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HARAKIRI regia di Masaki Kobayashi

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Tumassa84     8½ / 10  20/02/2011 08:14:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bellissimo film questo di Kobayashi, che in una pellicola asciutta e dal gelido bianco e nero mette alla berlina e ridicolizza il codice di valori dell'antico Giappone e il genere jidaigeki. In particolare, ad essere palesemente smitizzato è il rituale del seppuku, che viene subito presentato come un pretesto utilizzato da vari samurai che in realtà vogliono solo estorcere del denaro. Il giovane Motome Chijiwa, però, sceglie una casa che tiene molto all'onore e alla rispettabilità, e così finisce per essere costretto a fare seppuku per davvero. La scena del suo suicidio è emblematica: al posto della ritualità e della solennità del rituale vi è tutta la paura e la pateticità di Motome, che incapace di tagliarsi il ventre si morde la lingua per porre fine alle proprie sofferenze. Sulle sue tracce giunge al casato Hanshiro Tsugumo, il padre della moglie di Motome ed ex-samurai, divenuto ronin dopo che il suo daimyo era stato mandato in esilio per un decreto dello shogun. Anche lui dice di voler fare seppuku, ma in realtà il suo scopo è vendicarsi ridicolizzando il casato e dimostrando al signorotto quanto vuoti siano i suoi ideali. Hanshiro, difatti, è l'unico personaggio che si può definire "valoroso", ma al contempo è anche l'unico che si rende conto della vacuità del bushido, da lui definito un orpello vuoto e inutile. Il codice d'onore del guerriero diventa quindi qualcosa di sola forma e niente sostanza, un semplice mezzuccio per apparire onorevoli quando in realtà si è vili e inetti. I tre samurai che più degli altri avevano ridicolizzato Motome per la sua viltà, in realtà poi si scoprono deboli in combattimento; al punto tale che uno di loro viene definito da Hanshiro come uno che "ha imparato a nuotare sulla terraferma", volendo dire con ciò che è uno che si vorrebbe definire guerriero quando in realtà non ha mai fatto alcuna battaglia. La loro viltà è inequivocabile quando alla fine si scopre che i tre, a cui era stato tagliato il codino da Hanshiro, onta gravissima per un samurai, si erano finti malati per non farsi vedere (anche perchè avrebbero dovuto fare seppuku per l'umiliazione subita). Emblematico è anche il comportamento del signore della casa, la cui unica preoccupazione è quella di risolvere la situazione senza che si venga a sapere dell'umiliazione subita al di fuori delle mura. E infatti, alla fine, ci viene fatto sapere che egli riuscirà nel suo scopo e la sua famiglia godrà negli anni a venire di gloria e reputazione sempre crescenti, ma lo spettatore ormai sa quanto queste siano vuote e prive di significato. Vuote come il fantoccio, venerato come un oggetto sacro, che sta a rappresentare gli antenati e quindi gli antichi valori, contro cui Hanshiro si scaglia nel momento della sua morte (provocata significativamente da degli archibugi, contravvenendo così al bushido). La critica di Kobayashi, comunque, non per forza è limitata ai valori del passato, ma si può benissimo applicare anche al Giappone moderno, perchè la tendenza a voler "salvare la faccia" e a dare più importanza alle apparenze e alla rispettabilità che alla sostanza è comunque rimasta in vari aspetti della società. In definitiva, "Seppuku" è un film a mio avviso assolutamente da vedere, sia per la sua importanza nella storia del cinema giapponese, sia per il suo indiscutibile valore oggettivo.