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Con "The New Janitor" arriviamo ad un nuovo snodo fondamentale nella carriera di Chaplin, forse il più importante di tutti, perché è qui che l'autore e regista getta definitivamente le basi di tutta la sua poetica futura. Qui Chaplin rinuncia alla comica (ma non alla comicità, espressa dalla sua sola presenza fisica sullo schermo) e finalmente costruisce, in questi 12 minuti, una storia, semplice e perfetta. Il ritmo è rallentato rispetto alla consueta frenesia e al tipico caos, è il ritmo di un cinema narrativo che finalmente Chaplin porta in dote alla Keystone. Pochi tocchi precisi e Chaplin costruisce perfettamente le dinamiche sociali e i rapporti umani con l'occhio acuto e critico che lo caratterizzerà sempre più da qui in poi; c'è già, se non tutto, molto del suo cinema: differenze tra classi sociali, false apparenze, ipocrisia e pregiudizio verso i più deboli. Inoltre, in questo meccanismo, Chaplin comincia a mescolare il comico al drammatico con quell'abilità di fondere insieme le due anime che io trovo abbia espresso come nessun altro nella storia del cinema, dando alla sua storia, dallo scheletro comico charlotiano, un'anima malinconica fino ad allora sconosciuta (tranne la trasposizione cinematografica del sonetto "The Face on the Bar Room Floor", che però non univa ancora in se l'anima comica con quella drammatica) nelle sue opere. Cortometraggio basilare per la comprensione della poetica di Charlie Chaplin.
Come già scritto nel commento sottostante e nel fantastico speciale di Amterme, può sembrare una slapstick come tante altre, nettamente inferiore a quelle che verranno e forse non tanto diversa da altre precedenti (di certo è meno divertente). Ma è il primo vero film in cui Charlot e il mondo che ha attorno acquisiscono un'anima e un risvolto sociale, forse rozzo e ancora potenzialmente inespresso ma che contiene in sé tutti i germi della poetica chapliniana, non a caso diretto da Chaplin stesso che comincia ad acquisire quella libertà creativa fondamentale nella creazione dei lavori migliori.
La particolarità di questo corto rispetto ai suoi precedenti è il contesto drammatico della storia (il tentativo di una rapina). Malgrado la mancanza dell'elemento farsesco, il corto riesce a sfornare buone gag divertenti.
Il successo del suo personaggio permette a Chaplin di avere mano libera nella creazione dei suoi pezzi. Ha l’accortezza di mantenere l’impianto di base con le sue botte e le facili seduzioni, ma rallenta notevolmente il ritmo e rende i personaggi più umani e caratteristici. Si ha l’impressione di avere davanti una persona, non più una macchietta. All’inizio il vagabondo è un furbastro cinico, che pensa solo a come spillare qualche spicciolo per poter andare a ubriacarsi o a sedurre qualche ragazza al parco. Nel settembre del 1914 esce però The New Janitor (Charlot portiere), la prima comica di valore artistico dove il vagabondo acquista spessore psicologico e sociale.
La storia si svolge in un ufficio. Il vagabondo vi giunge per svolgere il suo lavoro di pulizie. Il ragazzo dell’ascensore gli sbatte la porta in faccia e il vagabondo è costretto a farsi tutte le scale a piedi. La scarsa solidarietà fra poveri riapparirà frequentemente (vedi i ragazzini che si divertono alle spalle del vagabondo in Luci della città). Svogliatamente inizia a (fare finta di) lavorare. Entra in una stanza dove ci sono alcuni impiegati ben vestiti e altezzosi. Raccoglie le cartacce e mette nel cestino anche un libro contabile che era caduto in terra per caso, rimbrottato aspramente dall’impiegato (contrasto fra mondi diversi che verrà ripreso spesso). Poi si mette a cincischiare con uno spazzolone e un secchio arrivando anche a spenzolare nel vuoto (uso comico di oggetti comuni e gag basate sulla paura). Anche il caso ci mette lo zampino! Sotto la finestra c’è il direttore dell’ufficio che guarda caso si becca la strizzata dello straccio e addirittura il secchio in testa (potenza comica della coincidenza). Inferocito arriva in ufficio e licenzia su due piedi il vagabondo, il quale cerca di commuovere mimando dei bambini da cullare (insensibilità ed egoismo dei ricchi). Il vagabondo sconsolato aspetta la fine dell’orario di lavoro per poter salutare la segretaria che aveva faccio breccia nel suo cuore (l’amore conta più di tutto). Nel frattempo uno di quegli impiegati che pareva così per bene, a causa di un debito di gioco, deruba la cassaforte e tiene in ostaggio la segretaria (inganno delle apparenze). Non vedendola arrivare, il vagabondo risale le scale e scopre il malfattore. Grazie all’agilità e alla furbizia (unica maniera che ha per affrontare i più forti di lui) riesce a neutralizzarlo e a chiamare la polizia (onestà del vagabondo). Il poliziotto, appena arriva, arresta naturalmente il vagabondo (giustizia prevenuta verso i più poveri) e solo l’intervento della segretaria riesce a risolvere l’equivoco. Il direttore deve riconoscere l’onestà del portiere e gli dà un premio in denaro che è ridicolmente basso, come si vede dalla faccia del vagabondo. Si impegna comunque a riassumerlo (lieto fine a metà).