living (2022)

Evitando di fare paragoni con il film di Kurosawa poiche' si arriverebbe ad ovvie deduzioni, posso affermare che il film di Oliver Hermanus si fa apprezzare per il suo modo garbato e molto "inglese" con cui si tratta dello spinoso problema con cui tutti noi dovremmo fare i conti...

Il bravissimo protagonista incarna alla perfezione quel passo mesto verso l'inevitabile che diventa in parte occasione di riscatto personale e familiare (fallito) e soprattutto sociale.

Unica nota stonata il discorso finale del vigilante, qualcosa di retorico che stona un po' con quanto visto fino a quel momento.

"Vivere" aveva bisogno di un Remake? Probabilmente no ma se proprio si doveva fare direi che meglio di cosi era difficile...

Da quel che ricordo d'"Ikiru", visto tropp'anni fa, la forza del film risiede nella potenza d'una storia senza fronzoli. Il remake d'Hermanus è invece manieristico, già la scelta di non transporlo in età contemporanea trattandolo com'un period drama ne intacca il valor'esistenziale, affondato ancor più da una fotografia patinata, laccata, invadente. Si salva nel 3° atto quando torn'al protagonista ormai morto sull'onda di ricordi e reazioni schiettamente disadorne.

Cambia l'ambientazione, da Tokyo a Londra, ma non cambia l'epoca, inizio anni, 50 in cui un grigio burocrate scopre di essere malato terminale. Il remake di Vivere di Kurosawa è un film che si regge nella straordinaria interpetazione di Nighy. Un uomo gelido che nel suo tramonto esistenziale vuole dare uno scopo, sia pur minimo per essere ricordato. Un cambiamento radicale che gli faccia assaporare quella felicità sepolta da anni di vita monotona e metodica, tipica dei burocrati. Una recitazione trattenuta, mai sopra le righe. L'aderenza al modello originale è rispettata, con un pizzico di speranza in più al film del regista giapponese. Quella speranza sia pur minima di aver dato l'esempio ed un lascito a chi verrà dopo di lui.