la citta' dei pirati regia di Raoul Ruiz Francia 1983
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la citta' dei pirati (1983)

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locandina del film LA CITTA' DEI PIRATI

Titolo Originale: LA VILLE DES PIRATES

RegiaRaoul Ruiz

InterpretiMelvil Poupaud, Hugues Quester, Anne Alvaro, André Engel

Durata: h 1.55
NazionalitàFrancia 1983
Generedrammatico
Al cinema nel Luglio 1983

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Trama del film La citta' dei pirati

La storia si articola infatti tutta intorno alle peripezie di una ragazza che passa attraverso tre figure maschili (padre, bambino/amante e aguzzino), nella ricerca dell'Isola Dei Pirati.

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Voti e commenti su La citta' dei pirati, 3 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf  @  25/03/2011 11:46:27
   10 / 10
Grandissimo film di Ruiz, un must per gli appassionati del cinema onirico.
Quoto il commento di elio, aggiungendo che secondo me Ruiz è un autore molto discontinuo, ma in alcuni suoi film si è dimostrato perfino superiore allo stesso Lynch, almeno per quanto riguarda la consapevolezza.
Lynch è più interessato a produrre film puramente onirici, mentre nei film di Ruiz il discorso è molto più complesso.
Se in Lynch si tratta al più di ricostruire un plot, in Ruiz non è possibile neanche ricostruirlo un plot, e il problema centrale è quello del linguaggio.
Basti sapere che Ruiz è stato amico di Klossowski(ha girato anche un paio di film basati su delle opere dell'amico)e frequentava quindi il circolo post-strutturalista francese.
Un cinema dunque molto più colto di quello di Lynch, per quanto in questa pellicola si possa invece intravedere maggiormente un'attinenza ai canoni puramente surrealisti(quelli de L'age d'or, per intenderci).
In questo film le citazioni di Welles e di Borges si sprecano, come nella scelta di utilizzare particolari inquadrature(come nel migliore "le tre corone del marinaio")per produrre un effetto straniante sullo spettatore(in un'inquadratura vediamo una soggettiva dall'interno di una bocca!).
Mentre in Welles certe inquadrature servivano per il piano-sequenza, dunque per abolire il montaggio, in Ruiz la produzione del senso è invece accantonata a favore di un "surrealismo colto".
Il film rielabora la storia di Peter Pan, incarnato da un infante omicida, che rappresenta probabilmente, come nella tradizione originale, il dio Pan, che assume - stando alle parole dei carabinieri - diversi "avatar".
La ville des pirates è un film dell'esilio che assume dunque connotazioni autobiografiche.
Di questo film si fanno apprezzare innanzitutto la fotografia di Vierny, davvero una delle migliori mai viste, le bellissime musiche di Jorge Arriagada, grande compositore sottovalutatissimo, e la forza delle immagini(in particolar modo il finale).
Una chiave di lettura del film è fornita allo spettatore dall'enigmatica sequenza finale, una di quelle scene "sognate" da Ruiz durante le pause dalla lavorazione del film, metodo di evidente ispirazione surrealista.
La stanza finale de "La Ville des Pirates" è un non-luogo dove il tempo è completamente azzerato(è dunque anche un non-tempo)in virtù di un eterno ritorno e gli individui, ormai ridotti ad evanescenti presenze fantasmatiche, sono condannati all'autogestazione del male che ciclicamente riemerge dalle acque.
Il bambino dell'eterno ritorno, Malo, assume dunque connotazioni negative, si presenta come incarnazione del Male, e di epoca in epoca torna per insegnare agli uomini "come uccidere".
La condizione di esilio – riferimento biografico alla condizione di Ruiz, "esiliato" per eccellenza - gioca chiaramente un ruolo fondamentale nell'interpretazione del film e si ripercuote in tutti i personaggi del film, incapaci di riconoscersi, di avere identità stabile: è il caso di Toby(il cui "io" è costantemente scisso da varie istanze che lo portano ad identificarsi con diversi memri della propria famiglia), ma anche della stessa Isidore(che si trova ad essere figlia, amante e madre) e di tutti i personaggi del film, privi di identità stabile.
Questa condizione di esilio interiore si ripercuote anche nell'esteriorità dei personaggi, incapaci di avere una fissa dimora, così come la stanza finale(le cui pareti sembrano quasi un ribaltamento del pavimento)si pone come non-luogo, come assenza di spazio definito.
La vanità dei personaggi – coltivata da Ruiz nel corso dell'intero film - culmina però nel misterioso finale: tra corpi scheletriti e sagome ridotte a mere ombre l'individuo perde completamente consistenza, diviene trasparente.
Si tratta sostanzialmente di un dialogo tra morti, uniti soltanto dal legame del Logos, sono esenti cioè da qualsiasi materialità. E' il linguaggio l'unico legame che unisce queste presenze/assenze che popolano il mondo onirico del film di Ruiz.
Il procedimento che porta all'annichilimento totale dell'individuo è essenzialmente graduale. Ciascuno dei personaggi è in cerca dell'Altro, che sia un figlio perso tanti anni prima o un fratellino.
La ricerca dell'Altro da sé porterà però ad una progressiva alienazione dei personaggi, incapaci di ritrovare l'Altro se non in se stessi(come nel caso di Toby): ognuno vuole essere altro da sé.
Il ruolo svolto dal mare è poi centrale nell'opera di Ruiz, perché è dal mare, che è sempre stato ritenuto sconfinato(dunque simbolo dell'eterno mescolarsi e fluire delle cose), che sembrano sorgere "nuove" cose: come nel precedente film capolavoro di Ruiz, Le trois couronnes du matelot, le acque rappresentano allora il luogo ideale per la genesi, per il parto di storie immortali, che vengono dal nulla(o dal tutto: il mare rappresenta infatti le infinite possibilità)e si esauriscono nel nulla.
Il bambino che torna, anch'esso sotto forma di ombra, levandosi dalle acque è dunque prodotto e al tempo stesso emblema di questo eterno fluire, che poi rappresenta cinematograficamente le infinite possibilità del racconto(tesi che Ruiz aveva già sostenuto nel sopraccitato "Le tre corone del marinaio").
A conferma di questa ipotesi vi è infatti la dichiarazione dello stesso Ruiz che voleva sperimentare ne La Ville des Pirates la coesistenza di diverse narrazioni: "La Ville des Pirates l'ho fatto dopo una conversazione con Wim Wenders: lui diceva che non si può raccontare una storia e io gli ho risposto: una storia no, ma due o tre o cento insieme sì".
Nel finale, con il ritorno del bambino Malo, prossimo alla sua nuova reincarnazione, Isidore è adesso pronta ad accogliere con Amor Fati l'eterno ritorno.
Concludo sperando che qualcuno si decida a vedere questo film - reperibile con i sottotitoli italiani - e a riscoprire la filmografia di questo GENIO, da noi noto soltanto per film mediocri e decisamente inadatti ad esprimere il talento di questo sperimentatore, a metà strada tra Nouvelle Vague(in particolar modo Godard), Welles(che riprende per stile, tematiche e setting) e il puro surrealismo.

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Ultima risposta 29/12/2013 11.40.48
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