io sono l'amore regia di Luca Guadagnino Italia 2009
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io sono l'amore (2009)

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locandina del film IO SONO L'AMORE

Titolo Originale: IO SONO L'AMORE

RegiaLuca Guadagnino

InterpretiFlavio Parenti, Tilda Swinton, Marisa Berenson, Alba Rohrwacher, Diane Fleri, Edoardo Gabbriellini, Maria Paiato, Pippo Delbono

Durata: h 2.00
NazionalitàItalia 2009
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 2010

•  Altri film di Luca Guadagnino

Trama del film Io sono l'amore

Casa Recchi: specchi, fiori, denaro e freddezza. Emma e Tancredi, i loro figli, Elisabetta, Edoardo, Gianluca, i compagni e promessi sposi, i nonni, la genealogia e le future generazioni celebrano, tra le camere e i corridoi, i giardini innevati, le grandi cucine di Villa Recchi, passaggi di consegne, avvicendamenti alla guida dell'impresa strategie familiari e consolidamenti. Consolidamenti progressivi di ruoli sempre più raggelati dalla consapevolezza della classe di appartenenza, la grande borghesia industriale lombarda. Estraneo a quel mondo Antonio giovane cuoco poco avvezzo al compromesso, condensa emozioni in piatti che non hanno diritto di cittadinanza nella trattoria di famiglia. Emma e Antonio, due creature inorganiche agli universi in cui gravitano. La passione che li porta in rotta di collisione. Spezzando i legami e mettendo entrambi in diretto contatto con la natura. Da cui Antonio trae vita per le sue creazioni, da cui Emma ha preso le distanze costruendo una nuova identità. Altissimo il prezzo da pagare. Una sola possibilità di redenzione: l'amore.

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Voto Visitatori:   5,77 / 10 (22 voti)5,77Grafico
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Voti e commenti su Io sono l'amore, 22 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Misialory  @  03/09/2022 20:30:06
   8½ / 10
Per me indubbiamente il miglior fim di Guadagnino, ne amo ogni aspetto dall'ambientazione alla sceneggiatura ai personaggi, alla regia.
L'algida Emma (Tilda Swinton), perfetta nel ruolo di moglie e padrona di casa Recchi è il personaggio intorno a cui ruota l'intera storia. Lambientazione in Villa Necchi Campiglio ha un fascino increbibile, salotti e stanze prendono vita con le feste, le cene, gli incontri familiari che qui si svolgono. La classe e l'eleganza si percepiscono in ogni inquadratura con una cura particolare dei dettaglio che il regista ci mostra (un piccolo spacco del'abito, un orecchino, un profilo, un tacco).
Tutto questo stile alto borghese e il grigio della vita di città (Milano e Londra), si contrappongono alla semplicità e alla luminosità della vita di campagna (un grasiosissimo entroterra ligure) in cui la nostra Emma farà delle frequenti incursioni alla ricerca di un sogno d'amore. Le scene di intimità all'aperto in questo contesto sono una gioia per gli occhi. Si percepisce in pieno quello che la protagonista sta vivendo, ci si immedesima nel suo stupore, nella scoperta di qualcosa di puro e primordiale, nell'amore insomma che non conosce etichette e obblighi sociali
Amo molto questo film.

