arirang regia di Kim Ki-Duk Corea del Sud 2011
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locandina del film ARIRANG

Titolo Originale: ARIRANG

RegiaKim Ki-Duk

InterpretiKim Ki-Duk

Durata: h 1.45
NazionalitàCorea del Sud 2011
Generedocumentario
Al cinema prossimamente

•  Altri film di Kim Ki-Duk

Trama del film Arirang

Uscito dalla depressione, Kim Ki-Duk decide di raccontare cos'ha fatto in questi tre anni d'assenza. Si filma con una telecamera, si confessa e cerca di autoesorcizzarsi.

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Voto Visitatori:   7,19 / 10 (8 voti)7,19Grafico
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Voti e commenti su Arirang, 8 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR rain  @  12/03/2015 21:15:02
   6 / 10
Pellicola con cui Kim Ki-duk cerca di esorcizzare i suoi demoni; genera alcune riflessioni di notevole interesse che però si vanno a perdere nella generale pretenziosità di un film (o documentario?) che a tratti sembra più un'autocelebrazione che una confessione.

Sayurisama  @  23/01/2014 18:58:26
   6½ / 10
La prima pellicola di Kim Ki Duk che abbia mai visto. E' stato un inizio piuttosto violento con un tipo di cinema che veramente non conoscevo e tanto meno immaginavo. Non sono riuscita a terminarlo, però è stata una pellicola che ha acceso il mio interesse verso questo regista che, al momento attuale, stimo moltissimo e seguo volentieri.
Per chi non conosce l'autore può essere un documentario lento e senza molto senso, ma per chi conosce gli avvenimenti che hanno portato a frutto questa pellicola e anche solo vagamente un po' la sua produzione, può rimanere molto toccato. Sono sicura che se lo rivedessi adesso lo guarderei con occhi diversi da quelli di prima.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Tumassa84  @  13/01/2014 02:00:31
   8 / 10
Mi aspettavo poco da Arirang, e invece l'ho trovato molto interessante: probabilmente (almeno spero) il film della rinascita di Kim Ki-duk. Evidentemente, aveva proprio bisogno di un periodo come questo; e i due episodi che l'hanno mandato in crisi probabilmente sono stati solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Era tanto che Kim non era più lo stesso e i suoi film avevano perso lo smalto di prima.

Nelle sue riflessioni, Kim mette sul piatto molti concetti interessanti e almeno per me è stato un vero piacere sentirlo confessarsi, o anche solo godermi i suoi sproloqui da ubriaco. Non mi è molto piaciuto verso la fine, né il finale; ma mi rendo conto che era difficile creare un certo climax narrativo che potesse chiudere la pellicola in un film del genere, e quindi si può anche perdonare la forzature dei finti omicidi e del finto suicidio di Kim.

Interessante anche che egli dica esplicitamente di voler essere il primo coreano a prendere un Gran Premio in un Festival importante, e che poi di riuscirà davvero a Venezia con quel Pietà che secondo me è la conferma che dopo questi 3 anni vissuti in auto-isolamento avremo un nuovo Kim Ki-duk, un po' diverso dalle origini ma ugualmente in forma e ispirato, lontanissimo da film come l'Arco, Breath o Dream.

Se si è ammiratori di Kim Ki-Duk, a mio avviso questo è un film assolutamente da non perdere.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  19/09/2012 15:01:35
   6 / 10
Accusatore ed accusato, due ruoli uno stesso inteprete: Kim Ki Duk stesso. L'incidente occorso sul set di Dream forse ha provocato un effetto scatenante di qualcosa che covava già sotto le ceneri dell'animo del regista, facendolo deflagrare tutto insieme. La frustrazione del tradimento di vecchi collaboratori, la frustrazione di non riuscire a soddisfare un intimo desiderio di essere profeta in patria e non solo il regista coreano più celebre all'estero. Un documentario, ma anche la diretta di un dramma personale di uomo che sa più come girare un film, che ha voglia di farli ma è bloccato. Non è certo il suo miglior lavoro.

speXia  @  13/05/2012 00:27:02
   9½ / 10
Cosa successe dopo l'uscita del bel Dream? Dove finì il celebre e amato Kim Ki-duk? Perchè non girò più film per tre anni?

Il carissimo Kim risponde a queste domande raccontando cosa fece durante la sua depressione, dei suoi periodi bui, dei suoi sogni infranti, i rimorsi, e dei numerosi tradimenti subiti. Ma non solo. Il regista, ormai disperato, si sfoga su tutto e su tutti, in un film delirante che, come dice lui stesso, è un documentario ma è anche un dramma.

