fuori orario regia di Martin Scorsese USA 1985
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fuori orario (1985)

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locandina del film FUORI ORARIO

Titolo Originale: AFTER HOURS

RegiaMartin Scorsese

InterpretiGriffin Dunne, Rosanna Arquette, Verna Bloom, Tommy Chong, Linda Fiorentino, Teri Garr, John Heard, Cheech Marin, Catherine O'Hara, Will Patton, Robert Plunket, Bronson Pinchot, Rocco Sisto, Larry Block, Dick Miller, Victor Argo, Murray Moston, John P. Codiglia, Clarke Evans, Victor Bumbalo, Bill Elverman, Joel Jason, Rand Carr, Clarence Felder, Henry Judd Baker, Margo Winkler, Victor Magnotta, Robin Johnson, Stephen Lim, Frank Aquilino, Maree Catalano, Paula Raflo, Rockets Redglare

Durata: h 1.36
NazionalitàUSA 1985
Generecommedia
Al cinema nell'Agosto 1985

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Trama del film Fuori orario

Un timido impiegato, Paul Hackett, trascorre una notte di terrore e mistero tra le strade più malfamate del quartiere newyorkese Soho, passando attraverso omicidi, suicidi e personaggi grotteschi…

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Voto Visitatori:   8,11 / 10 (164 voti)8,11Grafico
Miglior regia (Martin Scorsese)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior regia (Martin Scorsese)
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Voti e commenti su Fuori orario, 164 opinioni inserite

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kafka62  @  13/05/2018 15:54:30
   8 / 10
JOSEF K. A SOHO