matt_995  @  12/05/2018 15:12:13
   7 / 10
Quando ho visto Chiamami col tuo nome, mi son chiesto immediatamente che c'azzeccasse Luca Guadagnino, considerando i toni placidi e il ritmo lento di quel bellissimo film, con il remake del capolavoro di Dario Argento.
Ebbene vedendo (anzi rivedendo anni dopo) questo Io sono l'amore, non mi resta che ricredermi e dire che non c'è regista più adatto di Guadagnino per riadattare Suspiria.
Come nei film di Argento, infatti, anche in questo lungometraggio la musica, la fotografia, i colori, il montaggio (spettacolare lavoro di Fasano, chapeau!) sembrano far parte di un'unica immensa partitura musicale lunga quanto il film. Si viene risucchiati in un vortice di immagini, di carrelli, di dolly, di piani sequenza spettacolari e ben musicati senza riuscire più ad uscirne.
Purtroppo, e proprio come per i film di Argento, questo Io sono l'amore non si farà certo ricordare per la sceneggiatura, per carità avvincente per gran parte del film ma che poi latita nell'ultima parte senza più saper colpire come aveva fatto in precedenza. Tuttavia dubito fortemente che l'intento di Guadagnino fosse quello di fare un film che si ricorda per la sua sceneggiatura. Non siamo in un film di Scola o Monicelli, nè tanto meno in uno di quelli a tutti i costi originali firmati Kaufman.
Speriamo bene per Suspiria, insomma, ma sono fiducioso visto che la sua sceneggiatura non è firmata Guadagnino (così come quella di Call me by your name era di Ivory). Insomma, più Guadagnino-regista, meno Guadagnino-sceneggiatore!
Mezzo punto in più per Tilda Swinton, impeccabile come sempre.

paolo__r  @  29/04/2018 11:54:44
   6½ / 10
Come ha già detto qualche utente che mi ha anticipato, il film è valutabile con una votazione intermedia poiché non è "brutto", ma nemmeno particolarmente riuscito. Spiccano, per doti attoriali, Tilda Swinton e Alba Rohrwacher. Più che sufficiente.

eruyomè  @  17/12/2015 00:08:15
   3½ / 10
Bah, un vuoto esercizio di stile. Stile tra l'altro che lascia spesso a desiderare, con scelte tecniche fastidiose e fuori luogo.

L'inizio pare promettere qualcosa di interessante, ma è tutto talmente inconsistente che non lascia davvero traccia. Dei personaggi-figurine sullo sfondo non ce ne frega niente, dall'inizio alla fine, talmente piatti e inutili e senza spessore che non si possono nemmeno definire personaggi.

Tilda Swinton è pure brava, la sua Emma d'altronde è l'unico personaggio vero in scena, tra le tante figurine, ma anche la sua mi è parsa una parabola in fondo banale e poco interessante.
La trama non brilla per tutto il tempo, si tira avanti tra uno sbadiglio e l'altro, fino a sforare nel ridicolo involontario del finale, a parer mio di una pochezza davvero imbarazzante per sciatteria e pretestuosità.

Sarà un limite mio, ma non ci ho visto nulla di più che un harmony per signore. Tra l'altro grigio, spento e miserello, umanamente oltre che esteticamente.

Ciaby  @  04/02/2015 13:06:09
   7 / 10
Incredibile come questo piccolo gioiellino di rigore ed eleganza sia stato partorito dal regista di quella porcata di "Melissa P."
A livello registico è una gioia per gli occhi, pecca sul lato della narrazione, seguendo un filo lieve di melodramma piuttosto prevedibile. Ma la costruzione, il racconto e quel finale meraviglioso valgono la visione.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  12/09/2014 01:44:09
   7 / 10
Film molto meglio di quanto se ne sia detto in giro. Inspiegabile la sua modesta fama in Italia. Guadagnino con quest'opera si è ...guadagnato stima e rispetto persino da Martin Scorsese.
Il film è bello, anzi bellissimo. Sotto il profilo estetico ha classe da vendere, e affascina, ammalia anzi, inebria con uno stile padroneggiato con innegabile narcisismo. Non ne è schiacciato: il suo limite non è la maniera (viscontiana; lo dice Guadagnino nelle interviste e non può negarlo), ma una ricostruzione sociale e psicologica leggermente asfittica, una perfezione e un controllo che si sentono eccessivamente preconcetti e chiusi nell'amore per il cinema e l'arte, non aperti all'amore come da titolo. Per farla breve in sostanza non è importante se l'invaghimento per il cuoco, causa di tragedia, sia amore o soltanto desiderio di fuga: il punto è che, qualunque cosa sia, non ha esito ma soprattutto non ha coscienza ("io amo Antonio" + le immagini sui titoli di coda non aggiungono nulla al senso del film, che si ha l'impressione possa prescindere dai reali sentimenti della protagonista...e questo è grave).
Il pregio dell'opera è cmq l'essere incentrato su una donna prigioniera; vorrebbe ispirarsi alla Bergman di Rossellini. Ma se Guadagnino è bravo a variare su modelli viscontiani, è ben lontano dalle sofferenze della Bergman in un Europa '51.

