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XXY regia di Lucía Puenzo

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  11/07/2007 23:52:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La prima parola che sentiamo è "femmina", emblematico vero?
Poi il film della Puenzo passa attraverso la metaforizzazione (magari un pò ovvia) dell'identità sessuale, tra psicanalisi e linguaggio scentifico, a partire dalla trasformazione transgenetica dei rettili, o al principio indivisibile e "innaturale" dell'essere maschio o femmina o entrambe le cose, fino alla subalternità di un ruolo dominante e (in)opportuno per contrastare una scelta difficile di accettazione e metamorfosi.
Nonostante qualche facile ricorso all'individualità dell'Essere (e al mondo privato di Alex), o a un rigore estetico che ricorre il candore anche quando diventa sopraffazione della "vittima" sul partner, e la violenza quando, per ragioni culturali, sfiora lo stupro, è un'opera interessante che ben descrive il clima modesto e terreno dell'Uruguay e dei suoi pregiudizi (imbarazzi e recidive curiosità morbose comprese).
Se da una parte l'uso della musica lenta e cadenzata, o certi fotogrammi lievemente didascalici fanno pensare a un classico film da Festival in tarda serata (un limite soprattutto formale), l'opera è davvero interessante, e riesce a rispecchiare dignitosamente la frustazione di Alex, al punto di poter assurgere, col tempo, a un piccolo Cult del genere.
Soprattutto è positivo il personaggio di Alvaro, confuso nella sua sessualità, che trova in Alex un mezzo per esprimere anche la propria repulsiva "diversità": davanti al contesto e al "fenomeno" (secondo il linguaggio della madre, cfr. nota attrice di telenovelas di successo, come "Batticuore") di Alex è possibile che la sua forma di inviolabile rifiuto del padre e della propria sessualità smarrisca definitivamente la sua ragione.
Indubbiamente la seconda parte è la migliore: dove la fragilità di Alex trova protezione in un padre incoraggiante come se stesse parlando non a un figlio ma alla figlia, il mondo circostante non è mai davvero brutto e ingiusto, ma solo privato dei mezzi e della forza per "conoscere".
Un film fatto con rara sensibilità, prezioso e commosso, peccato soltanto che la vicenda di un ermafrodito diventi pretesto per una verbosa meditazione (e contemplazione, v. i primi fotogrammi nel bosco) autoriale