monsieur verdoux regia di Charles Chaplin USA 1947
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monsieur verdoux (1947)

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locandina del film MONSIEUR VERDOUX

Titolo Originale: MONSIEUR VERDOUX

RegiaCharles Chaplin

InterpretiIrving Bacon, Marilyn Nash, Isobel Elson, Martha Raye, Charles Chaplin

Durata: h 2.03
NazionalitàUSA 1947
Generecommedia
Al cinema nel Luglio 1947

•  Altri film di Charles Chaplin

•  SPECIALE MONSIEUR VERDOUX

Trama del film Monsieur verdoux

Licenziato dalla banca per cui lavorava, pur di mantenere moglie e figlio, Monsieur Verdoux si inventa una nuova occupazione: seduce donne facoltose, le deruba e le uccide. Con l'ultima vittima designata però non tutto fila liscio e la porte della "santé" si spalancano sul piccolo barbablù per necessità.

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Voto Visitatori:   9,13 / 10 (50 voti)9,13Grafico
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Voti e commenti su Monsieur verdoux, 50 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

kafka62  @  07/04/2018 11:29:07
   6½ / 10
All'inizio del film, nell'inquadratura sulla quale scorrono i titoli di testa, si staglia, un po' a sorpresa, l'inconfondibile profilo di Charlot, ma a giudicare dagli esiti di "Monsieur Verdoux", questa ombra sembra simboleggiare più il senso di vuoto provocato nell'autore dalla scomparsa del suo personaggio che non un rapporto di naturale continuità con il passato. Infatti, anche se Bazin afferma provocatoriamente che Verdoux altri non è se non Charlot travestito del suo contrario, nel film si sente, eccome, la mancanza dell'omino con la bombetta e il bastone di bambù cui Chaplin è da sempre, direi quasi ontologicamente, legato. Non è solo una retrograda nostalgia per qualcosa che si è cristallizzato nella dimensione incorruttibile del mito, ma la constatazione, a mio parere ineccepibile, che il cinema di Chaplin perde moltissimo sia dalla assenza della maschera di Charlot che dalla non più procrastinabile "sonorizzazione" che ne deriva. I film di Chaplin sono sempre stati caratterizzati da una certa fragilità narrativa, insita, credo, nella loro struttura a gag in sé del tutto concluse e autosufficienti; essi sono però salvati dalla straordinaria fantasia e dall'inesauribile creatività (in una parola, dal genio) dell'autore. Venuta inevitabilmente meno la "vis comica", indispensabile per sopperire alla sostanziale mancanza di unità stilistica delle singole sequenze, Chaplin ha cercato di dare un maggior peso specifico al messaggio e all'intreccio, ricorrendo a delle costruzioni drammaturgiche maggiormente elaborate. In "Monsieur Verdoux" il risultato appare però deludente: l'andamento del film è didascalico, diseguale, semplificatorio, debitore per giunta di una logica teatrale del tutto superata (vedi la scena introduttiva in casa Cuvais). Tutta la prima parte del film è fatta di scene che non hanno alcun valore se non come "facili" espedienti di sceneggiatura per mettere direttamente "in situazione" il protagonista (l'arrivo improvviso del postino, che rivela, insieme con l'inceneritore in funzione, che Verdoux ha appena ucciso una delle sue mogli), per farne risaltare i tratti "apparenti" del carattere (la visita della signora Grosnay, che dà spunto all'asfissiante corteggiamento del neo-vedovo) o ancora per spiegare il suo passato (l'incontro con l'ex-collega della banca, che funziona un po' da flashback). Quando poi Chaplin decide di far entrare in scena dei personaggi secondari, è solo perché gli serve un pretesto per far progredire la storia (così l'amico farmacista è strumentale per ispirare a Verdoux l'idea del veleno). Per non parlare poi delle clamorose semplificazioni e schematizzazioni distribuite lungo l'intero arco della storia (dalla farmacia situata proprio dirimpetto al night fino al non certo casuale mestiere – fabbricante d'armi – dell'amante della ragazza). Peccato, perché in certi passaggi Chaplin mostra invece un notevole gusto per l'ellissi (l'assassinio della signora Floray è descritto con la semplice entrata e uscita di Verdoux dalla camera della donna) e per il paradosso (Verdoux deplora la violenza contro i gatti dopo aver massacrato con totale indifferenza un essere umano).
Da un punto di vista formale, il film risulta pesantemente condizionato dalla macchinosità della struttura narrativa. Dai campi-controcampi meccanici e ripetitivi ai raccordi eccessivamente "guidati" (per fare un solo esempio, quando inventa il gag del contrappunto sonoro tra Verdoux che suona il pianoforte e la domestica che bussa alla porta, Chaplin si sente in dovere di mostrarci anzitempo un'inquadratura della donna fuoricampo, prima di ritornare al protagonista nel salotto), dall'uso eccessivamente teatrale della macchina da presa alla scarsa incisività delle trovate comiche (alcune delle quali, come quella del tentato uxoricidio in barca, sono di dubbio gusto, mentre altre, come il gag dello scambio della tazza con il veleno, sono migliori, ma di stampo fin troppo tradizionale). "Monsieur Verdoux" dimostra di essere nel suo complesso un film involuto e senile, incapace di aggiungere alcunché alla fama del regista de "La donna di Parigi". Messe da parte le preoccupazioni stilistiche, Chaplin ha potuto dare libero sfogo alla duplice vena che da sempre serpeggia nei suoi film: quella melodrammatica e quella dell'invettiva sociale. Sotto il primo aspetto, si segnala una sovrabbondanza di elementi patetici (la moglie di Verdoux e l'uomo amato dalla ragazza che si vuole suicidare sono entrambi paralitici, la crisi economica getta sul lastrico lo sfortunato protagonista, ecc.), che sembra prefigurare il ben più spinto sentimentalismo di "Luci della ribalta", mentre sotto il secondo aspetto "Monsieur Verdoux" appare preordinato a un messaggio di critica sociale che, pur condivisibile nella sostanza, lo rende un film a tesi dalla chiara, e a tratti ingombrante, impronta ideologica (al processo, Verdoux, che ha ucciso per puro istinto di sopravvivenza e che la Società ipocrita e bacchettona condanna a morte per esorcizzare la propria cattiva coscienza, afferma: "In tutto il mondo si fabbricano ordigni sempre più perfetti per lo sterminio in massa della gente. E quante donne innocenti e bambini sono stati uccisi senza pietà, e magari in modo più scientifico. Come sterminatore sono un misero dilettante al confronto… Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo, il numero legalizza"). A differenza di quanto avviene ne "Il dittatore", la sequenza finale di "Monsieur Verdoux" è tuttavia la migliore del film, pervasa com'è da una incontestabile dignità e da un senso di nichilistica grandezza (negli occhi di Verdoux scorgiamo per un istante la tragica volontà di morire). In fondo, Verdoux che si avvia, con le mani legate, verso la ghigliottina percorre, anche se in direzione contraria, la stessa strada del Charlot di "Tempi moderni".

