevamo mai vista.
Al Pacino nel ruolo di Michael Corleone, spesso, sorride (anche se il più delle volte è disilluso o dimesso). Ma non incute più quel tremendo timore.

Si può compatire Michael Corleone? Certo. Si può sempre compatire un uomo; e il Padrino è un uomo, non è il diavolo.

Gli ultimi 45-30 minuti sono fantastici: il montaggio ruota attorno alla Cavalleria Rusticana di Mascagni, e Coppola dirige quell'ultimo segmento di film come fosse un'amplificazione, stilisticamente compiaciuta (ma ne ha ben d'onde), della sequenza del battesimo del primo film. (Del resto, come giustamente detto dal regista, la trilogia segue uno schema A-B-A: dunque il terzo episodio ricalca le orme del primo). Assistiamo, con un montaggio davvero strepitosamente espressivo, a un tripudio di vendette incrociate, regolamenti di conti, ...quel che conta, è come lo si descrive, e il senso di tutto questo: il padrino è un uomo che la sorte sta per condannare a scontare un suo inferno in terra, dopo la morte di sua figlia innocente (e non insisterei troppo a dire se la Sofia Coppola è in parte oppure no: il volto ci sta tutto, comunque).
Dunque: questo finale che unisce il melodramma a Shakespeare è strepitoso.

Ma il film ha un limite e un difetto.
Il limite sta nel suo stesso punto di forza da cui eravamo partiti: si può aver pietà di Michael Corleone? Sì: ma, con la sua umanizzazione, il film sconta anche un prezzo. Che è questo: avvicinandolo allo spettatore, ne riduce lo spessore drammatico, la statura tragica. Ne banalizza il destino a quello di tanti uomini di prestigio condannati a rodersi l'anima in un lento tramonto di solitudine.
Di ben maggiore impatto tragico la solitudine demoniaca, non meno angosciosa (anzi) ma terribile per ogni altro essere umano (a partire dal fratello di sangue), con cui si chiude "il padrino parte II".

Il difetto sta nell'utilizzo spregiudicato del coté storico-dietrologico.
Anche se ci sentiamo di approvare nella sostanza l'ardimento con cui Coppola parla di "alte sfere", Ior, Vaticano e politica, il tutto appare quasi decontestualizzato rispetto al film.
Probabilmente alla pellicola avrebbe giovato una contestualizzazione meno ambiziosa e più generica.
Inoltre, molti personaggi o episodi appaiono banalizzati (vedi il Conclave) o del tutto avulsi rispetto al nucleo centrale del film (vedi l'impiccagione del personaggio che dovrebbe corrispondere a Calvi).
Coppola si lascia prendere da una certa mania magniloquente, ma non ne giova l'opera: il film è sempre molto lungo e a tratti per prolissità e non per sintesi: come invece accadeva al primo episodio, che inanellava una sequenza madre dopo l'altra per grande abilità di adattamento.
Il primo episodio parte infatti dalla materia di un romanzo, la rielabora, le conferisce potenza ed equilibrio, la sintetizza in modi che rasentano la perfezione.
Sia il secondo che il terzo episodio sono invece stati scritti per il cinema, e non poche volte smarriscono la strada maestra.

La saga de "Il Padrino" mi lascia poi una forte suggestione di autobiografismo, da parte di Coppola. Ho l'impressione che egli un po' si identifichi nel suo protagonista, sia per l'ombra paterna (che espliciterà in un film di 19 anni dopo, "Segreti di famiglia" ["Tetro"]), ma soprattutto con questo terzo film ci sembra voler parlare di un' (illusoria? narcisistica?) ipotesi di redenzione per mezzo dell'arte, tramite la figura del figlio cantante Anthony, interprete, nella sequenza finale melodrammatica in cui lo vediamo recitare la "Cavalleria rusticana" mentre, in contemporanea, avvengono fatti cruenti sulla falsariga di quello che accade sul palco.
Che Coppola alluda a qualche "scheletro di famiglia", e s'illuda di lavare i panni sporchi nell' "arte" del cinema, come Anthony sul palco del Teatro Massimo di Palermo?
E che far morire la propria figlia sia un'inconscio sintomo di un qualche senso di colpa?
Conta poco per valutare il film, ma sono sfumature non prive di fascino.
Neurotico  25/02/2015 15:51:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Complimenti per il commento, che nonostante non sia breve, è scorrevolissimo, scritto bene e molto arguto nelle riflessioni che propone. Ho rivisto da poco l'intera saga, e il terzo capitolo mi è piaciuto molto, sebbene abbia i difetti che hai sottolineato tu.