Nel secondo tempo di "Fuori orario" c'è una sequenza molto significativa: il protagonista del film, Paul Hackett, si presenta davanti alla solitaria entrata di una discoteca e viene fermato da un muscoloso guardiano dall'irridente aria di superiorità. Negatogli l'ingresso, il buttafuori dapprima sfida Paul a entrare con la forza, quindi accetta i suoi soldi, ma solo perché egli possa credere di aver fatto del proprio meglio. E' – lo abbiamo ormai capito – una esplicita citazione del racconto di Kafka "Davanti alla legge", ma una citazione ironica, quasi grottesca, perché anziché davanti al sacro tempio della Giustizia, Paul si trova di fronte a un chiassoso ed alienante ritrovo notturno, popolato da una fauna umana irregolare ed equivoca, in cui rischia per giunta di perdere la propria capigliatura. Nonostante la sapida parodia di Kafka operata da Scorsese, il quale rovescia qui l'originale in burla, Paul è un personaggio profondamente, autenticamente kafkiano. Quando, dopo inenarrabili peripezie, lo vediamo inginocchiato in mezzo alla strada con la macchina da presa che lo riprende dall'alto, e lo sentiamo gridare al cielo "Che cosa vuoi da me? che cosa ti ho fatto? sono solo un povero programmatore di computer!", non possono non venire in mente il piccolo funzionario de "Il processo" e l'agrimensore de "Il castello". Come loro, Paul è perseguitato da un destino tanto cinico e feroce, quanto insondabile ed enigmatico, ed è per questo insistente e non casuale parallelismo che "Fuori orario" non può essere riduttivamente considerato come una semplice rivisitazione in chiave dark e metropolitana della screwball comedy, ma gli si deve riconoscere una innegabile valenza simbolica, non molto dissimile da quella di un film come "Duel".
La struttura del film appare perfettamente circolare: esso inizia e finisce in un moderno ufficio della City, tra impersonali scrivanie, freddi computer e anonimi colletti bianchi. Questo è il mondo di Paul, e il regista non impiega molto tempo per far intuire allo spettatore il profondo disagio che attanaglia il suo personaggio. Mentre il giovane neo assunto gli sta parlando animatamente, Paul infatti si distrae, fissa una impiegata che passa con una cartella sottobraccio, poi dei colleghi che sfogliano dei tabulati meccanografici, quindi una macchina da scrivere e gli oggetti che si sforzano invano di personalizzare una vicina scrivania: con poche ma efficaci inquadrature, Scorsese riesce a descrivere l'irreversibile distacco di Paul da quell'ambiente asetticamente efficiente. Questa scena afasica è il preludio alla trasgressiva avventura di Paul: come lo specchio di Lewis Carroll al di là del quale c'è il sogno di Alice, anche in "Fuori orario" un sottile diaframma (il cancello che si chiude simbolicamente alle sue spalle) divide il reale dall'immaginario e dal sogno.
L'universo messo in scena da Scorsese è fatto di immaginazione ragionata, allucinato sì ma mai soprannaturale o irreale. Tutto quel che succede in "Fuori orario" possiede infatti una logica interna irrefutabile, anche se poi gli avvenimenti si succedono con una cadenza tale da ricordare quella propria dei sogni. Per fare un esempio, noi vediamo Paul sdraiato sul divano di casa intento a un annoiato zapping, mentre nella scena successiva egli è seduto in un bar assorto nella lettura di un romanzo di Henry Miller. Avendo una discreta memoria cinefilica, non ci stupiremmo affatto se ci trovassimo di fronte a un vero e proprio racconto onirico, sulla falsariga, tanto per intenderci, de "La donna del ritratto". Del resto, sogno o non sogno, risulta pacifico che ormai Paul è entrato in una dimensione parallela dove non vigono più le stesse regole del mondo che conosciamo. Più avanti il proprietario del drugstore dirà non a caso: "Cambiano le regole a quest'ora!". La mezzanotte è la linea di demarcazione tra realtà e incubo, come Scorsese, grande appassionato di cinema dell'orrore (dove demoni, vampiri e licantropi imperversano solo dopo il calar delle tenebre), ben sa. Superata questa fatidica soglia, disatteso il tabù borghese secondo cui la notte deve essere consacrata al sonno, Paul si addentra nel territorio dell'ignoto. Una innocente avventuretta sentimentale si trasforma così in una angosciosa spirale da cui non è più possibile uscire. Una volta entrati nel quartiere proibito (una volta tanto non il Bronx, ma la Soho degli artisti maledetti e bohemien) il ritorno a casa è negato: Paul perde i suoi soldi, scopre che i biglietti della metropolitana sono rincarati proprio da mezzanotte (ancora una sarcastica conferma che "cambiano le regole a quest'ora"), non riesce più a rientrare in possesso della sua chiave di casa, e per colmo di sfortuna un sospetto assurdo lo costringe a sfuggire come un delinquente e a temere per la sua stessa vita.
