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Altro film, altra impostazione, altro Jodorowsky.. non è scritto da lui e si vede, è scevro di tutta la sua visionarietà, del suo cinismo, del suo simbolismo, è più accessibile, non ci sono allegorie da decifrare, non c'è tutta la carne al fuoco e questo è anche un bene ma a lungo andare si rimpiange quella conduzione surreale che affascinava, epicità e riflessione mai troppo cercati, nonostante il pessimismo materiale che accoglie il protagonista il finale è (singolarmente in Jodorowsky) ottimista e in lui dopo l'inondazione purificatrice assurge al battesimo di vita nova spirituale. Buone le scenografie delle fogne, malsane, spazi cupi claustrofobici, non mancano i suoi freaks, il culto della trasgressione è misurato, infermi e mutilati, lo sporco e il degrado rappresentato in tutte le sue forme, ha avuto a che fare per la prima volta con un cast di livello e si vede, molto buona la prova del Sharif ladro.
E' il suo film più compatto, meglio realizzato e con i migliori attori. Straordinaria la scena del diluvio apocalittico, protagonisti ispirati ai tarocchi (c'è anche un gigante che ricorda un po' il protagonista di Simon del deserto di Bunuel, uno dei suoi maestri) grande visionarietà di un genio. Jodorowsky non è soddisfatto di questo film che aveva dei segmenti di sceneggiatura che furono eliminati e secondo lui ne hanno compromesso il senso però è consapevole di aver fatto un prodotto che è piaciuto al pubblico.
un film profondo difficile da decifrare, ambientato in un epoca e in un luogo difficilmente definibili, attori bravissimi e musica azzeccata, i temi che vengono toccati sono la povertà, il crimine nelle vesti di piccoli furti per vivere, un uomo abituato a questo stile di vita, spensierato attende di godere il patrimonio che uno sbandato che mantiene dovrebbe ereditare da un ricco zio, la delusione di veder svanire le proprie aspettative, un periodo di crisi, la voglia di scappare, la redenzione, la nuova vita.
Progressione psicoanalitica di un esistenzialismo anacronistico. Jodorowsky abbassa i toni del surrealismo ipertrofico a lui più congeniale; la sua mente modella preoccuopata lo stesso magma esoterico del passato, forse con meno coraggio, certamente senza la necessaria autonomia artistica di cui un tempo ha goduto. Il film è più compatto e lineare rispetto alle opere precedenti, ma non completamente privo dell'eversiva visionarietà che ha caratterizzato i passati lavori del regista. Le cifre stilistiche del cinema di jodorowsky restano infatti pressoché immutate: dall'ossessione per l'abnorme ed il grottesco, passando per la tradizione circense, per l'alchimia e i tarocchi, in circuiti di strade ed umori di felliniana memoria. Semplicemente agghiacciante l'incipit del film, morale effimera e bestialità sposi con prole in un valzer di moderna alienazione. L'animale vittima dell'umana nevrosi sembra quasi imparare le strutture malate della psiche del padrone; un artificio volgare, ma sottile metafora per uomini soli. Un viaggio per una redenzione, una vittima sacrificale, il verme, l'angelo, la ricchezza appesa ad un filo per funamboli idioti. Anche questa volta, come ne "El Topo", è rinascita, ma oggi è l'animale che torna, cinereo presagio di un nuovo grado d'umanità e folle trattato per l'analisi del carattere sociale. Tutto sommato un film ricco, da consumare più volte, come sempre, con l'occhio e col dente sul pensiero di carne.
Ottima commedia dell'assurdo, appena drammatica ma fondamentalmente giocosa ed ottimista. Decisamente diversa, per linearità narrativa, immediatezza e positività di fondo, dai precedenti lavori di Jodorowsky che forse, invecchiando, perde un po di mordente. Qui, per fortuna, niente stragi di animali, immagini particolarmente violente, o pindarici voli di fantasia delirante, piuttosto una storia romanticamente grottesca di vite ed amicizie ai margini, della società e della ragione; il tutto raccontato con estrema originalità senza sconfinare nel cosìddetto manierismo. Un barbone dichiarato ed uno latente condividono un'improbabile esistenza da emarginati in attesa di un benefico evento economicamente risolutore. Più sobrio del solito ma non meno efficace dal punto di vista visivo in termini di ambientazioni, scenografie e personaggi caratteristici: indimenticabile l'alloggio sotterraneo dei due protagonisti abitanti delle fogne, diviso a metà dal corridoio d'acqua che gli scorre in mezzo ma ingegneristicamente arredato ai lati con mobilio semovibile, regolato in altezza da un sistema di carrucole in base al livello dell'acqua. L'ambientazione circoscritta, umida e malsana dei cunicoli del sottosuolo e la luce giallognola e soffusa delle lanterne della rete fognaria trasmettono allo spettatore un sentore dal sapore vagamente gotico e disturbante. Altrettanto efficaci musiche, fotografie e recitazione. Eccezionale il personaggio dello Zio Rudolf interpretato da Christopher Lee, oltre ai due bravi protagonisti O'Toole e Sharif.