[Perdonabile (sino a un certo punto...) l'aver imposto alla Swinton con accento inglese il ruolo di una russa. Verosimiglianza linguistica gettata nel cestino; tant'è].

Manticora  @  12/02/2014 15:35:30
   6½ / 10
Dopo il passo falso fatto con quella boiata di melissa p. Guadagnino recuperà un pò di stile con un film non impeccabile, ma confezionato a regola d'arte. Se la storia di per sè non è che faccia gridare al miracolo, ciò che invece colpisce l'occhio è LO STILE. I perosnaggi vengono seguiti sovente in maniera ravvicinata, in particolare Tilda Swinton ed Edoardo Gabbriellini, il cuoco. Il tutto regalando immagini fugaci, spesso sfuocate, con contrasti legati al sole, l'erba, i fiori, o la pelle bianca degli amanti.Se l'inizio con l'incedere organico della famiglia, mostrata durante una cena notturna, in una milano avvolta nella neve, ottimamente fotografata riesce a mostrare tutti i personaggi, il loro mondo frivolo, annoiato, vincente, ma in declino, purtroppo i troppi personaggi rischiano di far divagare la storia, nonostante le notevoli digressioni.Alba Rohrwacher è Elisabetta, la figlia artista, segretamente innamorata di una regazza di Londra. Pippo Delbono è il padre, distante, annoiato, sicuro della sua sicurezza economica, i figli Edoardo e Gianluca ognuno più o meno lo specchio dell'altro, in questo affresco familiare l'estraneo Antonio, cuoco che ha battuto il figlio rappresenta l'elemento che mette tutto in discussione, con la sua passione. Purtroppo la mancanza di emotività dei personaggi è paese, la Swinton è inespressiva, ma il suo stile è voluto, dalle controparti italiane mi sarei aspettato di più. Alba è l'unica che riesce ad esprimersi, anche nella distanza emotiva. Le musiche sono coinvolgenti, la passione dilaga, ma purtroppo Guadagnino anche se infiocchetta la sua confezione regalo, alle volte perde di vista la storia, inoltre buttarla sulla tragedia personalmente non giova, la vita è moolto più semplice, il finale regala almeno una parvenza di cambiamento, il che è un bene, anche se il regista deve ancora mostrare il suo valore.

Estonia  @  11/09/2011 12:24:09
   6½ / 10
Elegantissimo nella confezione, nei dettagli formali, nella ricercatezza delle inquadrature, nelle luci meravigliosamente abbaglianti e calde degli esterni collinari e in quelle liricamente metalliche delle sequenze invernali dei titoli di testa. Ma purtroppo ampiamente sofferente di un distacco emozionale che rifugge da ogni coinvolgimento emotivo, anche nel doloroso precipitare degli eventi verso la fine della vicenda, tutta giocata su un crescendo di accadimenti e di svolte narrative che fotografano la metamorfosi prima sotterranea e poi eclatante dell'efebica e delicata protagonista, superlativa nel suo ruolo complesso e assai poco accattivante.
Mentre il rigido meccanismo che sta alla base della famiglia altoborghese viene illustrato egregiamente così come la gelida convenzione dei ruoli e delle relazioni, la passione che deflagra all'improvviso a scardinare certezze e legami reciproci, determinando un'irrimediabile spaccatura tra gli individui e svelando agli occhi di Emma la natura artificiosa della sua appartenenza a una classe sociale a lei estranea, non ha però quella carica dirompente e quella chimica necessarie a scalfire la superficie formalmente patinata e sontuosa delle immagini, forse anche a causa di una vicenda improbabile e di una recitazione che a tratti sfiora un'espressività un po' meccanica e ingessata.

