kowalsky 8 / 10 09/09/2007 13:57:18 » Rispondi Fromalmente quasi perfetto, il film di Haynes è il miglior film su Dylan che si possa realizzare, oggi. Un'opera che non è priva certo di difetti, che tende talvolta ad ecumenizzare il messaggio portante di Dylan e delle sue immortali canzoni (stiamo parlando, piaccia o no, del più grande cantautore del XX Sec.), che disorienta con le nevrosi private o le improbabili crisi sentimentali, ma che ha soprattutto la capacità e IL DOVERE di non essere nè agiografico nè nichilista. "L'm not there", quindi, piacerà sicuramente ai fans del cantante, che ne potranno seguire le svolte professionali e umane (la contestata svolta elettrica, l'esordio cinematografico con Peckinpah, la crisi mistico-religiosa del controverso album "Saved") con un rigore cronologico forse macchinoso e manicheo ma mai dispersivo. L'impatto con i 4, anzi 6, Dylan è sorprendente: sullo sfondo di un'affresco sociale- temporale à la Bobby (Estevez) una sorprendente Blanchett (premiata giustamente a Venezia) o un'allegorico Gere (Dylan sul set di "Pat Garrett e Billy The Kid", strepitoso excursus a metà strada tra Cimino e Federico Fellini) mostrano, tra gli altri, i "volti diversi" di un personaggio contraddittorio e forse viziato dal suo stesso clichè di "pasionario". Certo alcune immagini sono quantomeno effettistiche (l'incontro con Ginsberg per es., il party beat-factory stile "Uomo da marciapiede") ma la bellezza di alcune sequenze (compreso il bambino al capezzale di Guthrie, cfr. ci sarebbe stato pure Leadbelly...) e la forza lirica di alcune canzoni ("ballad of a thin man" su tutte) restituiscono vigore a un'opera già destinata a diventare un vero Cult del genere. Memorabile la figura del giornalista che lo osteggia, interpretato da un grande caratterista del cinema americano di cui non ricordo il nome