miss violence regia di Alexandros Avranas Grecia 2013
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miss violence (2013)

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locandina del film MISS VIOLENCE

Titolo Originale: MISS VIOLENCE

RegiaAlexandros Avranas

InterpretiThemis Panou, Rena Pittaki, Eleni Roussinou, Sissy Toumasi, Kalliope Zontanou, Konstantinos Athanasiadis, Cloe Bolota, Maria Skoula

Durata: h 1.39
NazionalitàGrecia 2013
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2013

•  Altri film di Alexandros Avranas

Trama del film Miss violence

Il giorno del suo undicesimo compleanno, Aggeliki salta sorridendo dal balcone della sua abitazione. Mentre la polizia e i servizi sociali cercano di capire le ragioni di quello che appare come un suicidio, la sua famiglia continua a ripetere che si è trattato di un incidente. Quale oscuro segreto Aggeliki ha portato con sé nella tomba? Perché i familiari si ostinano a cercare di dimenticarla e ad andare avanti con le loro vite?

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Voto Visitatori:   7,26 / 10 (39 voti)7,26Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
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Voti e commenti su Miss violence, 39 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento Andrea Lade  @  08/12/2013 02:09:40
   7½ / 10
Eh sì, proprio un bel film, forse il migliore di questa Venezia del 2013, un po' deludente. Tra tanti dubbi lasciati da lungometraggi in pole position, "Miss Violence" si è aggiudicato il Leone d'Argento e la qualifica di "film rivelazione", a pieno merito.
Il cinema greco è poco presente nel panorama europeo, ma quei pochi che riescono ad essere selezionati sono sempre drammi molto coinvolgenti e ben realizzati .
Il regista questa volta è Avranas, un giovane talento greco, di origine ebrea. La storia è quella di una famiglia patriarcale, dove la figura paterna riesce a dominare in modo intransigente e dittatoriale le componenti donne , 3 bambine, 2 giovani ragazze e l'anziana moglie. Un atto estremo, come il suicidio di una delle figlie, dà il via allo sviluppo della storia e svelerà lentamente lo squilibrio dei rapporti tra i familiari mettendo in luce i veri sentimenti che si nascondono tra le pareti della malsana atmosfera domestica. L'ambiguità della storia è avvertibile già dai primi minuti del film, dove i personaggi, apparentemente normali, reagiscono all'evento con una freddezza non comune e vengono ripresi in situazioni di vita quotidiana fortemente condizionati da un'educazione rigidissima e da punizioni ossessive.
Con il proseguire del film la vera tragedia prende corpo e la durezza di alcune scene suggerisce un tentativo da parte del regista di uscir fuori dai confini del vissuto per riuscire a descrivere una situazione generale di crisi dei valori morali, esistente nella sua realtà greca, e chissà, in tutto il mondo occidentale. In questo film non si vuole affrontare la crisi economica, la si accenna solamente; si insiste invece sulla degenerazione dei valori morali che da essa può conseguire: la vicenda potrebbe rappresentare la metafora della nostra società al cui interno le persone crescono ed imparano il significato delle cose che le circondano, così quando entrano a far parte del tessuto sociale non riescono a ribellarsi e a reagire perché sono abituate a vivere in quel modo da sempre.
Molta riflessione,ma anche cinema di forte impatto emotivo: una voluta scarsità di dialoghi è compensata da una fotografia nitidissima che mette in risalto alcune scene che colpiscono come un pugnale ghiacciato. Una parola alla colonna sonora , il cui tema principale è la splendida "Dancing to the end of Love" di Leonard Cohen, un motivo pervaso da malinconia e da un tocco di misticismo. Simile al jingle di una giostra d'altri tempi evoca un'atmosfera autunnale. Singolare la scelta di utilizzarlo come sfondo per una giornata di festa. La musica supera la scena e descrive esattamente il clima angosciante del film.

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Ultima risposta 10/12/2013 18.13.04
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  29/11/2013 18:58:27
   8½ / 10
presenti spoiler

