au hasard balthazar regia di Robert Bresson Francia 1966
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au hasard balthazar (1966)

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locandina del film AU HASARD BALTHAZAR

Titolo Originale: AU HASARD BALTHAZAR

RegiaRobert Bresson

InterpretiAnne Wiazemsky, François Lafarge, Philippe Asselin

Durata: h 1.31
NazionalitàFrancia 1966
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 1966

•  Altri film di Robert Bresson

Trama del film Au hasard balthazar

Il personaggio del titolo è un asino, testimone involontario e imparziale delle tragice vicende di Marie, "ragazza selvaggia" in un paesino rurale della Francia, oggetto di attenzioni morbose e violenze. Anche il somaro vive un personale calvario che culmina con la morte.

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Voto Visitatori:   8,72 / 10 (23 voti)8,72Grafico
Voto Recensore:   9,50 / 10  9,50
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Voti e commenti su Au hasard balthazar, 23 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  10/06/2021 23:41:20
   9½ / 10
Dopo questo film inserisco Robert Bresson tra i miei registi preferiti, uno tra i migliori cineasti Francesi di sempre. Nell'ultimo anno ho visto alcuni suoi film dove si affronta in modo originali il tema della religione e il vincolo che ha sugli uomini, che siano sacerdoti come "Il curato di campagna" o laici...ma addirittura animali non lo credevo proprio.
Da un'idea cosi incredibile non poteva che nascere o un pessimo film o un capolavoro... L'asino protagonista rappresenta il cristianesimo, la vittima sacrificale, il Gesu' umile che sale sul calvario senza lamentarsi.
Prende tutti i sacramenti, si battezza, si sposa addirittura, ed è il "santo" che porta le relique di un altro santo... un suo "collega" millenni prima accompagno' il figlio di Dio a Gerulasemme all'inizio della passione.
Il regista ha poi sempre cercato di essere il piu' minimalista possibile sia nella scenografia che per i dialoghi. Ad oggi penso sia la sua opera piu' riuscita sotto questo punto di vista.
I pochi dialoghi sono sempre essenziali, mai una parola detta in piu', sequenze veloci che obbligano a fare attenzione.
Un capolavoro, un'idea geniale e perfettamente riuscita, il sacrificio di un Cristiano, quello che tutti i cristiani dovrebbero fare in mezzo ad un mondo di peccato. E tutti i 7 peccati capitali sono rappresentati dai vari padroni che si succedono.
Da vedere piu' volte per essere apprezzato a pieno, stupendo!

Oskarsson88  @  18/11/2020 23:21:22
   5 / 10
Forse molto poetico, molto simbolico, molto neorealista, però a me ha annoiato alla morte e non succede spesso. Troppo mistico e semplice, non mi ha trasmesso nulla. Non ci ho visto davvero niente di che, tranne i discorsi filosofici a seguito. Mi spiace.

Zappash  @  06/08/2014 09:35:56
   10 / 10
Questo è il primo film che commento su questo sito e non è un caso se comincio con "Au hasard balthazar".
L'importanza di questo capolavoro bressoniano va oltre i meriti stilistici che pur risolvono egregiamente le intenzioni cinematografiche del suo autore. Qui ogni singola scena emana una struggente poesia d'altri tempi, un silenzio rivelatore del "caso" umano come disperazione esistenziale, incomunicabilità, fragilità. Non c'è spazio per la retorica, nessuna concessione al sentimentalismo stucchevole, ai sofismi, alle lezioni moralizzanti.
Un abisso separa il cinema di Bresson da quello americano. La maturità del linguaggio cinematografio e filosofico del regista francese ha pochi eguali, forse soli Ozu e (in parte) Tarkovsky possono vantare una poetica così essenziale e incorrotta.
Un' ultima piccola annotazione va alla sequenza finale del film, a mio modestissimo parere una delle più struggenti della storia del cinema, espressione di una sincerità poetica di rara bellezza.

A.L.  @  06/11/2013 19:44:19
   9½ / 10
Crudele metafora dell'uomo-asino, dall'infanzia alla morte.

