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MANHUNTER - FRAMMENTI DI UN OMICIDIO regia di Michael Mann

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Boromir     8½ / 10  05/02/2024 00:12:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il canovaccio omicidio-indagine viene rispettato e piegato alle esigenze dell'atmosfera, generata dalla sinergia lubrificata di caratterizzazione dei personaggi, spessore interpretativo ed estro del regista. La parola scritta di Thomas Harris viene rimasticata e diviene congiunzione testuale tra il racconto stesso e la macchina cinema, e ha nell'atto dello sguardo il cardine attorno a cui gira l'intero film. Mann riempie le inquadrature di specchi o di allusioni a superfici riflettenti (gli occhi della moglie di Graham, nei quali il detective si sente avvolto e al sicuro), delimita gli spazi con anticamere che preludono l'atto violento o la sicurezza, fa giocare a materiali audio o video un cruciale ruolo investigativo. E infine c'è l'opposizione-sovrapposizione delle sfere visuali di Dollarhyde e Graham, prima divisi, poi interconnessi dall'accumulo di immagini diegetiche che rivelano il progressivo disegno dell'assassino, e infine messi a confronto.
La macchina da presa ha un ruolo fondamentale in questo processo fin dalla soggettiva in apertura (il serial killer si fa strada tra le tenebre notturne con una torcia, mentre si accinge a violare l'amena sicurezza delle vittime), che Mann, molto saggiamente, ripropone filologicamente subito dopo i titoli di testa, con Will Graham a caccia di indizi in luogo di Dollarhyde. Probabilmente senza saperlo, Mann con tale soluzione estetica, rintracciabile in misura minore anche in film completamente diversi (Collateral, 2004 e Blackhat, 2015), ha dettato il leitmotiv di tutta la successiva saga cannibale, che proprio nella specularità degli sguardi ha trovato la matrice del concetto di indagine come metafora del viaggio iniziatico.
La direzione della fotografia è curata da Dante Spinotti, virata perlopiù in blu notte per le scene dove subentrano il romanticismo, la sessualità o la seduzione delle luci urbane, caratteristiche-simbolo di ogni thriller targato Mann; i rossi e i verdi si riallacciano invece, come in Non si sevizia un paperino (Lucio Fulci, 1972) e The Driller Killer (Abel Ferrara, 1979), alla sfera della violenza e della paura. L'influenza di Sam Peckinpah (Il mucchio selvaggio, 1969) si sente nell'utilizzo di differenti frame rate, come nella scena della sparatoria finale dove si è arrivati a registrare persino a 90 fps. Altro aspetto fondalmentale all'evocazione di queste rarefatte atmosfere è la suggestiva colonna sonora curata da Michel Rubini e dai Reds.