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Ultima risposta 07/04/2018 14.17.40
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Gruppo COLLABORATORI Harpo  @  05/11/2011 15:50:31
   10 / 10
Indubbiamente uno dei migliori Chaplin; la sola scena del bicchiere vale il voto.

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Ultima risposta 24/10/2013 12.45.34
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  07/04/2010 12:03:12
   8 / 10
Premessa doverosa. Chi scrive è visceralmente chaplinista tanto da considerare Chaplin, senza appelli, il più grande uomo di cinema mai vissuto. Anche Monsieur Verdoux è uno straordinario film, forse un capolavoro, ma non posso metterlo sullo stesso piano degli Charlot. Il motivo è semplice e cercherò di spiegarlo.
Monsieur Verdoux è un uomo fallito, licenziato dalla sua banca. Si trova allora un'altra attività, sedurre vedove facoltose per poi ucciderle e intascare o rubare il malloppo.
Senz'altro le tematiche affrontate da Chaplin sono come al solito tante e forti: il fallimento, l'avidità, il capitalismo, l' omicidio, ma anche l'amore, la pietas, la tenerezza e la presa di coscienza. Non si potrà (quasi) mai discutere sul valore morale ed umano dei film di Chaplin, straordinario accusatore della società in cui viveva, capace di usare il fioretto e quasi mai la spada. No, la mia predilezione per la serie del vagabondo è puramente tecnica, per essere precisi, sonora. Insomma, per me il Chaplin inarrivabile è il Chaplin muto. A mio parere la parola, il sonoro, la forza della voce, si è rivelata invece una debolezza. Nessuna scena del Verdoux, nessun discorso ha la forza dirompente, anzi, la Magia, delle migliori scene de La Febbre dell'oro e compagnia bella, anzi bellissima. Avete fatto caso che le due sequenze più riuscite (almeno secondo me) in Verdoux sono le uniche 2 mute (barca, vino avvelenato)? E non sembra anche a voi che il discorso di Hynkel ne il Dittatore (primo sonoro della voce di Chaplin) sia la parte più pesante e debole del film? Chaplin non ha bisogno di parlare, le sue accuse sono devastanti anche se non esplicitate in parole. Direi addirittura che con il verbo, rischia di essere retorico a volte, magari senza volerlo. Rimane inarrivabile e Verdoux una grandissima opera, anche se non è vero che sia una sceneggiatura perfetta (mi liquidi moglie e figlia con "li ho persi"?). Del resto quanto sia legato al Vagabondo lo dimostra il destino. Ci ha lasciato nel Natale del 1977, io festeggiavo il mio primo...