isaber  @  17/08/2011 14:13:56
   5½ / 10
Questo è uno di quei film che non possono essere stroncati all'unanimità perchè oggettivamente "brutti", né lodati perchè oggettivamente "belli". Questo è un film che può conquistare o che si può odiare. La critica si è infatti trovata divisa. Con tre nomination ai premi Alabarda d'oro 2010, vince come miglior regia, esaltato dalla stampa anglossassone a Venezia da noi ha avuto un'accoglienza contrastata, stroncato da molti, lodato da alcuni. Per quanto mi riguarda, l'etichetta di capolavoro e l'accostamento a Visconti sono assolutamente fuori luogo per questo film poco riuscito.
Luca Guadagnino è al suo quinto lavoro: all'attivo conta un esordio bocciato (The Protagonist, 1999), una commediola giovanile (Mundo civilizado, 2003), un documentario su un famoso chef italiano (Cuoco contadino, 2005) e il disastroso adattamento del romanzo 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (Melissa P., 2005). Partendo da un suo soggetto, scrive la sceneggiatura con tre collaboratori (I. Cotroneo, B. Alberti, W. Fasano) ed è incredibile che ci siano volute ben quattro persone per produrre una sceneggiatura così debole. Il tema di base è buono, anche se non particolarmente originale: il solito cliché di una grande famiglia, per di più molto facoltosa, che nasconde sempre, dietro al lusso e alla perfezione, delle crepe. L'elemento destabilizzante qui è rappresentato da Emma, la moglie che viene dalla Russia, quindi un outsider rispetto all'ambiente della borghesia milanese, che rappresenta l'esotico. Mentre il figlio Gianluca è simile al padre, Edoardo ed Elisabetta hanno in sè i germi dell'estraneità della madre. Edoardo lo dimostrerà sia con l'amicizia con Antonio, che non appartiene al suo ambiente, sia con un forte attaccamento alle radici della famiglia, l'azienda, opponendosi alla sua vendita a un compratore straniero. Elisabetta, più radicale, deciderà di vivere la sua omosessualità trasferendosi a Londra e studiando per diventare artista.
Emma porta il suo ruolo di moglie e madre come una maschera: molte scene sono dedicate all'atto della vestizione, gioielli compresi, che altri faranno per lei quando la donna abbandonderà la volontà di travestirsi per il suo ruolo. Emma racconta: "quando sono arrivata qui per me c'era troppo di tutto, per le strade, nei negozi, ho dovuto imparare ad essere italiana", il che indica che la donna, in qualche modo, ha soppresso la sua vera natura, il suo vero io, per diventare la buona moglie di un facoltoso industriale. (Emma non è neppure il suo vero nome, glie l'ha dato Tancredi). La predisposizione del personaggio a questo suo contatto con un passato più vero ed autentico si esplicita soprattutto nell'atto del cucinare, cosa che lei adora fare ma che la schiera di domestici al servizio della famiglia non rende necessario. Il cibo ricopre un ruolo particolarmente importante: è proprio assaggiando i piatti preparati da Antonio che Emma inizierà a provare delle sensazioni nuove, o piuttosto a ritrovarne delle vecchie. Tutto questo la rende particolarmente soggetta ad entrare nella sfera di attrazione di Antonio, l'altro outsider della storia. Di estrazione certamente più umile, il ragazzo cucina con passione e talento e coltiva la sua verdura in un terreno a San Remo. Il suo sogno è quello di aprire un ristorante immerso nella natura ("le persone dovranno arrampicarsi per mangiare i miei piatti"). Il tema dell'individuo portatore di passione che arriva a sconvolgere l'equilibrio di una famiglia bene fa pensare inevitabilmente a Teorema (Pasolini) anche se qui l'unica ad esserne turbata è la moglie. Il fatto che la donna lo incontri per la prima volta da sola mentre si trova a San Remo a passeggiare ed è incantata ad ammirare una costruzione che le ricorda la sua patria (lo sguardo scivola con continuità dalla chiesa al ragazzo che passa per strada) suggerisce un collegamento tra il richiamo alle radici e il richiamo alla passione. Il collegamento a un certo punto è sufficientemente chiaro, suggerito dall'estasi in cui Emma entra assaporando i piatti, dalla sua propensione per la fisicità (abbraccia e bacia molto spesso i figli) e dallo sforzo con cui invece indossa i suoi panni e i gioielli, e dal momento in cui Antonio le taglia i capelli liberandola da quella crocchia che simboleggia il suo essere borghese.