Non un piacere per gli occhi ma una grande riflessione per la mente. Il rigore di Bresson può essere anche un ostacolo per lo spettatore abituato a ben altro cinema (la distinzione che il regista fa tra il cinema come teatro in movimento e il cinematografo come la creazione di un nuovo linguaggio di immagini, suoni e montaggio) ma di sicuro è la qualità che giustamente lo ha reso famoso non solo, ma oggetto di studio di cinema in genere.

Tra il 9 e il 10, difficile schierarsi.

Invia una mail all'autore del commento luca986  @  30/06/2013 17:27:59
   8 / 10
Non voglio correre il rischio di banalizzare. Dico solo che è un film che andrebbe visto almeno una volta nella vita. Detto questo non è certamente una pellicola molto accessibile, però senza dubbio sono riuscito a coglierne la grandezza.

Tuonato  @  07/11/2012 15:58:00
   7 / 10
<<Mentre un film è solo "teatro filmato", il cinematografo è il tentativo di creare un nuovo linguaggio di immagini e suoni attraverso il montaggio.>>
Bresson ha le idee chiare. Rigorose, arrivando a chiedere agli attori di non recitare di dire semplicemente le battute e compiere le azioni richieste come fossero burattini umani (ed è proprio questa l'idea che ci si fa, sembra di vedere tanti automi che si muovono e recitano in maniera meccanica). Così è dello spettatore il compito di interrogarsi e indovinare i diversi stati d'animo degli attori.
Cinema sperimentale, insomma, quello di Bresson.
In questo 'Balthazar' ci viene proposta una parabola, descritta dalle disgrazie di un asino in un misero contesto rurale, sull'impossibilità di estirpare il male dal mondo.

<<Il signore non sempre respinge, anche quando egli affligge il peccatore ha la sua misericordia
perché non è a cuor leggero che egli umilia e affligge i figli degli uomini>>

Certo che se è "comune" convenzione che non ci sia alcuna dannazione, o quanto meno punizione, nell'arrecare del male è arduo dar torto a Bresson. E si assiste così inermi, senza protestare, al calvario di un povero cristo qualunque.
Cinema sperimentale, dicevo. Ma manco troppo, perché parente stretto del neorealismo (per contesto, soggetto e trama) e della Nouvelle Vague (per mezzi, denuncia e proprietà dell'opera). Per cui concludendo, trascurando l'integralismo direttivo di Bresson, personalmente non riesco a ritenerlo superiore ai miglior lavori del biennio 1950-1960.

lki0840  @  09/06/2010 22:44:58
   9½ / 10
Film complesso, ma stilisticamente perfetto. Un Bresson molto distaccato, che si limita a raccontare la realtà, ci sbatte in faccia tutta la crudeltà del mondo vista dagli occhi di un innocente somaro la cui vita sembra scorrere parallelamente a quella di Marie

pinhead88  @  27/03/2010 02:32:37
   7½ / 10
Primo film di Bresson che vedo,sono un po' in difficoltà.il film senza dubbio risulta elegante nella narrazione ed etereo nella sua drammaticità,però non mi ha convinto del tutto.il male a cui Bresson fa riferimento è uno stereotipo comune cui siamo abituati,sia nel cinema che nella realtà,quindi senza troppe elucubrazioni mentali il primo impatto è solo la storia delle peripezie di un asino,e sinceramente tutte queste fantasie sul pessimismo e sul male assoluto del mondo non ce le ho proprio viste.comunque sia rimane un film di tutto rispetto,anche se la narrazione a volte risulta un po' piatta.

LEMING  @  16/03/2010 08:06:13
   9 / 10
Dalla parte della miseria, dell'ignoranza e delle sue più basse conseguenze, un lento incedere nella rassegnazione e nella disperazione, il tutto racchiuso negli occhi di un asino e nella dolce musica. Un film pessimista al massimo, ma soave e lieve come un alito di brezza primaverile, è il primo film di Bresson che vedo è devo dire che bisogna, per apprezzarlo avere una preparazione cinematografica non indifferente, che io non ho, comunque le sensazioni che mi ha lasciato sono indescrivibili!