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Ultima risposta 11/04/2010 01.02.41
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Brundle-fly  @  11/12/2008 20:40:56
   9½ / 10
L'INIZIO DELLA FINE (DELLE UTOPIE)

Monsieur Verdoux, ex cassiere di banca licenziato al momento della Grande Crisi, deve arrangiarsi per vivere. Così, per assicurare agiatezza alla propria famiglia, una moglie paralitica e un figlio, seduce, sposa, deruba e assassina donne ricche, mature e sole. Dapprima fa sparire (l'inceneritore di casa sua, alla periferia di Parigi, funziona a pieno ritmo emettendo un fumo denso e scuro) la bisbetica Thelma Couvais. A Marsiglia, dove si spaccia per un capitano di marina sposato all'ex ballerina Annabella Bonheur, i suoi tentativi di eliminare l'esuberante comare vanno a vuoto. Rientrato in famiglia, Verdoux riesce a farsi dare da un amico farmacista la ricetta d'un veleno e, ritornato a Parigi, decide di sperimentarlo su una cavia, una povera ragazza che ospita in casa propria. Commosso dall'infelicità della ragazza, decide di graziarla. Corteggia, invece, con imperturbabile cinismo, la ricchissima Marie Grosnay e la sposa. Al ricevimento di nozze una volgare risata gli segnala la presenza di Annabella. Deve fuggire. Passati alcuni anni ritrova per caso la bella vagabonda che un giorno graziò e che ora è una ricchissima amante d'un mercante d'armi. Mentre è in un locale in sua compagnia, è riconosciuto dai Couvais, i parenti della sua prima vittima, e viene arrestato. Al processo si difende: la sua dozzina di assassinii non è nulla in confronto alle carneficine perpetrate dai potenti. Poi affronta con dignità e senza pentimenti la ghigliottina.