Non può essere un caso e infatti non lo è.
Non può essere un caso che il film che ricorda di più questa splendida opera greca è proprio quel Dogtooth, probabilmente la miglior pellicola greca dell'ultima decade.
Due film greci (credo gli unici due che ho visto in vita mia dato che di Angelopulos non ho visto nulla), due opere sublimi e molto simili tra loro.
Torna un'altra volta la famiglia, torna un'altra volta la storia di un'aberrante educazione, torna un'altra volta la figura di un padre padrone-orco capace di plasmare a proprio piacimento i suoi figli, torna la glacialità di una vicenda che mette i brividi, torna il senso di fastidio misto a un guilty pleasure di piacere che prova lo spettatore.
Eppure i due film viaggiano su binari diversi, qua non c'è affatto l'impressionante surrealtà, o semplicemente realtà-altra di Dogtooth, qui magari si prova a travestire da surreale, perchè lo spettatore per propria difesa penserà sia tale, la vicenda invece tremendamente reale, e non soltanto realistica, che il film racconta.
E se Dogtooth poteva essere visto come un film a tesi, come un saggio, qua invece entriamo piano piano in un orrore indicibile che non vuole dimostrare niente ma solo raccontare, in un film a matrioske che ogni volta ne scopre una più brutta, una più orribile.
Da un lato mi dispiace che il film alla fine palesi in modo così evidente e terribile quello che lo spettatore nel suo incedere cominciava ad immaginare.
Quel padre ad un certo punto chiamato nonno, quel padre vero che invece non c'è, subito mi era venuta in mente l'aberrazione che alla fine si farà palese. Preferivo restasse un'idea e interpretazione mia lasciata in sospeso fino alla fine, mi piacciono da morire le domande senza risposta.
E invece tutti i pezzi alla fine tornano al loro posto, quella coppia di genitori apparentemente tranquilla al commissariato il giorno stesso che la figlia di 11 anni si è suicidata buttandosi giù, quella freddezza dei rituali di famiglia che non cambiano se non per quella sedia vuota sulla destra, quel rispetto intriso di terrore ma anche di fascinazione che tutti i figli/nipoti hanno verso il pater familias.
Ma, come in Dogtooth, qualcosa inizia a creparsi, lo show allestito dal padre inizia ad avere qualche scricchiolio, il germe della ribellione piano piano inizia a venir fuori. E' veramente soltanto quella la realtà? Solo quella la vita che ci è toccata? Così il canino tolto nel film di Lanthimos diventa il taglio con la lametta della figlia 14enne nel film di Avranas. Basta, basta, basta.
Basta per la madre, da 30 anni succuba compagna di un orco al quale non riesce a ribellarsi. Madre che sa tutto, che ha tutto nascosto in quelle rughe, madre che ingoia schifosi rospi senza avere il coraggio di ribellarsi. Madre che inizia a sentirsi male perchè prima o poi uno non ce la fa più, prima o poi, come diceva Baricco, un quadro cade senza un motivo, pluff, il chiodo non ha retto più.
Basta per Eleni, figlia e madre, probabilmente il personaggio più tragico del film perchè quello che ha conosciuto per prima l'inferno e quella che per prima dell'inferno ha visto tutti i gironi. Senza mai riuscir a riveder le stelle.
Basta per i due piccoli Philippos e Alkmini, che vedono quel nonno così premuroso ma così severo, che contano gli alberi nel bosco di un poster per punizione e che pensano che l'infanzia sia quella. Ma Philippos bene non sta,si vede. Mentre Alkmini balla come balla una bimba, una danza libera, bella, divertente. Una danza che un giorno però sarà vista da qualcuno che non è un uomo, ma un mostro. Portata nelle fauci di un mostro da un mostro ancora più brutto. E qua lo spettatore sta male, no, basta.
Basta per Myrto che in una scena devastante (meraviglioso il fatto che non la si veda in volto per farci credere fosse Eleni) soddisfa le voglie di 3 animali tra cui lui, quel verme schifoso. Ma Myrto, la più legata alla sorellina morta, è quella che comincia a ribellarsi, a creare quella crepa. Crepa che anche se lei non lo sa, porterà soltanto quell'uomo a sostituirla con la sorellina più piccola, senza aspettare i canonici 11 anni.
La macchina da presa è sempre ferma, glaciale, come quello che racconta.
Si muove solo due volte, nel volteggio in mezzo agli schiaffi e nell'impressionante piano sequenza del controllo degli assistenti sociali.
Gli attori sono incredibili con, su tutti, lui, Coppa Volpi, ed Eleni con quello sguardo che dice sempre ogni cosa e quel suo modo di sedersi sul divano composta, impaurita ed indifesa.
E quello che rimane è una sensazione fortissima, uno schifo che farà fatica a togliersi.
E la tensione della madre che pulisce i coltelli è intensissima.
Ma è anche un'altra la sensazione che rimane.
Quella del volo di quell'angelo dalla finestra, quell'incipit così drammatico nasconde anche un'altra cosa.
Sarà paradossale ma quel salto verso la fine è l'unica vera azione, l'unico vero momento nel quale, a posteriori, troviamo qualcosa di giusto e vitale, quel volo verso la morte è la cosa con dentro più vita di tutto il film.

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Ultima risposta 09/12/2013 02.59.59
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  15/11/2013 16:29:14
   9 / 10
Sembrerebbe che il cinema europeo stia firmando un atto di ribellione dietro l'altro al linguaggio cinematografico statunitense mainstream e a quello televisivo, di cui è figlio legittimo. Così assistiamo al moltiplicarsi di regie costruite principalmente su ritmi lenti o lentissimi, da sala cinematografica, quadri fissi, inaspettate o variabili profondità di campo, tagli inconsueti dell'immagine e rari (ma perfetti) movimenti di camera; all'interno di quel quadro nessun dettaglio è lasciato al caso mentre agli attori è richiesta una superlativa capacità mimico-gestual-prosemica da rappresentazione teatrale. Il suono, tornato a essere molto curato sfruttando appieno le capacità dell'ormai standard Dolby 5.0 o addirittura 7.0, spesso descrive tutto quel che viene accuratamente e programmaticamente lasciato fuori campo. Maestro indiscusso di questo tipo di mise-en-scène è senza ombra di dubbio Mikael Haneke, che col suo stile ha prodotto una serie di pellicole provocatorie e altamente disturbanti. Accanto a lui possiamo annoverare Jessica Hausner di "Lourdes", Götz Spielmann di "Revenge", Gianfranco Rosi di "Sacro GRA", Alain Guiraudie de "Lo sconosciuto del lago", persino il Polanski di "Carnage" o l'incredibile, lunghissimo finale di "Via Castellana Bandiera".