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Ultima risposta 16/03/2010 09.13.27
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Gabo Viola  @  05/03/2010 00:04:48
   9½ / 10
Uno dei milgiori film francesi di sempre

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  13/09/2009 13:27:55
   9 / 10
Robert Bresson, illuminato da un passo de "L'idiota" di Dostoevskij, decide di mettere in scena una sorta di apologo al cui centro si pone la figura insolita di un asino. E' lui, l'animale più stupido per antonomasia ma in realtà il più saggio e intelligente, l'"idiota" della situazione: sulle sue carni i colpi dell'ingratitudine dell'uomo e, davanti ai suoi occhi, il fluire delle umane vicissitudini, segnate da un susseguirsi di disillusioni, pene, sopraffazioni e nequizie. Si ha così modo d'assistere alla rappresentazione di una realtà in cui non v'è spazio per la felicità, se non in un caduco momento, quello dell'infanzia, che però, una volta superato, si rivela soltanto una dimensione immaginaria, lontana e quasi obliata: un incanto svanito per lasciare spazio a un mondo truce e privo di grazia.
Il personaggio di Marie sembrerebbe la personificazione di Balthazar: nella fissità della sua espressione la stessa remissione, la stessa consapevolezza e la stessa sopportazione che traspaiono dallo sguardo di quest'ultimo. Su di loro grava il fardello di un decorso degli eventi che volge ineluttabilmente al peggio, dove allo sfruttamento del corpo dell'una fa da eco quello dell'animale, entrambi sotto il giogo di azioni umane integralmente negative. Nella loro sottomissione, tuttavia, risiede un'amara saggezza. Pur patendo, l'asino e la ragazza accettano la sventura, coscienti dell'impossibilità di mutare lo stato delle cose: salvo alcuni sporadici momenti di resistenza e insofferenza, essi non s'oppongono a ciò che la vita ha riservato loro, dalle fatiche insostenibili alle delusioni dell'esistenza sancite dalla perdita della purezza, e vi si adeguano consapevoli della loro impotenza.
Questo dualismo nella disgrazia si amplifica sempre più nel prosieguo della narrazione, fino a culminare nel finale dove la "fuga" di lei, a seguito di uno stupro di gruppo, precede quella definitiva del povero Balthazar. A questo punto Bresson inscena la morte dell'animale nella maniera più efficace, cogliendola "sub specie contraria" nel contrasto tra il cinetismo trasmesso dal copioso movimento del gregge e la progressiva immobilità dell'asino, di cui ci viene mostrato il lento (e liberatorio) spegnersi (della stessa portata, per come viene rappresentata la morte, gli epiloghi di "Aguirre furore di Dio" di Herzog e di "King of New York" di Abel Ferrara) in una delle sequenze più struggenti nell'ambito della produzione del regista francese.
Tra gli altri personaggi spicca Arnauld, ulteriore esempio bressoniano della marginalità (o addirittura inesistenza) del libero arbitrio, sopraffatto da "qualcosa" di superiore che esautora ed annichilisce la capacità volitiva autonoma. Neanche la prospettiva di una vita finalmente fuori dalla miseria riuscirà a indurre Arnauld a vincere il suo vizio, cui invece cederà puntualmente fino al termine dei propri giorni. Insomma, ennesimo "soggetto assoggettato" che, insieme al resto dei personaggi della "mise-en-scene", si mostra funzionale alla rappresentazione di un'umanità tragicamente sospinta, nel "suo" agire insensato, dal soffio di una Negatività onnipresente ed inestirpabilmente radicata nell'essenza stessa delle cose. A questo "non-sense" è speculare lo stile narrativo del film, ove la linearità diegetica è abolita per fare posto a ellissi che frammentano l'azione, esaltando così la percezione di un'irrazionalità debordante.
Non siamo ancora ai toni apocalittici de "Il diavolo probabilmente" e "L'argent", nei quali il suicidio ponderato e l'omicidio immotivato costituiscono il punto terminale della riflessione dell'ultimo Bresson, comunicata attraverso una "fenomenologia impietosa e senza speranza della malvagità"; pur se nell'opera in questione il pensiero pessimistico del regista risulta già ampiamente ed efficacemente enucleato, trovano ancora spazio elementi quali il lirismo e la compassione. E a quest'ultimo proposito, non si può non rimarcare l'immagine bellissima dell'asinello i cui occhi tristi, pazienti e tolleranti trasmettono tanta tenerezza e una sconfinata saggezza. Attraverso di essi il regista si limita a registrare gli eventi senza emettere verdetti, perché non si può giudicare lo scorrere eteronomo della storia/Storia.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  31/08/2009 18:51:37
   10 / 10
Il più bel Bresson di sempre. Impossibile per me spiaccicarci una parola.