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Il colpo di scena finale arriva troppo puntuale proprio nel momento in cui serve. Il finale, a questo punto l'unico possibile, è rovinato da una musica invadente che vorrebbe caricare maggiormente la drammaticità di una scena, il suo essere l'estremo punto di rottura che lo spettatore ha tanto atteso, ma che, tirata troppo per le lunghe, lo fa attendere solo la fine.
Se invadenti risultano le musiche di John Adams, molto curata è la fotografia di Yorick Le Saux, che mostra tutta la magnificenza di una Milano innevata e della splendida Villa Necchi Campiglio. Un buon materiale sprecato insomma, come sprecati sono i, di solito, bravi attori: prima di tutti l'inglese Tilda Swinton (Emma), e la nostrana Alba Rohrwacher (Elisabetta). Antonio è interpretato da Edoardo Gabbriellini, solitamente utilizzato da Virzì per parti secondarie, qui alla sua prima prova in un ruolo più centrale. Volto interessante quello del giovane Flavio Parenti, qui Edoardo.

DarkRareMirko  @  13/07/2011 08:47:02
   9 / 10
immenso passo avanti rispetto al mediocre Melissa P. il film, senza dubbio il migliore di Guadagnino, si basa su una meravigliosa Swinton che da sola tiene tutto il film (ottima anche la Berenson comunque).

Coraggioso realizzare (con l'aiuto del tax credit) un film di questo tipo oggigiorno: lento, maturo, di ambiente borghese, raffinatissimo, curatissimo nel montaggio e fotografato in modo eccelso.

Tutto è quasi perfetto, dal tipo di immagine scelta all'uso della macchina da presa (che non è mai invasiva), dando al contempo sia un senso di impegno, sia un senso di leggerezza.

Viscontea storia d'amore in ambiente benestante resa magistralmente su schermo; se Guadagnino cominica a fare solo film di questo livello, abbiamo a che fare davvero con un grande regista.

ster6  @  30/04/2011 18:02:31
   5 / 10
Belle inquadrature (a volte troppo lente). Il film parte bene ma si perde in un narcisismo estremo del regista... finale banale e discutibile.

WongKarWai  @  20/04/2011 10:53:43
   6½ / 10
Trovo che questo film sia stato eccessivamente e ingiustamente bastonato. E' vero che la trama non è troppo originale, che alcune recitazioni lasciano alquanto a desiderare, ma la regia e la fotografia sono ottimamente curate, con alcuni virtuosismi interessanti. Insomma direi tutto sommato un buon film, forse di nicchia, ma è proprio quello secondo me, data la piattezza del nostro cinema attuale, che dovrebbe portare ad incoraggiare questi registi e questo cinema.

