Una vicenda che ruota intorno alle cosiddette "baby boxes": i luoghi dove i genitori coreani abbandonano i bambini che hanno messo al mondo ma che non possono o non vogliono tenere con sé, in modo che possano essere adottati e cresciuti da qualcun altro.
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Un bel film, intenso, avvolgente e ben calibrato tra il dramma e il sentimentale. Cast e regia molto ispirati, in una storia dalla profondità emotiva evidente che non manca, in corso d'opera, di un po' di retorica ma anche di critica morale e sociale. Storia che lascia spazio alla riflessione sul concetto di "famiglia", dove la vita è al centro di ogni cosa. Da vedere.
Il tema della "famiglia" torna protagonista ancora una volta in un film di Koreeda sempre bravo a mescolare personaggi presi da posti diversi ma che si amalgamano alla perfezione (ottima sceneggiatura appunto) fino a formare una "nuova" famiglia.
Molto ben espressi i caratteri della maggior parte di loro e non mancano sorprese. Il modo iniziale in cui viene trattato il bambino-oggetto è spregevole ma affascinante allo stesso tempo. Lo definirei quasi Humor nero.
Una commedia drammatica on the road che strappa sorrisi e lacrime. Promosso.
Kore'eda è uno dei miei registi preferiti tra i nomi del cinema contemporaneo. Trovo veramente pregnante la sua capacità di scrittura e lettura delle crisi della famiglia moderna in un mondo che richiede mutamento e flessibilità intra e inter-personale. E però questo "Broker" non fa che sottolineare ancora di più dei problemi che si erano già pesantemente visti nel precedente "film francese" "Le verità". Non è tanto la questione del "Kore'eda fa sempre lo stesso film". Questa è una considerazione che si può fare per quasi tutti i registi. Il vero problema di quest'ultima fase della carriera di Kore'eda è che dopo la vittoria a Cannes e la progressiva internazionalizzazione del suo nome, egli ha cercato (sta cercando) di esportare il suo cinema in ambiti produttivi che forse non gli permettono di esplicarlo come vorrebbe. Se in "Le verità" l'ambiente francese richiedeva una nostalgia acida tutta europea e che finiva per depotenziare la scrittura (mai veramente in grado di emozionare e di far ridere nonostante il tentato connubio dramma/commedia), quì il problema sta nella struttura "ad inserimento" che infarcisce la storia principale di altre macro e micro-sottotrame che sono totalmente forzate (non funzionano né i giovani gangster alla Kitano né l'inserimento del bambino dal nulla che serve come puro riempitivo da commedia). Così i piani narrativi si ingarbugliano e si affastellano appesantendo tutto l'impianto e la riflessione sulla famiglia e il mutamento della stessa. Peraltro anche questo tema è meno centrato di altre volte, quasi che Kore'eda sia dovuto venire a patti con una semplificazione dell'analisi sociologica che costringe il film, soprattutto nella seconda parte, a calcare i toni dell'emozionalità più semplice e telefonata. Insomma, sembra un film in cui data la storia manca il "discorso" cinematografico, perso in un modo di fare cinema che, fuori dai temi trattati, appare proprio lontano da Kore'eda, sottomesso a forzature produttive che si percepisce che non gli appartengono.
Le ruote degli esposti degli orientali. Questo è il tema centrale del film. tutt'ora attualissimo in Corea, a cui si mescola il tema del traffico di bambini (broker, appunto). Piuttosto realista (non so però fino a che punto verosimile); come nella realtà, nessuno è del tutto "buono" o "cattivo", nessuno dei protagonisti può considerasi "colpevole", ognuno, a suo modo, cerca di riscattarsi... tra road movie e sentimenti con, al centro, un bambino. Un po' pesante in certi passaggi lenti e noiosi, ma una visione ci sta tutta.
Il film di Koreeda tocca le corde giuste, è girato magnificamente e fa pensare a cineasti molto diversi da lui e inaspettati tipo Micheal Mann ("Heat"), e sa emozionare in diversi frammenti (gli occhi oscurati) dove tutti ma proprio tutti sono vittime delle circostanze e nessuno è veramente mai negativo o "colpevole" di qualcosa. Il limite del film è un certo buonismo (chiamatelo magari speranza umana) dove si trova sempre una soluzione affettiva anche alle grandi avversità e alle "colpe" di ognuno. La recitazione è talmente profonda, acuta e coinvolgente che tutto passa in secondo piano, ma una vicenda simile - che nasce pesante come un macigno - non dovrebbe aprirsi o chiudersi in un'illimitato (e magari) bisogno di "curare/curarsi", nel nome dell'Amore appunto. Resta comunque una conferma e una solida prova di un Cineasta che sa rappresentare la Società nel suo aspetto più (o meno) realista
Broker è tutto sommato un raod movie dove il viaggio non è altro che lo sfondo per sviluppare in maniera mai banale i personaggi coinvolti. Due amici che vogliono vendere un bambino raccolto davanti ad un ofanotrofio per affidarlo ad una famiglia e con il ricavato pagare debiti pregressi. Una madre che abbandona il piccolo, ma che ci ripensa ed intraprende il viaggio con gli altri per assicurare un futuro migliore al figlio che da sola non avrebbe potuto assicurare. C'è poi una coppia di poliziotte che indagano sulla prostituzione ed una delle due non può avere figli. Tutto ruota attorno a quel bambino, a quel simbolo di purezza che riscatta gli altri personaggi, facendoli diventare una famiglia, non legata tra loro da rapporti di sangue ma da un'uniformità di intenti. Koreeda lavora bene con i personaggi e ci conduce in questo viaggio in un contesto fondamentalmente pessimista, ma non privo di speranza.