Harue88  @  31/07/2009 13:52:18
   4 / 10
Noiaaaaaaa, un film oltre a trasmettere qualcosa deve anche saper coinvolgere...noioso.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  03/07/2009 19:24:36
   9½ / 10

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Ultima risposta 02/01/2010 08.44.29
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  24/01/2008 22:41:56
   8½ / 10
Grande cinema di riflessione quello di Bresson. Au hasard Balthazar è un’opera semplice, scarna, che non concede niente allo spettacolo ma che in compenso è complessa e ricca di spunti di riflessione, a volte di non facile interpretazione. La mia impressione è che Bresson abbia voluto ritrarre da una parte un tipo di comportamento estremamente retto, onesto e “buono”, senza nascondere i paradossi e gli svantaggi di tale linea di condotta; dall’altra il fascino e l’efficacia di chi possiede doti “diaboliche” e negative come ad esempio la bellezza, l’egoismo, la cattiveria. Il tutto visto in maniera disillusa e fatalista, con un grande pessimismo di fondo: è il caso che governa il destino del creato, non c’è niente di saldo e sicuro a cui appigliarsi nella vita terrena. Forse alla fine è il “male” (più “bello”, più “forte”) a uscire vincitore.
Bresson cerca di rendere il film il più universale e “astratto” possibile. Si capisce fra le righe che ci troviamo in Francia (nei Pirenei?), negli anni 50, in una società chiusa e campagnola. Il protagonista è un asino, ma la sua storia si intreccia con alcuni personaggi umani esemplari. Il maestro del paese e sua moglie si comportano in maniera assolutamente retta e onesta e non derogano mai ai loro principi assoluti. Per questo fanno vita tutto sommato povera, grama e passano per degli orgogliosi e antipatici. Sono così ligi ai loro principi che non voglio usare le stesse armi di chi li attacca. Assistono quasi impassibili, senza reagire ai soprusi e soprattutto alla deriva morale della loro figlia Marie (non le danno mai un ceffone, non usano mai la “violenza” o la “forza”). Sono figure rappresentate in maniera nobile e degna, ma non si può fare a meno di sentire fra le righe una specie di “critica” nei loro confronti.
Dalla parte del “male” c’è soprattutto Gerard, il quale sa sfruttare al massimo la sua bellezza, la sua gioventù e il suo “imperio” sugli altri. Riesce a ottenere tutto quello che vuole e non si fa sfiorare minimamente dall’idea di cedere a sentimenti come pietà, altruismo e amore. Poi c’è l’avaro, un personaggio brutto e spregevole, ma che possiede i soldi e questi gli permettono di fare tutto.
Nel mezzo c’è il personaggio di Marie, la protagonista morale del film. Buona e mite, è animata però da pulsioni passionali tipo Madame Bovary. Cede con scarsa resistenza ai desideri di Gerard, perde tutta la sua innocenza e purezza e rimane invischiata nella spirale dell’”abrutimento” senza volersi ribellare. Avrebbe la possibilità di rifarsi la vita con Jacques, il suo amore dell’infanzia, un ragazzo amabile, perfetto, comprensivo, ma che ha il difetto di essere “convenzionale”. Invece Marie rifiuta consapevolmente la felicità sentimentale per il richiamo torbido e voluttuso dei sensi materiali, perdendo tutta la sua “dignità”.
Infine c’è chi la vita non se la può scegliere, ma che può solo subirla. Arnauld è un povero bonaccione e ingenuo; per questo tutti si approfittano (soprattutto Gerard) e lui non si accorge e non fa niente per reagire. E’ lui quello più simile al povero asino Balthazar. I primi piani sullo sguardo dell’asino ci fanno capire che ha più sentimenti e comprensione lui di tanti personaggi umani del film. Però la natura ha fatto in modo che gli altri decidano per lui e che non gli resti altro che subire e aspettare la morte. Con Balthazar Bresson ha forse voluto rappresentare il destino della maggior parte degli umani: vivere sballottati da eventi non controllabili in attesa della fine, sempre in balia del caso (“au hasard” significa “per caso”).
Oltre al solito stile nudo, essenziale, disadorno ma sempre suggestivo ed espressivo, Bresson utilizza in questo film la tecnica dell’ellisse narrativa. I fatti salienti non vengono mai rappresentati ma vengono suggeriti seguento il comportamento prima e dopo dei personaggi. L’attenzione dello spettatore si sposta così non sulla trama ma sulla reazione dei personaggi. Non è la storia che s’impone su chi guarda, provocando reazioni emotive, ma è lo spettatore che deve volontariamente entrare nel film per poterne godere intellettivamente. Per questo il cinema di Bresson va bene soprattutto a chi vuole conoscere e capire e non a chi vuole sentirsi “usato” emotivamente.