Alexandros Avranas, classe 1977, secondo lungometraggio, mutua molte di queste caratteristiche da Haneke (meritatissimo il Leone d'Argento per la regia) ottenendo prove attoriali da brivido (meritatissima anche la Coppa Volpi a Temis Panou, ma che dire delle altrettanto straordinarie Rena Pittaki e Eleni Roussinou?), una fotografia algida e perfetta con almeno due movimenti di camera da pugno allo stomaco (lo straordinario piano-sequenza iniziale del suicidio e la carrellata circolare dell'umiliazione di Philippos, un plauso a Olympia Mytilinaiou), una regia maniacale, vicina alla perfezione (nessun dettaglio scenografico lasciato al caso, movimenti di scena ineccepibili, ragazzini diretti in maniera straordinaria, ma che dire dell'intensissima sequenza della scoperta del delitto sostenuta per intero da una Eleni Roussinou ferma sulla soglia della camera da letto?).

Tuttavia le differenze tra Haneke e Avranas si notano in almeno due dettagli: 1) Laddove Haneke lascia agire la violenza fuori campo ricorrendo spesso all'evocatività del suono, Avranas alterna troncature di netto delle sequenze al parossismo dell'orrore mostrato con una freddezza che ricorda il distacco del MacNaughton di "Harry pioggia di sangue" o la terribile sequenza del suicidio in "Caché" dello stesso Haneke. Con un pizzico di compiacimento in più: il terribile sorriso determinato che ci rivolge Angeliki prima di buttarsi si stampa in mente senza più lasciarci, così come quello di Eleni alla scoperta del cadavere. 2) Il suono accompagna sempre l'immagine, anche nella sua effettistica (mirabile il piano-sequenza dell'interrogatorio degli ispettori dove il suono segue letteralmente la cinepresa nel suo spaziare da un soggetto all'altro).

Dopo averci assestato il primo pugno allo stomaco iniziale, Avranas è bravissimo a creare una mefitica atmosfera di tensione, tutta costruita sull'incongruenza della normalità, della banalità e della ripetitività di gesti ed espressioni che cozzano sempre più con la realtà di rigidità e poi, man mano, di sopraffazione e violenza che grondano dalle espressioni sofferenti delle protagoniste e del bambino. Noi spettatori sappiamo che in quell'amorevolezza ostentata del protagonista c'è qualcosa che non torna, senza contare lo spiazzamento che viviamo nel venire a sapere che Eleni è la figlia di questo nonno-padre veteropatriarcale e violento.

A tre quarti del film, poi, siamo catapultati senza troppi complimenti nella violenza fin lì nascosta o trattenuta in un crescendo di nefandezze e orrori difficilmente sostenibili (la sequenza dello stupro in serie è veramente disturbante) che ci fanno definitivamente capire come il suicidio di Angeliki sia stato in realtà un gesto straordinariamente liberatorio e di autentica ribellione allo statu quo. Forse l'unico possibile, perché la liberazione dall'orco non è detto che segni per quella famiglia un riscatto. Anzi, la cinepresa che resta fuori dal portone di casa fatto chiudere a chiave dalla nonna, ormai matriarca della famiglia, lascia presagire il peggio (io ho immaginato uno sterminio, per esempio).

Formidabile atto d'accusa contro l'ipocrisia patriarcale della "sacralità" e "intangibilità" della famiglia-modello-unico-eterosessista-e-maschilista, il film non risparmia critiche anche alla complicità femminile nel tramandare questo modello e nel coprirne le nefandezze che può produrre partecipandovi anche attivamente.

Ma accanto a questa lettura immediata, il film si presta anche a una metafora riferita tanto alla realtà greca dei nostri giorni, quanto all'Italia della crisi: quel che denuncia Avranas con potenza è il degrado morale -ancor prima che materiale- indotto dalla crisi stessa. E se proprio vogliamo andare a scavare, non è difficile scorgerci un intento satirico: basta sostituire al personaggio del nonno-padre-padrone (che resta significativamente senza nome) la figura di Giorgos Samaras, a quella degli assistenti sociali la Troika europea (l'assistente sociale donna non ha un aspetto teutonico?) e al resto della famiglia la popolazione greca, in particolare quella borghese in "contatto" col Potere, e il gioco è fatto. Quel che più fa male è notare quanta vicinanza ci sia con la realtà sociale e politica italiana, non a caso sentiamo risuonare pure le note di Toto Cutugno nella casa di uno dei personaggi più abietti del film.

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