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KILL BILL - VOLUME 2 regia di Quentin Tarantino

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amterme63     9 / 10  20/10/2009 00:01:31 » Rispondi
Ora ho capito il segreto dell’arte di Tarantino. I suoi film hanno i contenuti e lo schema dei film di grande intrattenimento avventuroso (violenza, abilità, spettacolo, esagerazioni, superoi, lieto fine), insieme però ad una grande cura tecnica dell’immagine (molto intelligente, varia e di effetto) e soprattutto con personaggi di spessore e forte personalità. Il risultato è che riesce ad attirare la massa del grande pubblico senza altra pretesa che quella di divertirsi e basta. Allo stesso tempo incanta il cinefilo con immagini e tecniche di ripresa da virtuoso e riesce perfino a imbastire conflitti interiori e questioni etiche che sorprendono positivamente chi cerca un certo impegno e un messaggio nelle pellicole.
Questo mirabile equilibrio è raggiunto nel secondo episodio di Kill Bill. Dopo averlo visto, ho avuto l’impressione che il primo episodio possa essere considerato come inutile all’economia della storia, la quale si regge da sola così come la si vede nella seconda parte.
A posteriori la prima parte appare più che altro come un lungo apologo della vendetta, il tentativo di dare una spiegazione alla prima scioccante scena, in cui una violenza inaudita e bestiale fa tragica irruzione in una tranquilla casa borghese, davanti agli occhi esterefatti e increduli di una povera bambina. Tutto il susseguirsi di avventure, battaglie, stragi esageratamente truculente è solo un modo per far passare quello che fa la sposa come una “giusta” vendetta per di più spettacolare, piacevole e divertente a vedersi.
La prima parte tuttavia esiste e stilisticamente appare come necessaria alla creazione del mito del supereroe e per farlo amare da parte del pubblico. Diciamo che serve da “introduzione” al personaggio. La seconda parte cerca invece da subito di dare una dimensione più umana al supereroe con la sentimentale scena del matrimonio. Si fa vedere anche come avviene l’educazione di un supereroe da parte di un maestro eticamente al di là del bene e del male (sarebbe piaciuto tantissimo a Nietzsche), ma in pratica piccolo boss mafioso (la strage per uno sgarro).
Non mancano scene di puro spettacolo, con in più la classica situazione in cui il supereroe ormai spacciato, riesce a trovare la soluzione geniale dell’ultimo minuto (che riempie di meraviglia e ammirazione lo spettatore).
Si arriva così alla scena finale che completa l’opera di umanizzazione del supereroe, oltre ad essere la scena più bella di tutto il film, quella che pone diversi dilemmi etici, l’unica che pone lo spettatore di fronte ad una riflessione. Si confrontano due modi di vedere la vita. Bill usa la metafora dei supereroi da fumetto (travestimento moderno del superuomo di Nietzsche) per indicare il destino segnato di chi decide di porsi al di sopra delle regole comuni. Chi ha scelto di primeggiare con la violenza e la prevaricazione se le ritrova radicate dentro e non se le può più togliere di dosso. Fanno parte della natura stessa dell’uomo ed sono forse il suo massimo piacere. I bambini stessi non sono per nulla innocenti come dimostra il racconto del pesciolino.
La sposa sembra non discutere questi presupposti, ne fa però una questione di libertà e arbitrio personale. Se una persona decide di provare a cambiare vita, deve avere il diritto di farlo anche se dovesse risolversi in un fallimento. La sete di libertà sembra essere l’unico antidoto alla cieca violenza e alla bestialità. Con bellissime immagini di serenità e di una educazione dolce e umana finisce sorprendemente un film traboccante di cinismo e vendetta. Rimane però un’ombra, una tragica ombra, quella dell’egoismo. Perché Bee Bee sì e Nikki no? Cosa aveva quella bambina per non meritare una madre? Eppure anche quella madre aveva fatto la stessa scelta della sposa. Solo perché lei non era un “supereroe”?