Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Raro esempio di cinema hollywoodiano che affronta di petto l'argomento monastico, dove il raffinato artigiano Fred Zinnemann può dar libero sfogo alla sua nota ricerca del realismo, qui combinata a composizioni che inevitabilmente guardano all'arte sacra. La psicologia di una figura femminile divisa tra rigidi doveri monacali e "sovversive" vocazioni filantropiche viene scandagliata dal regista con estreme sobrietà e sensibilità, chirurgiche quanto la descrizione delle dinamiche interne a conventi e missioni cattoliche, trovando in Audrey Hepburn il volto radioso necessario alla credibilità del racconto. La lunga digressione in Congo si porta dietro alcune vetuste rappresentazioni stereotipiche dell'Africa, e si tratta dell'unica vera macchia di un film altresì di gran valore artistico e intellettuale.
Quando non c'era stata ancora la rivoluzione del concilio Vaticano II: la vita in un convento per una novizia era sottoposta a rigidissime regole ai limiti della sopportazione. Oltre alla vocazione spirituale di mezzo c'è anche quella secolare di una suora che vuole essere anche infermiera e persegue la sua aspirazione di curare i malati, innumerevoli sono gli ostacoli che si frappongono ai desideri: la cieca ubbidienza all'ordine, l'ostilità di genti straniere...la guerra. Ed in sottofondo c'è sempre il dubbio e l'incertezza di aver compiuto la scelta giusta o meno. Il film analizza tre aspetti, l'ordinazione della protagonista a monaca, il suo impegno fino allo stremo in Africa e l'ultimo periodo con l'invasione nazista del Belgio; una storia così complessa è giocoforza lunga ma la pellicola non annoia anzi ci sono pure un paio di scene fortine, merito indubbiamente di un regista come Zinnermann che riusciva a tener d'occhio sia la storia che gli scenari (aiutato da Sergio Leone, si tratta di una coproduzione italiana). Ed ovviamente il delicato volto attonito della Hepburn che vale tutto il film. Bellissima la sequenza finale silenziosa come la regola imposta dall'ordine. Volevo dargli un voto più alto ma -nella parte ambientata in Congo- ho notato un paio di falle nella sceneggiatura ed un discorso circa la conversione di persone di fede diversa che non mi ha entusiasmato. Comunque un film appagante.
La Hepburn reprime tutta la sua femminilità, dà sfoggio di quell'aria di castità che ha sempre contraddistinto la sua persona, misura la recitazione mantenendola stabilmente su un profilo basso e si fa condurre da un gran regista quale era Zinnemann. La riuscita è merito dell'inossidabile regista che schiva l'apologia sulla vita monacale, schematizzato come il kubrickiano Full Metal Jacket la prima parte fotografa con distacco, o meglio ancora documenta il noviziato della suora, immersa nelle rigide norme monastiche, qualche problema sorge nella parte centrale in Congo, risucchiato negli stereotipi, nella quale risiede anche la svolta, perennemente invasa dai dubbi e dai flagelli di un luogo ardimentoso decide di votarsi a Dio ma non in clausura ma sotto le vesti di infermiera. Zinnemann mantiene un approccio laico e si interessa precipuamente della missione interiore di Suor Lucia, ansiosa di mettersi in pratica e incidentata con le aspirazione di perfezione spirituale nella quale la colloca la suora Madre.
Il film più bello sulla vita religiosa. L'ambientazione gli abiti religiosi e anche i piccoli particolari delle inquadrature sono perfetti perché comunicano più dei dialoghi. Quando la Hepburn si toglie l'anello di fidanzamento all'inizio del film, alla fine del film toglie l'anello da suora per mostrare che inizia una nuova vita. Oppure dopo l'uccisione di una suora nel Congo viene inquadrato il petto nudo di un indigeno perché ha tolto gli amuleti pagani e si è convertito. I primi piani delle suore comunicano con lo sguardo più che con le parole perché c'è il grande silenzio, come quelle che abbassa lo sguardo quando tagliano la treccia alla Hepburn il giorno della vestizione, o quando lei deve tornare indietro sulla scala perché ha corso e un'altra postulante è dispiaciuta anche per lei.
Il film è stato girato a Brugge in Belgio col contributo dell'ufficio belga per il turismo e nel Congo belga. La casa della famiglia della suroa è abitata davvero dalla famiglia di un dottore e anche la casa madre della congregazione è la casa madre delle Agostiniane di Nostra Signora della Potterie (delle stoviglie) fondata nel medioevo per curare i malati. Le suore del film indossano l'abito delle Oblate dell'Assunzione che hanno permesso di girare alcune scene nel loro convento di Froyennes e hanno ospitato le attrici nei ruoli principali per vedere la vita religiosa dal vivo, ma la storia, realmente accaduta, è delle Suore di Carità di Gesù e Maria con la casa madre a Gent, la congregazione femminile più numerosa del Belgio, la prima che ha assistito i malati di mente e la prima ad andare nel Congo come missionarie.
un film molto bello con un'interprete eccezionale...unica pecca non vengono indagate alcune cose della vita che secondo me sarebbero state molto interessanti...nel complesso comunque un'ottima pellicola piena di significato che cerca di raccontare la vita di convento, le difficoltà di una scelta radicale, senza insistere troppo e in modo pulito...da un'immagine positiva del clero e racconta una guerra con distacco e razionalità.
