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Il regista continua, in maniera buona, il discorso di denuncia sociale e politica iniziato con I pugni in tasca.
Professori sgradevoli, donne infedeli, trasformisti politici, ipocriti e chi ne ha più ne metta in questo ritratto italiano non dissimile da alcuni reali spaccati odierni.
Bellocchio la butta un pò più sulla farsa (più che un dramma lo definirei un film grottesco) rispetto a prima e del resto era dura bissare l'eccellenza dell'esordio; il film è comunque quasi buono e si lascia vedere in modo piacevole. Ottimo bianco-nero, bei dialoghi (che anticipano temi cari a Moretti) e score di Morricone non memorabile.
C'è anche un giovanissimo Haber, che si vede poco.
Sebbene il titolo possa evocare un film di tipo politico, La Cina è vicina è tutt'altro o perlomeno, sulla mancanza di qualsiasi tipo di ideologia politica dei suoi protagonisti, troppo curati dal proprio tornaconto personale, fra continui trasformismi (Vittorio) e arrivismo sociale (Giovanna e Paolo). Bellocchio riprende i temi de I pugni in tasca ma con uno stile più satirico, non risparmiando la cattiveria verso un mondo provinciale cui dimostra tutta la sua acredine. Leggermente sacrificato il personaggio di Camillo (il terzo fratello), non sviluppato come dovrebbe.