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Beh nonostante un paio di personaggi e sketches degni di Pieraccioni (superflua la figura del musicista inglese perennemente ubriaco) e un finale piuttosto bonaccione che ammicca - non so quanto involontariamente - all'ultima scena de "La stanza del figlio" di Moretti, la coppia Muccino-Verdone è di gran lunga la sorpresa cinematografica dell'anno.
C'è, a tratti (certo solo a tratti ma è qualcosa) un'alchimia che riesce a frenare gli istinti generazionali, quelli del solito clichè dei ventenni agrappati a un futuro incerto e dei quarantenni cinici e un po' str.on.zi: non è soltanto l'alchimia tra i personaggi di Achille ed Orfeo ma tra i due attori a creare qualcosa di insolitamente prezioso.
Vogliamo parlare dello script? Fortunatamente Verdone frena i suoi istinti da romano medio e si avvicina piu' al Gassman di "Il sorpasso" che al maccheronico e un po' stereotipato Sordi.
Non è un caso, poi, che da una parte il personaggio di Achille si adatta a uno schema non suo (sarebbe un perfetto "mostro contemporaneo" in un film francese) e dall'altra mostri qualche inattesa apertura con un cinema d'autore, meno "popolare" e piu' autoriale nel senso migliore del termine. Peccato solo che la voglia di raccontare non lo esenti da qualche sfumatura di troppo, qualche percettibile senso di disagio soprattutto tra la ricerca della figlia e il bisogno fin troppo inevitabile di Orfeo di conoscere da vicino il suo vero padre...
Ma che cosa rende "Il mio miglior nemico" una tappa importante (speriamo non un fenomeno isolato) nella carriera di Verdone? Per quanto non ricordi un suo film che meriti 8, parecchie cose: A Un senso di disagio generazionale (ecco...) e sociale descritto con una cura e una fragilità degna del nuovo cinema d'autore italiano (Calopresti su tutti) B Un mondo dominato dall'arrivismo e dal bisogno di soddisfare i propri bisogni prima di quelli degli altri ("ho passato 25 anni della mia vita a dover dimostrare di cosa era capace il figlio di un portiere" cfr. Achille-Verdone) C La dimostrazione che l'affetto verso i componenti della nostra famiglia (nel caso della madre di Orfeo è emblematico) puo' diventare un ricatto inaccettabile e un soffocante bisogno di spezzarne l'equilibrio per sempre
Alla fine, tutti perdono qualcosa, e "attraverso la perdita ci si ritrova" (ancora Moretti, la logica conseguenziale è questa)
Verdone anima splendidamente un borghese imbelle che vede tutto il suo mondo apparentemente dorato crollare improvvisamente. Figura moralmente recidiva, benchè assai diffusa, è esilarante quando è costretto a seguire Orfeo in una scassata vespa (ancora Moretti, l'antico status-symbol vale ancora qualcosa? Un'enorme senso di rimpianto per la Soggettività dell'essere e della sua "piccola proprietà?") , quasi provasse sulla sua pelle il respiro di una libertà faticosa, drammatica ma a modo anche positiva.
Ci sono inoltre diverse sequenze di prim'ordine, su tutte segnalerei l'arrivo improvviso dell'amico mentre sul monitor del computer sono immortalate le testimonianze del tradimento di Achille con la moglie di lui.
E' anche un film ossessivamente costellato da incidenti e cadute, altra segnalazione, certo molto piu' divertente di quanto sembri, di quanto la nostra vita sia quotidianamente aggrappata a certezze che non esistono.
Ma soprattutto è incredibilmente bravo e sorprendente Silvio Muccino, capace di regalare momenti di autentica, neutrale emozione: nonostante gli astuti bigliettini per innamorati che fanno temere per la sua e la nostra salute (ehm) il suo personaggio è in continua crescita, capace di trasmettere quel senso di disperata vitalità che appartiene ai giovani d'oggi. E' quasi un bambino ferito quando il senso delle sue azioni o vendette si traduce in un'ennesimo affronto ai suoi limiti, ed è anche lì che si compie il cammino interiore di un risveglio definitivo