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Un uomo imprigionato in un oscuro ed angusto labirinto è costretto a strisciare tra cunicoli tenebrosi zeppi di insidie,non ha memoria di ciò che gli è successo in precedenza,l'incontro con una donna a sua volta prigioniera ed immemore dona un barlume di speranza nella ricerca di una via d'uscita. Distante dalla spettacolare commistione carne/macchina di Tetsuo,ma ancora concentrato su suoni di natura meccanica,Tsukamoto fornisce un ulteriore esempio di cinema estremo,non solo nella messa in scena del soggetto ma soprattutto nella comprensione di esso. "Haze" è un mediometraggio ricco di simbolismi interpretabili attraverso molteplici chiavi di lettura,può essere un condensato di paure ataviche come quella per il buio o per la morte,rappresentata da una miriade di arti mozzati e da una sequenza di tortura poco esplicita ma comunque raggelante,oppure dalla prigionia più raccapricciante,concernente il seppellimento prematuro.Il tutto ipoteticamente imputabile ad un rapporto sentimentale che cessato per cause in apparenza tragiche diventa motivo di solitudine,irrequietezza,malinconia e quindi terrore di vivere. Ma Tsukamoto pungola la fantasia dello spettatore spingendosi ancora oltre,i suoi personaggi possono essere considerati dei neonati,giunti alla luce dopo un complesso e inesplicabile percorso,le ferite all'addome infatti potrebbero simboleggiare l'asportazione del cordone ombelicale.Il regista poi,quasi sadicamente, mostra solo alcuni spezzoni della loro vita nelle armoniose immagini finali fornendo così una visione solo parziale degli accadimenti. Supposizioni e non certezze che restano quesiti irrisolti suggeriti da un'opera dal fascino sinistro,in perenne bilico tra la vita e la morte.