la croce di ferro regia di Sam Peckinpah USA 1977
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la croce di ferro (1977)

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locandina del film LA CROCE DI FERRO

Titolo Originale: CROSS OF IRON

RegiaSam Peckinpah

InterpretiJames Coburn, James Mason, Maximilian Schell, Senta Berger

Durata: h 2.15
NazionalitàUSA 1977
Genereguerra
Tratto dal libro "La carne paziente" di Heinrich Willi
Al cinema nel Novembre 1977

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Trama del film La croce di ferro

Siamo nel 1943, sul fronte russo; i tedeschi tentano di resistere all'avanzata sovietica. Il capitano Stransky è un aristocratico, che vorrebbe ottenere la croce di ferro al valor militare senza meritarla. Il valoroso caporale Steiner ostacola i suoi tentativi e per questo viene abbandonato con la sua pattuglia di fronte all'offensiva nemica.

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Voto Visitatori:   7,97 / 10 (30 voti)7,97Grafico
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Voti e commenti su La croce di ferro, 30 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento anthonyf  @  23/08/2011 12:36:43
   8 / 10
"La Croce di Ferro" di Sam Peckinpah è un film che lascia molto perplessi, con una strana sensazione d'amaro in bocca, tuttavia ben diretto da un grande regista, che riesce a ritagliarsi un buon ruolo anche nel cinema di guerra.

Il cast della pellicola non è molto celebre, se tralasciamo i principali tre attori: J. Coburn, M. Schell e J. Mason; ad ogni modo, primo fra tutti, Coburn regala un'ottima performance, intensa e sentita... quella del caporale Rolf Steiner, un soldato tedesco, stanco e disilluso, che non crede più in niente e che non ha altro scopo che concludere la sua carriera sotto le armi; il secondo, Schell, interpreta magistralmente il ruolo di un villain nazista, il capitano Stransky, viscido e presuntuoso; e il terzo, Mason, leggermente assente, recita in modo convincente, incarnando il ruolo del colonnello Brandt, capo-plotone.

La regia di Peckinpah da senza dubbio una forte spinta verso la buona riuscita del film, specialmente nelle sequenze d'azione a rallentatore.

La colonna sonora non è malvagia e trascina anch'essa nelle poche volte in cui si sente; e la sceneggiatura, seppur lenta e a tratti contenente diversi discutibili cliché (vedasi la scena della vasca con la soldatessa russa), riesce a scorrere grazie al regista, agli attori e al montaggio eccellente.

Nel suo genere, particolare ma appassionante e, soprattutto, da vedere comunque.

1 risposta al commento
Ultima risposta 17/03/2012 19.44.13
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KOMMANDOARDITI  @  12/06/2011 21:02:23
   8½ / 10
--- OCCHIO AGLI EVENTUALI SPOILER! ---