Ci sarebbero alcune cose da dire sulla vita delle monache raccontata in questa pellicola, ma lo farei senza cognizione di causa perciò mi limiterò ad esprimere le mie sensazioni riguardo al film. Una storia di forte umanità, interpretata da una splendida Audrey Hepburn in perenne conflitto con l'obbedienza che l'ordine monastico impone, raccontata con stile dal regista Zinneman e colorata benissimo da una ottima fotografia e da un buon ritmo che non permette distrazioni. Forse un po' troppo moralistica ed alle volte troppo rigida, ma è una storia che ottiene il consenso del pubblico e della critica, anche se non viene premiata con nessuna statuetta importante, regalando una visione emozionalmente appagante.
(Attenzione, contiene spoiler) Una ragazza belga, Gabrielle van Der Mal, figlia di un noto chirurgo, spinta da una forte vocazione mistica, entra in convento per intraprendere l'impegnativo cammino di formazione spirituale per farsi monaca. Una volta presi i voti, Gabrielle diventa Suor Lucia: il suo desiderio più grande, però, è quello di mettere a frutto i suoi studi di medicina per andare a lavorare, come infermeria, in Congo, dove ella intende aiutare i più bisognosi. Ci riuscirà, ma solo per un breve tempo, dato che verrà richiamata in Belgio per riprendere la vita monacale che lei mal sopporta, al punto che deciderà di abbandonarla per sempre pur di tornare, da laica, a potersi dedicare ad opere di carità. Fred Zinnemann dà fondo a tutta la sua abilità di autore classico e firma un film che possiede un impianto visivo e narrativo di esemplare semplicità. La pellicola mette in risalto temi alti e impegnativi, a cominciare da quello della dedizione assoluta che richiede la vita religiosa (con tutte le conseguenze che essa comporta: privazioni, rinunce, sacrifici), attraverso il personaggio di Gabrielle, una ragazza ventenne che inizialmente entra in monastero entusiasta della propria scelta, salvo poi, una volta messa alla prova dalle rigide regole della vita claustrale, essere assalita dal dubbio di aver sbagliato tutto, anche perché la sua principale ambizione era quella di assistere gli indigenti facendo l'infermiera volontaria nel Congo belga. Zinnemann affronta tutto ciò con una messa in scena sobria e rigorosa, adottando uno stile asciutto e senza fronzoli, completamente scevro da enfasi. Il ritmo è lento, i dialoghi scarni ed essenziali (specialmente nella prima parte, in cui i silenzi la fanno da padrone) e la durata (149 minuti) non indifferente; ma al regista va riconosciuto un merito: quello di aver realizzato una pellicola che riesce a coinvolgere e appassionare profondamente lo spettatore. Dopo una partenza laboriosa, la storia cresce lentamente con il passare dei minuti, fino a culminare in un finale emozionante, con la bellissima e commovente scena in cui Audrey Hepburn, nella parte di Suor Lucia, si toglie definitivamente, seppur a malincuore, la veste da monaca per tornare a reindossare gli abiti civili. A proposito della Hepburn: bisogna ammettere che all'inizio fa uno strano effetto vederla vestita da suora, poi però, man mano che la storia procede, la (sempre) splendida Audrey ha modo di dimostrare tutta la sua bravura interpretando ottimamente un personaggio sfaccettato. Una prova davvero convincente, sicuramente una delle migliori della sua carriera. Accanto a lei, risultano efficaci anche Peter Finch (nel ruolo del dottor Fortunati) e Peggy Ashcroft (nei panni di Madre Mathilde). Validi, infine, i contributi offerti dalla colonna sonora di Franz Waxman e dalla fotografia di Franz Planer. Il film, tratto dall'omonimo libro di Kathryn Hulme, adattato da Robert Anderson, ebbe sei nomination agli Oscar, ma non ne vinse nessuno.
Film che fece il pieno di nomination ma che venne sconfitto da "Ben Hur" nella notte degli oscar! Due film che in comune hanno il tema religioso! In questo film il bravissimo Zinnemann riesce a tenere sospeso il discorso teologico senza cadere mai nell'eccessiva religiosita' o nell'accusa verso un sistema rigido di formazione di clausura! Anzi ne esce fuori un ottimo film sulla liberta' di scelta e il finale è un chiaro esempio di come siamo noi a decidere la strada da percorrere! Il messaggio del regista mi è sembrato questo:sono piu' utili le suore missionarie che quelle che rimangono chiuse in un convento. Pensiero condivisibile ma non bisogna sottovalutare il potere della preghiera!
Prolisso qua e là, troppo convenzionale (tocca esattamente i temi che ci si aspetterebbe per una storia del genere) e distaccato però è giustamente pacato e misurato, e soprattutto il suo sguardo resta nell’ambito delle sensazioni personali della protagonista e delle sue scelte, senza facili generalizzazioni. Molto interessante soprattutto per la prima parte, che rende bene l’idea di come possa essere l’atmosfera e la vita in un monastero. La Hepburn incantevole come sempre, anche nei panni di una monaca. Si digerisce con facilità malgrado la lunghezza.
Potrebbe essere il classico polpettone hollywoodiano infarcito di retorica e buoni sentimenti, ma ovviamente Zinnemann ci mette molto di suo, e rende la storia avvincente e personale: la Hepburn è come sempre splendida nella parte (e non a caso, veste religiosa a parte, è stata una memorabile ambasciatrice dell'Unicef) e Finch è il miglior partner che potesse avere. Resta il fatto che questo tipo di storie mi procura l'orticaria, ma è sicuramente superiore alla media grazie al cast e al buon regista