babel regia di Alejandro Gonzalez Inarritu USA 2006
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babel (2006)

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locandina del film BABEL

Titolo Originale: BABEL

RegiaAlejandro Gonzalez Inarritu

InterpretiCate Blanchett, Brad Pitt, Gael García Bernal, Mahima Chaudhry, Mahima Chaudhry, Kôji Yakusho, Shilpa Shetty, Lynsey Beauchamp, Adriana Barraza, Elle Fanning

Durata: h 2.15
NazionalitàUSA 2006
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2006

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Trama del film Babel

Il film è diviso in tre storie; durante un viaggio organizzato in Marocco, una donna che si trova in vacanza col marito viene ferita da un colpo di fucile sparato per sbaglio da due ragazzi. La coppia ha affidato i propri figli ad una tata messicana a San Diego, ma la donna non può assolutamente mancare al matrimonio del figlio. Nel contempo un ragazza giapponese sordomuta, vive la sua adolescenza con i disagi del suo handicap.

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Voto Visitatori:   7,51 / 10 (225 voti)7,51Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
Migliore colonna sonora
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Migliore colonna sonora
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film straniero
Miglior film drammatico
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior film drammatico
Miglior regia (Alejandro Gonzalez Inarritu)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior regia (Alejandro Gonzalez Inarritu)
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Voti e commenti su Babel, 225 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  11/11/2006 22:45:55
   8 / 10
E' fortissima la sensazione di essere davanti a un capolavoro, ma poi bisogna fare i conti con un finale che divide, ghettizza, reclama un mondo separato tra ingiustizie sociali e sospetta "conciliazione".
Di quel mondo, Inarritu esprime un'enorme "patologia del dolore", ma sembra rassicurarci che presto o tardi non ne faremmo parte, e quasi ci si dimentica, esattamente come nella realtà, di un uomo che ha perduto il figlio ucciso dalla polizia, e di una donna espulsa con un foglio di via dalla cosiddetta "democrazia perfetta" degli States.
Per essere un cinema che inaugura un nuovo linguaggio visivo e tecnico, occorre dire che a tratti è forte la sensazione che l'innovazione sia piu' apparente che reale.
Non è difficile capirne il perchè: se apparentemente è il film che non ti aspetti, se lo spettatore viene sottoposto a un'intensissimo mosaico dei mali del mondo, altrettanto consciamente è messo nelle condizioni di separarsene.
Complice una fotografia che definire splendida è poco (straordinaria la Tokyo filtrata in un gioco abbacinante di luci al neon à la Koyannisquatsi - magnifiche le immagini di certi anziani contadini marocchini, con le loro rughe e un senso infinito di bellezza genealogica), il film di Inarritu ha comunque un pregio difficilmente individuale nel cinema contemporaneo: le tre storie che si svolgono in tre località diverse sembrano magicamente celebrare anche una fortissima empatia con il cinema dei paesi preposti, quasi che l'analisi del regista messicano sia composta da un senso etnico-universale della rappresentazione cinematografica.
A Tokyo troviamo un'apologia della parola e del gesto che puo' ricordare Wong-Kar Wai, in Marocco le immagini fisse e il territorio brullo e silente fa pensare all'Iran di Kiarostami.
Non c'è quella che si reclama come "estetica del deserto" bensì una divisione collaterale tra il deserto oggettivo e quello soggettivo, che è il perno della (mancanza di) comunicazione delle tre storie.
Il "deserto individuale" puo' raggiungere anche lo spazio e il fragore di un disco-club quando il dono della parola non esiste, e la protagonista della storia cerca un contatto nello "spazio aptico" della sua mente.
C'è un deserto oggettivo, e un deserto umano, che è il piu' doloroso, perchè reclama voce al silenzio, al dolore, all'incomunicabilità
Per esempio, una coppia che sembra uscita da "the sheltered sky" di Bowles cerca di ritrovare il contatto perduto dopo un doloroso avvenimento che li ha separati per lungo tempo.
"Babel" vorrebbe assurgere all'affinità universale del dramma, esattamente quanto Resnais nel suo ultimo, bellissimo film, esibisce in pochi e ristretti spazi circolari, e per quanto assurdo possa sembrare entrambi i film sono complementari.
E' ovvio che nel "suo" Messico l'autore sia consapevolmente piu' a suo agio, e non a caso è il posto dove noi occidentali sentiamo di poterci sentire meglio.
Non è certo un paradosso: è appurato che la società di oggi funzioni in modo programmatico, essendo legittimo e prevedibile (certo non dovrebbe neanche esserlo) amare sempre il luogo dove la vita sembra (è?) tanto diversa dalla nostra.

La metafora di Inarritu è forzata, perchè è troppo specifico e forse banale che i contatti tra il mondo capitalista (Usa Giappone) e il cosiddetto "terzo mondo" sia diviso quotidianamente dalle barbare leggi dell'imperialismo (cfr. su tutti i due perni, i turisti occidentali cinici e senza cuore - la violenza della polizia marocchina per arrestare un presunto "colpevole" e quindi per non frenare l'impatto turistico.economico col mondo occidentale).
Lo stesso episodio della ragazza sordomuta è emblematico: non è forse coercitivo il bisogno (per quanto coraggioso e lodevole) di spingere lo spettatore a captare il senso di alienazione del suo handicap?
E ancora, possiamo forse negare che il gesto cosciente di un ricco (giapponese) provochi effetti terribili su un "mondo" meno fortunato di noi?
Dire che la risposta è no, significa accettare passivamente e con un senso di inevitabile fatalismo che questa realtà esiste, ma che non basta invitare noi stessi a riflettere e confessarla.

Stento comunque a credere di essere stato tanto duro: ho trascorso due ore appassionanti e dolorose, il cuore mi è andato piu' volte sottoterra, e quando ha ripreso a battere ha provato un certo disagio per le infinite sfumature che il mondo ci riserva. Un mondo che è aspro e violento come quello di Inarritu, ma che dovrebbe avere la forza di dirci di piu' di questo film.

Potrebbe non bastare, e allora anche un film a modo suo rappresentativo e spesso splendido come quello del regista messicano rischia di perdere la sua forza rivoluzionaria e approdare soltanto nel porto comodo fors'anche doloroso della nostra quotidianità

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Ultima risposta 24/12/2006 01.42.15
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