E chi l'avrebbe mai detto che i soldati della Wehrmacht, addestrati dalla macchina militare tedesca alla ferocia radicale e alla ferrea spietatezza contro l'avversario, potessero anch'essi avere un'anima e persino una morale condivisibile?
Peckinpah se ne infischia altamente del glorioso cinema statunitense di propaganda bellica, quello precedente dei tanti Ford, Hawks, Walsh, Milestone, Dmytryck e salta a piè pari anche i capolavori beffardi ed antimilitaristi firmati da Kubrick.
Quello che fa è precipitarci tra le file tedesche in ritirata dal fronte russo e la sua intenzionalità provocatoria ed estrema la espone a chiare lettere: dimenticatevi i sempiterni, eroici interventismi a stelle e strisce cui siete stati abituati in passato o i protagonisti tutti d'un pezzo dei furenti e battaglieri film di Fuller; qui vedrete solo soldati nazisti, belli e buoni, brutti e cattivi e, volenti o nolenti, per la prima volta nella vostra vita, vi riscoprirete a parteggiare per un pezzettino dell'armata hitleriana.
Sembra un terreno di sfida apparentemente impraticabile, una "terza posizione" tra agiografia e denuncia difficilmente tollerabile ma il caro, burbero Peck è nato per agire di testa propria e se decide di azzardare un sorpasso l'ultima cosa che guarderà sarà proprio il riflesso nello specchietto.
Il suo è un lampo di tenebra che illumina di schegge accecanti l'oscurità di una parte di Storia sempre nascosta e mai indagata; uno squarcio febbricitante che apre ad un perlustrazione funebre ed atroce sullo svuotamento d'ideali di un nemico perdente ed in fuga. Un nemico generale in cui chiunque deve ritrovarsi ed immedesimarsi.
Così come aveva fatto nel '68, in quel suo capolavoro western di tombale rassegnazione, il vecchio Sam sancisce anche qui la morte di un mito, quello dell'onore in battaglia, dell'obbedienza cieca alle ideologie della propria patria, del rispetto incondizionato per le linee gerarchiche militari, della strenua fierezza per le decorazioni guadagnate a caro prezzo.
Il suo non è assolutamente un pamphlet moralistico contro la Guerra ma rappresenta il crudo attestato dell'inattuabilità pratica dei sacri ideali per cui ogni nazione combatte, anzi meglio, per cui ogni potere arroccato nell'ignoranza di una fortezza manda i propri sudditi al macello, a scannarsi in quell'inferno di sangue e ferro che non ammette teorie astratte ma soltanto gesti concreti.
I due personaggi principali del film nient'altro sono che simboli umanizzati, icone senzienti di due concezioni opposte che l'autore mette a confronto in una pubblica arena.
Il capitano Stransky (Maximilian Schell) è un soldato di facciata, un individuo interessato alla forma, all'etichetta, alla sterile disciplina, ha un'idea della guerra quale foriera di gloria personale e supremo tempramento spirituale; è un idealista ambizioso e superficialmente ottimistico, senza esperienza diretta sul campo nè visione tangibile della tragedia umana e nazionale che coinvolge i popoli in guerra. Il suo è un fantoccio che gesticola in un mondo che non è mai esistito, un burattino che armeggia su un palcoscenico fittizio fatto di codici sempre validi e di automi immobili e manovrabili a piacimento. E' questa la parte (dis)umana che il regista avversa, scagliandovi contro il disprezzo personale più risoluto.
Il caporale Steiner (James Coburn) al contrario è un tipo pragmatico, un disilluso, uno che ha imparato a sopravvivere col sale in zucca del buon senso e dell'umanità, uno che si è fatto pian piano ben volere da tutti i commilitoni, grazie alle doti strategiche al di fuori di tutti i possibili schematismi protocollari; è un individuo dotato della giusta lungimiranza, raccoglie in se la corretta sensazione di ciò che attorno a lui accade, percepisce l'imminente sconfitta e sa che la cosa preminente da fare è salvare la pelle, in un modo o nell'altro. E' questo l'anti-eroe crepuscolare nel quale Peckinpah si identifica ed attraverso cui cerca di passare allo spettatore il suo messaggio smitizzante e senza speranza.
E' bene comunque mettere le mani avanti e sottolinare come l'opera sia ben lontana dall'essere perfetta e inattaccabile: vive di sequenze surreali di trascinante delirio (le sragionanti allucinazioni durante la convalescenza ospedaliera di Steiner, le concitate fasi dei bombardamenti aerei sui bunker) come anche di momenti di stanca (soprattutto nella seconda parte), arenati nella retorica a buon mercato di alcuni dialoghi o sulla troppa "americanità" dei caratteri illustrati.
E' certamente una pellicola insolita e controversa, che ha fatto storcere il naso ad un sacco di critici bacchettoni e sinistrorsi, cui non è andata giù nè l'assenza dell'obbligatorio e scontatissimo messaggio pacifistico, nè la sfacciata inclinazione del suo autore per un'estetica marziale sporca ma conturbante, spregevole ma al contempo pittoricamente plumbea e ipnotica.
Inutile negare come da alcune sequenze emerga, prepotente e sensuale, una certa esaltazione trionfalistica dell'atto dell'imboscata, centellinata in tutta la sua silenziosa letalità furtiva. L'uso del ralenty, cifra formale inconfondibile del nostro metteur en scene, è peraltro tutto rivolto al prolungamento irreale della morte sul campo, addirittura trasfigurata in un atto orgasmico terminale, definitivo ed irripetibile, degno dunque di essere osservato e goduto attimo per attimo in tutta la sua brutale estasi oscena.
La maniera in cui la pellicola si chiude può scontentare ed infastidire per la sua apparente insensatezza, dando l'impressione di una vile presa per i fondelli, lasciata li ad ovviare all'impossibilità di una chiusa rinfrancante e catartica ma il senso profondo della scelta inconsulta risiede altrove.
Mentre si riallaccia alle primissime immagini di apertura, l'epilogo assurge a grottesco coronamento demolitorio della seriosità di un'istituzione che oramai ha perso tutto il suo allure romantico e leggendario, rivelandosi puerilmente nella sua più intima e seminale natura: un gioco crudele e istintivo tra eterni bambini mai cresciuti.

