la stella che non c'e' regia di Gianni Amelio Italia, Francia, Svizzera 2006
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la stella che non c'e' (2006)

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locandina del film LA STELLA CHE NON C'E'

Titolo Originale: LA STELLA CHE NON C'E'

RegiaGianni Amelio

InterpretiSergio Castellitto, Wang Biao, Tai Ling, Hiu Sun Ha, Angelo Costabile, Xu Chungqing

Durata: h 1.44
NazionalitàItalia, Francia, Svizzera 2006
Generedrammatico
Al cinema nel Settembre 2006

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Trama del film La stella che non c'e'

Una delegazione cinese arriva in Italia per rilevare un grande impianto da un'acciaieria in disarmo. Vincenzo Buonavolontà, manutentore specializzato nei controlli delle macchine, è convinto che l'altoforno in vendita non sia in buone condizioni e, secondo coscienza, vuole ostinatamente trovare il guasto. Vincenzo scopre il difetto dell'impianto quando però i cinesi sono già ripartiti con tutto il carico per il loro Paese. Il protagonista senza esitazione parte alla volta di Shanghai e inizia così l'odissea di Buonavolontà in una Cina che non somiglia affatto all'immagine che ne aveva da lontano. Accompagnato da Liu Hua, una ragazza poco più che ventenne, Vincenzo percorre in lungo e in largo il grande Paese alla ricerca del "suo" impianto...

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Voti e commenti su La stella che non c'e', 41 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  09/09/2006 11:06:02
   7 / 10
Apparentemente, il nuovo film di Gianni Amelio è un'opera quasi perfetta, secondo i parametri della sua filmografia.
E' un cinema di ottime intuizioni/intenzioni, dal vasto respiro, abbastanza "occidentale" per concorrere a eventuali premi e plausi della critica internazionale. Pero' è chiaro che un film come "Il ladro di bambini" non lo vedremo mai piu'.
Amelio riscopre il film sociale à la Elio Petri, strizzando l'occhio (e consapevolmente) all'Antonioni di "professione: reporter", nelle sfumature del personaggio di Castellitto (Vincenzo Buonavolontà) capace a poco a poco di "approdare" a una nuova identità morale (affettiva) e mettere in discussione il suo rigore professionale.
Per Amelio, questo è eufemisticamente il tipo di sguardo che abbiamo davanti a un paese che non conosciamo, la Cina.
Siamo, dunque, al solito luogo comune dell'Italiano medio che "pretende" ad ogni costo - cfr. un segno anche di arroganza - di capire ad ogni costo un paese che non conosce (rispettarlo sarebbe già qualcosa).
E allora veniamo a sapere che il cosiddetto neocapitalismo marxista (?) cinese è anche il porto amaro di famiglie intere che dormono nelle fabbriche alla ricerca di un posto al sole, che i cinesi non possono avere piu' di due figli altrimenti non vengono registrati, e forse vengono abbandonati, che gli uomini abbandonano le loro donne se non possono permettersi di dar loro un tenore di vita dignitoso (forse Amelio non sa che accade anche nei "civilissimi" States, per es. ad Harlem e agli afroamericani), che ci sono i grattacieli (evviva) ma non ci fanno gli ascensori (che se esistono, e non sono guasti, li trovi al decimo piano), e così via.
Un film prevedibilmente stanco ma intenso: abbastanza risibile per aver espresso ancora una volta, e con i mezzi piu' spudoratamente facili, il proprio distacco dall'invadenza dell'altra civilta'.
E' accaduto, per altri versi e senza ovviamente il timore referenziale verso una superpotenza come la Cina, con l'Albania di "Lamerica", altro buon film che pero' invitava neanche tanto velatamente i profughi (sì oggi si chiamano extracomunitari) a restarsene a casa.
Certo, il personaggio di Vincenzo non è granchè simpatico: non lo è nonostante la sua coerenza e in fondo l'idealismo (che è la vera forza del film) siano aspetti che i piu' troverebbero sorpassati, ma che effettivamente costituiscono un'utopia formidabile nella storia del mondo industriale e di tutto cio' che si costruisce con la licenza delle proprie capacità (emblematico, in tal senso, il documentario di Daniele Vicari "la mia terra").
E' vero, "la stella che non c'è" ha alcuni dei migliori frammenti di tutto il cinema di Amelio, peccato che poi finisca con l'imporre l'emozione piu' logica, soffermandosi sui volti incauti e teneri dei bambini cinesi, quasi esplorando tutta l'innocenza di innocenti costretti a vivere in un mondo troppo adulto troppo assurdo e incomprensibile.
L'odissea di Vincenzo, o l'animo del viandante occidentale, è ora commossa, ora irritante, ora splendidamente evocativa ora faticosamente costruita ad hoc per strappare consensi pur nella sua incombente superficialità.
La Cina del linguaggio incomprensibile (per tacere dei dialetti, cfr. ma non è come il "nostro mondo"?) scorre attraente e ostica ai nostri occhi ("non avrei mai immaginato che la Cina fosse così", cfr. Vincenzo/Castellitto), e ha soltanto il volto rassicurante di Liu Hua, o del (suo?) bambino, che vorremmo sempre veder correre appresso all'occidentale davanti alla curiosità di quel mondo ampiamente imitato nei suoi aspetti forse piu' deleteri.
Amelio s'illude dell'importanza ideologica dell'italiano nel mondo: per questo i due momenti alla fine piu' toccanti del film sono quelli in cui Vincenzo sfoga la sua rabbia e le sue emozioni nelle lacrime (tardivo segno dell'uomo che espia la solitudine della propria dipendenza morale) e la "nonna che non ha mai visto uno straniero in vita sua", al quale Amelio fornisce pero' una risposta evasiva, ma emblematica, di un giovane "Italiano? Dov'è l'Italia? Sei iracheno?"

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Ultima risposta 25/09/2006 15.55.37
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