Azzardiamo un'ipotesi suggestiva. Conoscendo le origini cattoliche di Scorsese (che del resto egli non ha mai voluto negare, facendone anzi il motivo ispiratore di alcuni suoi film, tra cui "Mean streets"), "Fuori orario" potrebbe avere una neppur troppo nascosta valenza morale. Paul ha trasgredito la sua vita routinaria di yuppie, tutta casa e lavoro, per inseguire la fascinosa sconosciuta incontrata al bar (e se vi sembra una trasgressione da poco, leggetevi allora "America" o un racconto come "Il colpo contro il portone", di Kafka naturalmente), e Scorsese, da sardonico moralista qual è, lo punisce facendolo protagonista di un'esperienza agghiacciante, al termine della quale il rientro a casa assume il valore di un sospirato "ritorno ad Itaca". Fuori del mondo ovattato e rassicurante di tutti i giorni – sembra essere la morale proposta, tra il serio e il faceto, dal regista – ci sono solo violenza, droga, sesso sadomasochistico e devianza, di fronte ai quali risulta di gran lunga preferibile rimanere chiusi in casa a guardare la televisione.
Psicologi meno improvvisati di me non faticherebbero inoltre a interpretare "Fuori orario" come una metafora dell'inconscio, e più in particolare come la materializzazione di un gigantesco ed arcano senso di colpa. Se ci si fa caso, Paul si sente in continuazione colpevole, o quanto meno indirettamente responsabile, delle disgrazie altrui, e quando non è così sono gli altri a considerarlo tale. Fin dall'iniziale colloquio telefonico con Marcy, egli è chiamato a condividere le sofferenze della ragazza, e la solita frase di circostanza ("non sono affari miei") non riesce questa volta a salvarlo. Dopo che Marcy si è suicidata, Paul si trova poi nell'imbarazzante situazione di dover assistere alla scena di disperazione del barista, che – guarda caso – è proprio il suo ragazzo; egli è a un passo dal riottenere le sue chiavi, ma, immedesimandosi nel dramma dell'uomo, non se la sente di chiedergliele, e questa delicatezza gli costerà cara. Un eccesso di sensibilità gli impedisce anche di liberarsi della soffocante Julie, e persino nei confronti dei due ladruncoli Neil e Pepe ha un senso di rimorso, per averli ingiustamente creduti dei ladri (si tratta di un'eccellente trovata: Neil e Pepe sono veramente dei ladri, ma in quell'occasione, forse l'unica della loro vita, essi erano in perfetta regola, avendo acquistato in contanti la statua di Kiki). Insomma, nella sua interminabile "notte brava" Paul sembra dare sfogo ai suoi più reconditi sensi di colpa ("la colpa è sempre fuori discussione" scriveva non a caso Kafka ne "La colonia penale"), oggettivandoli alla fine in una caccia all'uomo feroce ed ossessiva.
Il girovagare notturno di Paul è anche costellato di sfortunatissimi incontri femminili, al punto che "Fuori orario" può essere a buon diritto considerato – anche se probabilmente solo in termini scherzosi – un film profondamente misogino. Marcy, Kiki, Julie e Gail sono a prima vista allettanti sirene, ma si rivelano ben presto donne nevrotiche, ossessive, volta a volta sessuofobiche o infoiate, e afflitte da mille problemi psichici. Nel momento in cui riescono ad attirare il maschio, subito lo atterriscono parandogli davanti dei simulacri castranti e inibitori (il libro sulle ustioni di Marcy, le trappole per topi che circondano il letto di Julie). Di fronte a loro, Paul appare del tutto inadeguato e simboleggia in un certo senso l'altra faccia della medaglia della liberazione sessuale, ossia quella paralizzante confusione che pervade l'uomo moderno quando cerca di approcciarsi, senza più le sicurezze virili di un tempo, all'altro sesso. Non riuscendo più a far coincidere l'immagine idealizzata e romantica dell'eterno femminino con la sua deludente e prosaica realtà, Paul si ritrae spaventato, ma le donne, offese nel loro amor proprio, si vendicano diventando le sue più accanite e feroci inseguitrici (Gail guida la caccia con il camioncino dei gelati, Julie dissemina il quartiere di volantini con il suo identikit). Scorsese mette così in scena, senza darlo troppo a vedere, una simbolica rappresentazione della guerra tra i sessi, in cui ogni sogno muliebre è infranto, l'amore è appannaggio degli omosessuali e delle coppie sado-maso, e l'unica donna che alla fine si prende cura di Paul (vale a dire June) ha – Freud docet – più della madre che dell'amante.
"Fuori orario" è, come si può vedere, un film genialmente polisenso, di una ricchezza tematica inusitata se si pensa alle sue tutto sommato modeste ambizioni e velleità intellettuali. In esso è avvertibile, con un'evidenza attenuata soltanto dal simbolismo e dalla subliminalità del messaggio, tutta l'angoscia del mondo contemporaneo. Una statua in cartapesta raffigurante la versione tridimensionale del famoso "Urlo" di Munch, un mazzo di chiavi che cade dalla finestra con una violenza insospettata, immagini orripilanti di ustioni e bruciature, un trafiletto di giornale riportante la notizia di un linciaggio di inaudita ferocia, sono tutte manifestazioni che, in modo più o meno diretto, assurgono a simbolo del disagio esistenziale dell'uomo moderno, costretto a vivere in un mondo non più fatto a sua immagine e somiglianza, in mezzo ad esseri incomunicanti tra i quali domina l'afasia (vedi ad esempio la spenta Kiki) o al contrario una bestiale legge di sopravvivenza.