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Ultima risposta 28/10/2011 19.42.59
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Nikilo  @  12/06/2011 21:01:48
   8 / 10
---ATTENZIONE, IL COMMENTO CONTIENE SPOILER!---

Da sempre il cinema di guerra ha posto l'esercito tedesco in una posizione periferica, quasi mai centrata in un'ottica appropriata, rispettando quasi alla nausea i soliti canoni del "tedesco ostico e cattivo" senza mai proporre qualcosa che si elevasse, o anche solo si estraneasse al genere.
La prima caratteristica che salta all'occhio del film di Peckinpah è proprio che per una volta sono proprio i tedeshi i protagonisti della scena.

La Croce di Ferro riporta la parte ormai di arretramento ( siamo in Crimea) e del tracollo definitivo dell'esercito tedesco, che sarà costretto a indietreggiare e portando con sè il peso di una delle battaglie più cruente della storia, la battaglia di Stalingrado, dove Hitler aveva puntato gli occhi, la città simbolo di una nazione, la città che portava il nome del leader dell'Unione Sovietica. I russi naturalmente dopo aver lasciato spazio di avanzata ai tedeschi tornano successivamente alla carica, ed è proprio questa la collocazione temporale del film.

Rivoluzionario e crudo, il film di Peckinpah ci mostra la parte "cattiva" di quasi ogni film di guerra sulla Seconda Guerra Mondiale che si rispetti, conferendo in maniera abbastanza oggettiva una condizione umana al popolo tedesco. Spogliato e ripulito dai soliti patriottismi La croce di Ferro finisce per essere una trasposizione accurata del disagio e del peso di un popolo ormai condannato ad una fine inesorabile. Se pur difficile da considerare anche i tedeschi in una certa maniera sono state vittime di un sistema di comando dagli ideali distorti, soggiogati da deliri di onnipotenza nella sconcertante scalata alla vetta di un potere assoluto nella scacchiera mondiale.
Asciutto e cinico nel mostrare la violenza della guerra la pellicola si propone come un film anticonvenzionale, dove non sono due uomini a essere messi a confronto, bensì due classe sociali provenienti da due ambienti totalmenti diversi: l'alta aristocrazia prussiana e l'alto rango di ufficiali dell'esercito nazista, contrapposto ai veri soldati, esasperati da un conflitto che lentamente si è trasformato in una condanna.
Ed è questa caratteristica emergente di estrema umanità dei soldati di basso rango tedeschi, a rendere suggetiva la contrapposizione tra essi che vivono la guerra sul campo di battaglia lottando ormai solo ed esclusivamente per la vita e non più per un ideale, non più per una nazione che ormai aveva impregnato addosso il sapore della sconfitta, e gli alti ufficilai di comando che proiettati al successo di una Germania nazista invincibile, dove il prestigio di essere decorati con un pezzo di ferro, valeva di più della vita dei loro stessi camerati.
Per forza di cose viene spontaneo simpatizzare per il sergente maggiore Rolf Steiner, un personaggio particolare, quasi anarchico nel suo modo di pensare e agire, ma pur fedele ai suoi principi e ai suoi ideali, pronto a portare a casa i suoi uomini, fiero di correre il rischio di mettersi anche in prima linea. E dall'altra abbiamo il capitano Stransky di alta famiglia aristocratica, che preferisce fare la guerra il più lontano possibile da dove viene combattuta, ben lontano dai rischi che la guerra comporta, e pronto a tutto ad arrivare all'ideale che persegue.
Innanzitutto La croce di ferro si colloca in una prospettiva assai diversa dal cinema bellico comune di quegli anni ( il film è del '77), anche per le ambientazioni e il luogo di ripresa, Peckinpah infatti sembra quasi volersi in qualche modo avvicinare a quello che era il contesto europeo di quegli anni, dando alla pellicola una valenza più europea ( apprezzabile il fatto che non ci sia l'ombra di un americano).
Anche qui a suo modo ritroviamo i canoni del cinema Western tanto caro al regista, il duello, la sfida tra due uomini tanto diversi, emerge nuovamente, calandosi e miscelandosi sapientemente con quello che era il suolo di guerra. Da un certo punto di vista sembra quasi voler riprendere in maniera più estrema gli stessi canoni caratterizzanti Il Mucchio Selvaggio.

