Ispirato a Totò il buono (1940) di Cesare Zavattini, è una favola sociale sugli "angeli matti e poveri" delle baracche ai margini di Milano che, minacciati di sfratto da un avido industriale, organizzano un'azione di resistenza, animata dall'orfano Totò, che solo un miracolo fa trionfare.
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Più realismo francese (alla maniera di Clair) che neorealismo italiano, più Zavattini che De Sica. Sospeso tra favola allegorica e realtà, tratto da "Totò il buono" di Zavattini - quello che scrisse il dissacrante "i poveri sono matti" - un film encomiabile e struggente, e forse troppo radicale e "diverso" rispetto alla trilogia inaugurata con Sciuscià e proseguita con Ladri di biciclette e Umberto D. L'incantesimo poetico fece irritare Bunuel, che consegnò in quell'anno un film disturbante e crudo come "I figli della violenza" in risposta a "Sciuscià" (che in realtà non era affatto benevolo con la società che produceva l'emarginazione dei cittadini). La favola di "Miracolo a Milano" viene in un certo senso ridimensionata e attualizzata dal controverso debutto registico di Zavattini, "La veritaaa", nel 1980. Memorabile l'episodio del "finto cartomante" che prevede lo stesso "futuro" ai poveri mendicanti facendo splendere (anche se solo per pochi secondi) nei loro occhi una illusoria speranza. Straordinaria la mise in scene dei ricchi-avvoltoi, con in testa un Paolo Stoppa sardonico e spregevole che non possiamo dimenticare. Un volo pindarico (il cielo sopra ... Milano) che restituisce all'Italietta del dopoguerra il conforto di una fede ingrata, nella speranza che "altrove" il mondo degli sconfitti venga finalmente risarcito