Quanto sinora detto non deve farci dimenticare la dimensione prevalentemente onirica ed astratta della pellicola. Anzi, "Fuori orario" potrebbe essere addirittura annoverato, senza peccare affatto di arbitrarietà, come un ottimo esempio di cinema fantastico. Scorsese sa infatti percorrere come pochi altri il confine sottilissimo che divide la realtà dall'irrealtà, e ricavare proprio da questa programmatica ambiguità la profonda originalità del suo cinema. Da una parte il particolarissimo stile del regista (macchina da presa quasi sempre in movimento, curiosa e indagatrice, tesa ad avvolgere con le sue volute i personaggi fino al definitivo ribaltamento del proprio punto di vista) crea un senso di disorientamento, un'impressione di labirintica caoticità, una perdita di punti di riferimento temporali e spaziali, una sconcertante oscillazione tra oggettivo e soggettivo. Il montaggio, poi, elimina totalmente i tempi morti, quelli che normalmente all'interno di una azione forniscono una connotazione di maggior realismo. Ho già citato il passaggio arditamente ellittico dalla sequenza in cui Paul è a casa propria, davanti al televisore, a quella dell'incontro fatale con Marcy, ma ve ne sono molti altri (quello, ad esempio, che trasporta in un sol colpo il protagonista dall'interno del suo ufficio al cancello di uscita della ditta) che provocano accelerazioni del tutto antinaturalistiche, quando addirittura non generano, tramite vertiginose successioni di immagini, veri e propri sentimenti di paura (il mazzo di chiavi lanciato dalla finestra, le fotografie che si accavallano davanti agli occhi di Paul).
Dall'altra parte, Scorsese introduce gradualmente nella normalità piccoli elementi dissonanti, impercettibili discrepanze del senso, destinate via via ad ampliarsi e a rivelare un retroterra decisamente inquietante. Il taxi si lancia a folle velocità nel traffico cittadino, ad un normale complimento di Paul ("Hai un bel corpo") Kiki risponde che sì, è vero, lei non ha le orrende cicatrici di tante altre donne, Marcy alterna atteggiamenti affabili e incoraggianti a reazioni brusche ed isteriche, e così via. Di fronte a ciò, Paul si sente sempre più a disagio, sempre più invischiato nella invisibile pania di premure e rimorsi che trasformeranno in men che non si dica le poche ore di desiderato divertimento in una notte da tregenda. L'atmosfera si fa sempre più claustrofobica, le strade invitanti che sembrano aprirsi davanti a lui si rivelano in realtà vicoli ciechi, la pioggia affoga amaramente le poche illusioni rimaste e la trappola si chiude infine concentricamente sul povero protagonista. Una serie incredibile di coincidenze e di contrattempi (la perdita dei soldi, la consegna delle chiavi di casa al barista e la successiva scomparsa di quest'ultimo, il suicidio di Marcy) precipita Paul in una situazione tale da rendere il suo ritorno a casa un'utopia irrealizzabile. Questa è forse la parte migliore del film: la sceneggiatura è un meccanismo incalzante e diabolico che non concede un attimo di tregua. Come la pallina impazzita di un flipper, il protagonista gira a vuoto per Soho, ritrovandosi alla fine sempre negli stessi posti (la casa di Kiki, il bar, l'appartamento del barista, quello di Julie, il drugstore), che diventano i luoghi topici della disintegrazione della sua personalità.
L'ultima parte del film appare maggiormente lineare (ma vale la pena di rammentare che per Borges proprio la linea retta era l'espressione più infida ed estrema del labirinto), in quanto assume la forma di una fuga continua ed affannosa, con il protagonista sempre più solo a cercare di eludere una organizzatissima e spietata pattuglia di vigilantes di quartiere. Per fortuna Scorsese non dimentica mai completamente la sua vena umoristica: egli contrappunta ad esempio il film di musiche ironicamente eterogenee (dalle composizioni classiche dell'inizio alla musica chicana nella sequenza del taxi, dai motivi anni '50 suonati dal juke-box nel bar alla ritmica ossessiva che scandisce l'inseguimento), inventa le due macchiette di Neil e Pepe (che con i loro divertenti e anticlimatici siparietti alleggeriscono la tensione narrativa), e soprattutto escogita quel gustosissimo finale in cui Paul, per sfuggire alla perquisizione nell'appartamento di June, viene trasformato in una buffa statua di cartapesta (questo tipo di scultura, a quanto pare, dev'essere molto in voga tra gli esponenti dell'avanguardia newyorkese), viene cioè "reificato" (fase terminale di una degradazione sempre più umiliante: da uomo ad animale braccato, e da animale a cosa), prima di essere paradossalmente rubato dai due ladruncoli che lo scambiano per un'opera d'arte, e infine "smarrito" proprio davanti al luogo da cui alcune ore prima aveva preso avvio l'azione. Qui Scorsese si dimostra perfetto padrone dei meccanismi della commedia, da quella degli equivoci alla slapstick sennettiana, giungendo ad ordinare il caso (o il caos) che freneticamente agisce il protagonista in un finale di limpida simmetria e di perfetto equilibrio logico e formale. E' l'alba: Paul è tornato dietro alla sua scrivania, ma l'impressione è che l'incubo, sotto una nuova veste, sia destinato a perseguitarlo ancora, senza neppure la possibilità di quella rigenerazione che Scorsese in passato non aveva voluto negare neppure ad eroi "malati" come il Trevis Bickle di "Taxi driver" o il Rupert Pupkin di "Re per una notte".

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