Terrificante invece il contrasto iniziale e finale della musica bellica sovrapposta al coro spensierato dei bambini in tedesco, quasi a volere identificare una sottile e agghiacciante isteria che fa da contorno a tutta la vicenda.
Suggestive le scene riprese in ralenty, nonchè la crudezza dell'immagini.

Esistono comunque dei punti deboli, fin da subito i personaggi mantengono se pur non molto visibilmente un aspetto americano, viene forse fuori un cocktail delle due cose che tende a non avere nè il gusto di uno, nè il gusto dell'altro, il personaggio di Steiner è quasi surreale, mantenendo forse le caratteristiche di un eroe da cinema western, e ancora una volta è proprio la sfida tra i due uomini a ripresentarsi. Con l'epilogo finale Stransky che finirà per accettare il duello forse neanche contro Steiner ma contro la stessa morte, il quale finirà per essere la più auspicabile fine. E' il crollo definitivo di ogni criterio di ogni certezza, ormai i sovietici avanzano inesorabilmente, e a quel punto non c'è più spazio per nulla. Se non l'ultima risata di Steiner, quasi a sottolineare con cinico sarcasmo che l'ultima cosa che rimane è solo un eco di una risata. In fin dei conti morire per un conflitto del genere finisce per essere una barzelletta. E sono solo le risate a riecheggiare nel silenzio...

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Ultima risposta 12/06/2011 21.32.46
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  12/06/2011 12:34:47
   8½ / 10
Bellissimo film di guerra di Peckinpah, sembra quasi una versione allucinata del Mucchio Selvaggio in cui gli ideali sono morti ed il peso della colpa di una nazione si riverbera sui propri soldati. Si respira il senso di sconfitta imminente e quando gli ideali si scoprono per quello che sono, conta solo la sopravvivenza di un gruppo di uomini che ha combattuto fianco a fianco.

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Ultima risposta 12/06/2011 22.47.39
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Arnold  @  11/12/2010 02:52:42
   9 / 10
Diretto, crudo e spietato in perfetto stile Peckinpah. Il film è bellissimo e come molti altri lancia una dura condanna contro la guerra e chi la alimenta (pazzi in cerca di gloria), ma a differenza di altre pellicole lo fa sopratutto attraverso le immagini più che con le parole. La violenza in un film di Peckinpah è d'obbligo, e "La croce di ferro" non fa eccezione. Le immagini sembrano ritrarre perfettamente l'amarezza del protagonista (un James Coburn forse nella sua migliore interpretazione) di fronte all'orrore della guerra e alla follia che ne deriva.

Assolutamente da vedere

2 risposte al commento
Ultima risposta 10/02/2011 22.19.19
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popoviasproni  @  02/04/2008 13:11:41
   8 / 10
Un fronte tedesco stanco e disilluso ... un tenace, ironico e valoroso caporale a confronto di un capitano aristocratico ambizioso, cinico e fanatico: questi gli ingredienti di uno spaccato bellico che non rinunciando all'azione ci mostra soldati tedeschi senza speranze.
Ottima produzione e grandi interpretazioni (Mason su tutti).
Da recuperare!

2 risposte al commento
Ultima risposta 09/04/2008 23.13.33
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  07/12/2007 20:39:19
   8½ / 10
Non mi aspettavo un film così bello.
Peckinpah è un maestro in ogni genere e anche nel bellico si ritaglia uno spazio eminente.
James Coburn è divino e Mason è al top come sempre. bellissimi i titoli di testa e stupendo lo sviluppo psicologico del dramatis personae, soprattutto nel delicato tema dell'omosessualità fra i soldati. un film coraggioso che curiosamente pone un punto di vista insolito, ma riuscito, il fronte nazista della guerra.

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Ultima risposta 08/12/2007 15.16.19
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