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La scena folk-revival newyorchese dei primi anni '60 con schiere di cantanti pronti a riempire i locali del Village un attimo prima che il genere fosse definitivamente rivoluzionato da Bob Dylan. E'in questo quadro che emerge la figura di Llewyn Davis, il più classico degli antieroi coeniani immerso in una storia sconclusionata dalla prima all'ultima sequenza.
Il registro è meno grottesco del solito (anche se, l'ingresso in scena di John Goodman e il suo "valletto", riporta tutto su quelle coordinate a cui siamo tanto abituati) e forse è anche per questo che non sta riscuotendo il successo che merita tra il pubblico. Però, rimane un film dei Coen al 100 x 100: sconfitta e fallimento racchiusi nello sguardo di Oscar Isaac, splendido loser alla disperata ricerca della sua definitiva evoluzione.
A me è piaciuto parecchio, anche perchè, se proprio vogliamo trovare una novità, per la prima volta in 20 anni di cinema emerge l'empatia a dispetto del classico sguardo freddo e distaccato con cui i Coen inquadrano da sempre i loro personaggi. E per quanto mi riguarda è una svolta riuscitissima.