la caduta dell'impero americano (2018)

Lo stile di Arcand emerge fin dai primi minuti: dialoghi serrati e pungenti, personaggi di cui vengon portate a nudo debolezze e punti oscuri senza scampo che si muovono in una società generalmente cinica e materialista.
Pur non perdendo mai il ritmo alterna una prima parte molto riuscita ad una seconda parte in cui ho trovato qualche forzatura di troppo per "far andare il film" in un certo modo.
Indubbiamente da a vedere, ma non mi è sembrato tra i migliori di Arcand.

Per me il migliore della trilogia di Arcand .. Non ha certo la profondità del primo nè l'ironia del secondo ma questo per quanto viri decisamente più sulla commedia e alzi notevolmente il ritmoa discapito dei dialoghi è comunque sicuramente apprezzabile .
Certo Arcand perderà punti dalla critica e li guadagnerà da un pubblico medio meno pretenzioso in termini di contenuti, ma nella sua semplicità ,nelle buone recitazioni e nella metratura psicologica dei vari personaggi colpisce nel segno .

Sotto la sottilissima patina, pretestuosa del caper movie, Arcand rimane coerente con il suo stile di cinema, fatto di dialoghi fitti, a volte anche molto taglienti come in questo caso, anche se non certo all'altezza dei suoi film migliori. Il denaro è il motore di tutto, frutto di attività illecite ma che può cambiare la vita di un fattorino laureato ormai disilluso dalla vita. Un'improabile banda di emarginati nel mare dell'alta finanza. Per Arcand ormai il mondo ha perso completamente la bussola, tra buoni dialoghi che sono sempre stati il punto forte di questo autore ed un finale che mi ha convinto appieno.

Leggero e godibile. Stavolta per Arcand ho notato un misto tra Allen e Kaurismaki. Consigliato

Commedia che non fa ridere ma piuttosto inalberare (anche un po' di più ma qua per qualche motivo non posso scriverlo) e ti ricorda una volta di più in quale mondo hai avuto la sventura di nascere. Ci vorrebbe qualche virus che ci spazzasse via definitivamente eheheh.

Terzo capitolo di una trilogia ideale iniziata nel lontanissimo 1986. Forse meno corrosivo del solito, Arcand mantiene uno sguardo spietato sulla società, sulle grandi truffe e le piccole miserie umane, e tutto si mischia e annulla l'imbecille convinzione di dividere il mondo in buoni e cattivi. In questa pellicola, però, c'è un qualcosa di favola: una storia d'amore assolutamente improbabile, quasi da romanzetto rosa, come a dare un piccolo barlume di speranza in una narrazione che descrive una quotidianità spietata. Bello.

Mi sono riletto i miei vecchi commenti sui film di Arcand, per capire per quale ragione l'ho trovato sempre impeccabile ma a tratti anche un pochetto effettistico. I dubbi permangono, ma questo epilogo della trilogia è godibilissimo come sempre, e il punto di forza sono sempre i dialoghi (cfr. "Non sono un avvocato, sono un criminale, sono onesto"). Se la prima parte è da 8 tondo tondo, la seconda mostra qualche cedimento strutturale, diventando uno strano crocevia tra i Coen, il cinema di Micheal Moore e Dinasty, la serie televisiva. Comunque è un film intelligente e spiritoso diciamo dissacrante e bisogna dargliene atto. Arcand rilegge una società - proprio quel Canada dove ci illudiamo che nulla sia fuori posto - facendoci parteggiare per chi fotte il sistema con gli stessi mezzi corruttivi, e facendoci odiare il cosiddetto Capitalismo. Tanto che la tanto decantata "beneficenza" diventa un'altra occasione di disturbo e sospetto nello spettatore comune. Maripier Morin in part. Nei panni di una Escort intellettuale farebbe innamorare molti spettatori, bellissima e incisiva. Diversi momenti del film andrebbero citati, tra Tarantinate e scene da sit-com, pur con tutte le imperfezioni stilistiche del caso, qualche lungaggine, un po' di ehm diciamo paraculismo didattico. Va visto comunque