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Ultima risposta 19/03/2009 20.53.47
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  29/06/2007 22:37:45
   9 / 10
Non può che farmi piacere una media tanto alta per un film difficile come questo... Bresson richiede molta partecipazione allo spettatore, ma sa ripagarlo con opere di grandissima intensità morale (a volte, sì, un pochetto rigorose).
La semplicità di Au Hazard, la sua fotografia volutamente greve e spoglia, l'atmosfera cupa del film, ma soprattutto il magico rapporto tra la ragazzina e l'animale, in una sorta di empatia cosciente, tutte cose che vanno annoverate tra i più alti esempi di poesia cinematografica di sempre

solitecose  @  20/04/2007 19:51:25
   10 / 10
film migliore di ogni tempo come altri film che considero i migliori di ogni tempo.

a livello di "baldassarre per caso", metterei 300, e pochi altri. di 300 mi è piaciuto molto lo scontro tra i persiani e gli spartani.

2 risposte al commento
Ultima risposta 17/03/2008 11.37.05
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento goat  @  18/04/2007 18:21:54
   9½ / 10
l'asino, la metafora dell'uomo perennemente sottoposto ai voleri di un padrone.
struggente.

8 risposte al commento
Ultima risposta 07/05/2007 18.21.24
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addicted  @  17/04/2007 18:39:25
   9 / 10
Favoloso Bresson.
Non gli metto 10 solo perchè secondo me non è il suo film migliore.
Ma comunque tanto di cappello...

mister_snifff  @  29/09/2006 02:20:19
   10 / 10
questo qui invece è un filmone! come dicono i francesi...sciapò!

mago di segrate  @  21/04/2006 13:24:56
   9 / 10
un capolavoro! bresson descrive alla pefezione la vita ed i patimenti di questo piccolo asinello,vittima sacrificale di questa ingiusta società. echi di dostoevskij e bernanos in questo film santificato giustamente dalla critica.Un viaggio sconvolgente attraverso i vizi umani.

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ds1hm  @  21/04/2006 13:16:48
   9 / 10
uno dei film più strani che abbia mai visto. proprio non riesco a collocarlo da nessuna parte, prima di tutto a partire proprio dalla mia testa. è affascinante, complesso, audace o forse ambizioso nelle tematiche e negli obiettivi che si vuole prefiggere, ma sono sempre stato del parere che vanno gustate anche solo le intuizioni dei grandi registi.

giax-tommy  @  17/03/2006 15:17:53
   9½ / 10
l'occhio di un asino è obbiettivo.è questo il messaggio principale di bresson.egli vuole proprio tramite il giudizio empirico dell'asino raccontare le disgrazie che affliggono l'uomo e le torture che impone al prossimo.l'uomo in un unico momento è felice solo e soltanto sul punto di morire,quando ogni sofferenza,fisica o psicologica,viene annullata.messaggio pesantemente pessimistico ma che fa,o almeno dovrebbe,far riflettere

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