ste 10  @  12/04/2011 23:37:35
   7 / 10
Più che una saga famigliare questa film è una saga nella personalità di una donna (Tilda Swinton molto brava); il contesto in cui tutto si svolge trovo che sia riprodotto molto bene e l'alta borghesia milanese è caratterizzata in maniera per me molto azzeccata: mi è sembrato il classico film europeo fatto per piacere alla nicchia di americani filo-europeisti però tutto sommato il prodotto è riuscito dato che le emozioni che trasmette sono innegabili

dils  @  07/02/2011 16:05:30
   5 / 10
L'inizio del film sembra promettere decisamente bene, buona la presentazione di questa famiglia milanese, avvolta e imprigionata da schemi borghesi che non permettono veri rapporti umani, se non di pura formalità.
Le ambientazioni non sono male, la fotografia accattivante, poi ad un tratto tutto crolla: la storia si frammenta, il montaggio risulta spezzato e senza un senso, i personaggi non hanno piu una chiara caratterizzazione, per non parlare del finale inultimente angosciante e privo di un filo logico. Guadagnini lezioso e presuntuoso senz'altro. Unica nota positiva Tilda Swinton riesce esprimere una profonda malinconia senza usare troppe parole.
Film sconsigliato.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  05/01/2011 22:18:47
   3 / 10
L'inizio del film poteva in qualche modo riecheggiare La cadura degli dei di Visconti, ma l'impressione è durata poco. Il guaio di questo film, oltre ad una trama sicuramente poco originale, dà la netta sensazione di una vuotezza senza fine. I personaggi che dovevano essere il fulcro del film, si notano per la loro assenza, per la loro mancanza di spessore. Non ci si può concentrare tutto sulla Swindon e lasciare al margine gli altri, tra i quali la Rohrwacher, che aveva delle ottime potenzialità. Eppure il cast presenta nomi di qualità, però Guadagnino li fa sfilare come delle figurine evanescenti, con dialoghi molto scadenti. Ovvio che di fronte a ciò, anche un attore bravo non può fare miracoli.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  26/06/2010 00:21:38
   4 / 10
L'ultimo film di Guadagnino annoia e non convince. Il suo ritratto di una ricca famiglia italiana non ha nulla nè di decadente nè di affascinante, assomiglia di più ad una serie di diapositive prive di anima e a tratti sfuocate. Nemmeno gli attori mi hanno convinta.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento mkmonti  @  31/03/2010 22:52:27
   6½ / 10
Quasi deriso a Venezia, snobbato, visti gli incassi irrisori, nelle sale, Il nuovo film di Luca Guadagnino arriva dopo gli immeritati fasti di Melissa P. (questo sì da dimenticare). Io sono l'amore è davvero un bell'esempio di cinema sul piano stilistico e registico almeno nella prima ora dedicata a costruire il ritratto della ricca dinastia milanese Recchi; un coraggioso uso della mdp, forse azzardando con troppi zoom e una fotografia patinata, unita ad una sceneggiatura senza infamia, salvo alcuni dialoghi effettivamente davvero al limite, fa diella pellicola un'esperimento riuscito che conferma Guadagnino tra i maggiori talenti del cinema italiano. La seconda parte, al contrario, si perde nella ricerca affannosa di un finale ad effetto, concludendosi, invece, con una scena bella sul piano registico, ma sconsclusionata su quello narrativo (la fuga della protagonista verso l'ottimo Edoardo Gabriellini appare davvero qualcosa di azzardato dinanzi alla perdita del proprio figlio, di cui peraltro, era stata causa perlomeno indiretta, anche se giustificata in parte dalla circostanza che il peso, che il suo ruolo all'interno della famiglia, era divenuto oramai ingestibile.

