In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l'unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l'amore per la figlia Sofia, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza l'intero quartiere. Dopo l'ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall'esito inaspettato.
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Forse in effetti c'è troppo clamore attorno a un film che non ha nulla di più rispetto a L'imbalsamatore, per non parlare di Reality. Ma è una sorta di punto d'arrivo: Garrone riduce così all'osso la storia e i dialoghi da entrare in una sorta di metafisica della provincia e dell'abiezione, molto più che nei film sopra menzionati, nella storia di una persona che non riesce ad essere ciò che vuole, che, insomma, come tante altre creature del cinema di Garrone, vuole essere amato da chi proprio non potrà mai farlo. E per questo viene respinto, alienato e portato oltre il baratro, perdendo definitivamente il controllo. Lo schema è sempre quello, ma l'animalità delle relazioni unita a interpretazioni clamorose lo rende l'opera garroniana più coinvolgente e, di conseguenza, devastante. Ma non la più bella. Forse perché lo schema della vittima passiva, debole, senza scampo sin dall'inizio, quindi prona nel subire le frustate di un destino implacabile, annichilisce si, ma alla resa dei conti viene da dire: e quindi? Ancora? Sempre questo schemino facile facile, ma con una messa in scena maestosa (su quello, nulla da dire)? Garrone gioca molto più facile di quel che sembra. Vincere così, per uno col suo talento, è persino sprecato. E quindi devo ammettere di essere rimasto un po' deluso. L'8 non lo metto per questo motivo.