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La Hepburn reprime tutta la sua femminilità, dà sfoggio di quell'aria di castità che ha sempre contraddistinto la sua persona, misura la recitazione mantenendola stabilmente su un profilo basso e si fa condurre da un gran regista quale era Zinnemann. La riuscita è merito dell'inossidabile regista che schiva l'apologia sulla vita monacale, schematizzato come il kubrickiano Full Metal Jacket la prima parte fotografa con distacco, o meglio ancora documenta il noviziato della suora, immersa nelle rigide norme monastiche, qualche problema sorge nella parte centrale in Congo, risucchiato negli stereotipi, nella quale risiede anche la svolta, perennemente invasa dai dubbi e dai flagelli di un luogo ardimentoso decide di votarsi a Dio ma non in clausura ma sotto le vesti di infermiera. Zinnemann mantiene un approccio laico e si interessa precipuamente della missione interiore di Suor Lucia, ansiosa di mettersi in pratica e incidentata con le aspirazione di perfezione spirituale nella quale la colloca la suora Madre.