3 risposte al commento
Ultima risposta 23/04/2010 19.03.34
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Invia una mail all'autore del commento Larry King  @  31/03/2010 19:08:45
   3 / 10
Assurda accozzaglia di immagini patinate, che dopo il folgorante ed ingannevole inizio, tracolla inesorabilmente verso la deriva del ridicolo involontario (la scena della chiesa dopo il funerale).
Accolto a Venezia da una marea di meritati fischi, testimonia la pochezza definitiva di un presunto cinema autoriale italiano, privo completamente di qualsiasi tipo di talento, gusto e rispetto per il pubblico.
Nulla ci viene spiegato, si assiste impotenti ad una sequela di presunte scene madri, dove la sciatteria viene scambiata per poesia, la miseria per minimalismo. Ma a chi si voleva rivolgere Guadagnino? Abbiamo capito che gli piaceva Visconti, ma chi in modo sgiagurato la paragonato al maestro, scambierebbe volentieri Massimo Boldi per Jack Lemmon, Billy Wilder con Neri Parenti.
Il fatto che alcuni sprazzi denotino un talento recondito non fa altro che accrescere il rimpianto e la desolazione.

paride_86  @  23/03/2010 15:56:16
   7½ / 10
Se Guadagnino voleva fare del suo film una saga familiare allora il tentativo è sicuramente fallito. Le psicologie dei personaggi sono poco approfondite o pressoché nulle, l'intreccio delle storie è poco significativo e il discorso sulle disuguaglianze di classe è appena accennato. Se invece l'obiettivo era fare un ritratto impressionista di una famiglia altoborghese e, in particolare, della rinascita di una donna di mezz'età, allora Guadagnino ha fatto centro.
"Io sono l'amore", nonostante le sue imperfezioni registiche - l'alternanza di inquadrature a camera fissa e zoom non è proprio originale e gradevole - è un affascinante film descrittivo e sa disegnare - attenzione, disegnare e non raccontare - un affresco di famiglia con stile e grazia.
Lo fa con tratti nitidi e con una voluttà appassionata, mai gratuita.

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER
Molto belle anche le musiche e il modo in cui vengono usate nella narrazione.

3 risposte al commento
Ultima risposta 24/03/2010 15.53.26
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fraserx  @  23/03/2010 13:00:56
   1½ / 10
ennesima dimostrazione che il cinema italiano sta realmente morendo

3 risposte al commento
Ultima risposta 04/02/2011 12.30.42
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Invia una mail all'autore del commento logical  @  20/03/2010 02:36:18
   9 / 10
Luca Guadagnino è innamorato di Tilda Swinton. Con questa certezza, ripensare al film è più riposante. Tutto torna, i suoi cento abiti, lei mamma incestuosa, padrona impeccabile, moglie di rappresentanza, seduttrice e turista, cuoca e ragazzina che scappa di casa, nuda, vestita, piegata, spogliata, rapita e mai vittima, eccetera eccetera. Ma c'è anche una storia lombarda, capitalista, borghese, 100% Antonioni, dalle inquadrature iniziali stradali, ai pranzi, alle battute tra nonno figli mogli nipoti servitù e pietanze nei piatti blu e vini nei bicchieri verde chiaro. Stanze, salotti e la microstoria del capitalismo lombardo che si vende al migliore offerente, come ha sempre fatto, unendo lo stile delle grandi famiglie industriali a quello di una pretesa nobiltà di gesti e gioielli.
"Io sono l'amore" esce per un attimo sibilato da un televisore ai piedi del letto e rimane come traccia per abbandonare una storia che è troppo classica per essere la sola trama da seguire. Essere l'amore vuol dire ovviamente abbandonare la civiltà del profitto permanente e scavarsi un buco tra altre rovine, aiutandosi anche con la gola, il più senile e quotidiano dei sensi.
La fotografia di Yorick Le Saux è straordinaria nella sua leggerezza Settanta, di grande attenzione e misurata visionarietà così come il suono felicemente naturale.
Un film che sa esistere con i suoi mezzi senza mai cadere in derive polemiche o in piatte caricature. Merito dell'amore di Luca per Tilda, senz'altro.

kampai  @  21/01/2010 18:37:10
   2 / 10
evitatelo se vi volete bene.dialoghi ridicoli e imbarazzanti, interpretazioni pressapochiste, trama ridicola.ce ne vuole di coraggio per far uscire un film di questo livello, rivalutare pieraccioni è tutto dire.uno dei peggiori film della mostra di venezia.inguardabile

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