Così, con estrema tanquillità, Ki-duk riflette sul significato della vita, sulle sue difficoltà, sulla morte, sull'aldilà, sulla crudeltà delle persone, per poi chiedersi confuso cosa veramente sia il cinema, e cosa sarebbe successo se una ragazza fosse morta per un'idea partorita da lui. Interrogativi che distruggeranno la sua pazienza, lo faranno delirare, gridare, e arriveranno persino a provocare sdoppiamenti (ma anche triplicamenti e quadruplicamenti) della sua personalità.
Poi arriva l'Arirang, canzone celeberrima in Corea, considerata quasi come un secondo inno nazionale. Questa melodia, che i coreani intonano nei loro momenti di tristezza, placa i tormenti interiori di Kim e si contrappone ai precedenti deliri e le potenti urla del regista.

Il film alterna così momenti di rancore, rabbia e disperazione ad altri più tranquilli e dall'atmosfera quotidiana, in un circolo vorticoso che si concluderà con un finale tanto folle quanto geniale e simbolico.

E a renderlo unico non è solo il fatto che mancano gli elementi più classici delle opere Kimmiane, come le storie d'amore, i personaggi frustrati, l'onnipresente elemento acqueo. Arirang è unico perchè è realtà, una struggente realtà di solitudine e rozzezza, ancor più marcata dalla totale assenza di attori e dall'ambientazione, rustica e povera, e lontana dall'umanità.

Kim Ki-duk ci trascina così dentro il suo film, ci rende partecipi della sua sofferenza e riesce persino a deprimere anche noi. I fan del regista, come me, gioiranno infinitamente vedendo le sue foto e le locandine dei suoi film, per cui sia noi che Kim provano una certa nostalgia.

Ti prego, Ki-duk Oppa, supera tutti i tuoi problemi e regalaci un altro dei tuoi capolavori!

bulldog  @  08/11/2011 12:44:19
   6½ / 10
Vabè. diciamo che mi aspettavo qualcosa di meglio che un'autocelebrazione lamentosa e anche a tratti logorroica.

Kim Ki Duk dice di esser rimasto scioccato da un incidente avvenuto sul set di "Dream" e dal tradimento ricevuto da alcuni dei suoi collaboratori e pertanto negli ultimi 3 anni si è rinchiuso in se stesso per riflettere sul senso della vita e sull'esigenza reale del suo cinema.
In una casa di campagna senza servizi igienici, Kim si intervista da solo sdoppiandosi, stonando continuamente l'Arirang coreana e sprando pensieri sulla vita e sulla morte che a volte sembrano più deliri di un ubriacone.
Alcune cose interessanti, altre meno, che dire....ah Kimme ripijate, questa è la vita.

Ciaby  @  13/10/2011 11:57:56
   10 / 10
Intimismo delirante che sfreccia nel vento, la confessione del dio cinemaografico si divide tra l'assoluta calma e pazienza, come una confessione quasi religiosa, e la distruzione, il delirio e l'isteria. Kim Ki-Duk, dopo tre anni, parla di sé stesso in un film su sé stesso, ma soprattutto sul suo cinema. Questo non è un film per piacere, non è un film per il pubblico. "Arirang" giustamente, lo snobba. è uno sfogo, una confessione per autoesorcizzarsi, girata con una videocamera digitale, senza soldi né attori. Kim Ki-Duk è allo sfascio, solo, ma finalmente libero di dire quello che vuole.

Dalla sua idea sulla morte, agli insulti rivolti a chi gli ha voltato le spalle. Kim Ki-duk si sfoga e, ovviamente, lo fa a suo modo: cantando l'arirang, canto tradizionale coreano, mentre la telecamera riprende le locandine, i premi vinti e i copioni. Kim Ki-Duk si sdoppia (ricordiamo che il doppio, la scomposizione, è presente quasi sempre in ogni suo film), a specchio, e diventa quasi un caleidoscopio: lui parla a sé stesso, l'ombra parla a lui , ma al contempo un quarto Kim Ki-Duk guarda divertito il girato ai limiti della disperazione.

Documentario o montatura? Kim Ki-Duk non si sforza di nascondere le cose: "Può darsi che prima stessi recitando, che non sono arrivato davvero a piangere." Ma poi, la caduta verso gli inferi. Kim Ki-Duk urla, disperato, e si costruisce una pistola, pronto a mietere vittime. Le vittime sono i set dove ha girato i suoi film. Li uccide tutti, a sangue freddo. La strada di "Soffio", il vicolo dei love hotel di "La Samaritana", freddati completamente. E poi, il suicidio artistico. Ancora l'arirang. Il ciclo continuo della vita ancora una volta incarnato alla perfezione: Non sono più le stagioni le componenti del ciclo vitale, ma le emozioni. La ciclicità è alla base del cinema di Kim ed emerge anche nei movimenti quotidiani sempre ripetuti (il caffè, ininterrottamente preparato, lui che dà da mangiare al gatto....). Quando sei solo, la vita è pura e mera alienazione. Lo struggente ritratto di uno dei più grandi artisti del ventunesimo secolo, il cui obiettivo era semplicemente: "Realizzare dei film ingenui, innocenti, imperfetti."

Il devastante e fottutissimo capolavoro di quest'anno.

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