Chaplin, Charles Spencer (1889-1977), è figlio di due sfortunati artisti del varietà. Il padre Charles, guitto del musical, muore alcolizzato nel 1894, lasciando a Londra la famiglia nell'indigenza più assoluta. La madre Hannah, ebrea, cantante di terz'ordine, malata di nervi, trascorre lunghi periodi d'internamento presso una casa di cura. Chaplin e il fratellastro Sidney, abbandonati a sé stessi nella miseria suburbana di Kennington Road, conoscono le precoci esperienze della fame, dei piccoli lavori saltuari, dell'orfanotrofio, della mendicità, con precari inserimenti nel mondo del musical di periferia come aspiranti acrobati, mimi, illusionisti. È il 1907 quando Sidney riesce a farsi ingaggiare nella famosa compagnia di Fred Karno e, dopo molte insistenze, fa assumere anche Chaplin. Con la troupe di Karno, Chaplin gira l'Inghilterra e impara tutti i trucchi della pantomima, le astuzie e le gag dell'attore comico, i giochi di prestigio del fantasista. Ed è sempre Karno a portarlo prima a Parigi e poi negli Stati Uniti. Qui Chaplin ottiene il suo primo successo nella parte dell'ubriaco (poi suo cavallo di battaglia), facendosi notare da Mack Sennett, che lo scrittura per la Keystone. È la fine del 1913. Ma gli bastano pochi mesi per trasformare la macchietta nella figura silhouette del vagabondo senza “causa”. La tipologia clownesca, il successo mondiale del donchisciottesco personaggio, l'anarchismo vitalistico di Charlot scompariranno solo sotto la maschera di “Monsieur Verdoux”. L'opera segna la conversione del personaggio Charlot a una forma consona ai tempi nuovi degli apocalittici disincanti novecenteschi. Ecco allora il paradossale ritratto di Verdoux, inizialmente ideato da Orson Welles sulla falsariga del caso Landru, nel quale la guittesca abilità di Charlot si ridisegna in una più sapiente e adulta ragnatela di movenze dolentemente satiriche e autoironiche. Il film denuncia la fretta con cui è stato realizzato e i pochi mezzi che ha richiesto (molte scenografie sono addirittura ricostruite sul set del ghetto di “The Great Dictator”). Ma il suo clamoroso fallimento commerciale non è tanto legato alla “povertà”, quanto alla scomparsa, ora davvero definitiva, del mito Charlot.
Monsieur Verdoux si apre sull'immagine d'una lapide, con la scritta: “Henry Verdoux 1880-1937”. Una voce fuori campo dice: “Permettete che mi presenti: Henry Verdoux”. È subito un linguaggio di morti, nulla di più adeguato al tono macabro-grottesco del film (tre anni più tardi Billy Wilder avrebbe ripreso l'espediente in “Viale del tramonto”, facendone raccontare la storia al cadavere di William Holden nella piscina, in un analogo flash-back). L'invenzione opera subito uno spostamento dal piano “realistico” del racconto, giustificando l'intera struttura paradossale del film. La tragicommedia, come l'ha definita lo stesso Chaplin, non gioca sulle sfumature, ma sugli approcci brutali, senza pudore, mediata soltanto dal filo continuo dell'ironia. Si pensi alla presentazione del protagonista: Verdoux sta tagliando dei fiori con espressione dolce, in un bel giardino; la camera fa una panoramica verso sinistra fino a inquadrare un camino da cui escono volute di fumo nero. Il film non ci ha ancora detto nulla di Verdoux, ma quel fumo racchiude già tutte le azioni e il carattere del personaggio. Il quale è del resto costruito per accumulazione progressiva di momenti a connotazione opposta ma complementari: le telefonate d'affari, l'uccisione della moglie Lidia, la presentazione della moglie paralitica e via dicendo. La contrapposizione, giocata sui toni d'una noncurante casualità, è rigorosa: ogni momento nega e al tempo stesso arricchisce il precedente.
Al mattino, dopo avere ucciso la moglie Lidia, Verdoux apparecchia per due, con la felicità di chi va incontro a una giornata piena di sole; poi, di colpo, si ricorda e, senza che i suoi gesti manifestino la minima frattura, toglie un coperto. Tutto ciò che c'è di nefando nel suo comportamento non viene mai mostrato ma semplicemente alluso. Quello che viene mostrato è solo la sua esteriorità, la sua faccia sociale. Come quando rimprovera il figlio: “Non tirare la coda al gatto. C'è un po' di crudeltà in te. Non so da chi hai preso”, e subito dopo ammonisce: “La violenza genera violenza”. Il ritratto che ne esce è dunque in grado di recuperare tutte le sue apparenti contraddizioni.
Monsieur Verdoux attua una riflessione critica sulle illusioni umanitarie del passato e, in particolare, una risposta all'appello agli uomini, la più amara possibile. Durante il processo, il pubblico ministero addita Verdoux alla giuria come “un crudele, un cinico mostro”, e lui si guarda attorno per vedere di chi stia parlando. Solo la perdita degli ideali ha stravolto questa normalità. La dichiarazione conclusiva (“Il crimine non paga se condotto su piccola scala. Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo”) è introdotta da frequenti sottintese anticipazioni. “Ti sento come disperato di dentro”, gli dice la moglie. “È un'epoca disperata questa”, lui risponde. E più tardi: “Questo secolo: un precipitato di velocità e confusione”. Sintomatico in questo senso è il rapporto che Verdoux ha con la ragazza di strada che invita a casa per fare su di lei un esperimento che dovrebbe ucciderla. “Con un po' di bontà il mondo sarebbe tanto bello”, dice lei (e il desiderio di ucciderla, o meglio la necessità logica di ucciderla, diventa allora, per Chaplin, la liberazione dalle effusioni del passato, l'uccisione stessa di Charlot). Molti anni dopo è la ragazza stessa a invitarlo a “rifarsi una vita”. La risposta di Verdoux è che “la disperazione è un narcotico”. Al che lei conclude: “La vita è oltre la ragione”. Ma il “cuore” di lei (“un mattino di primavera, una notte d'estate, la musica, l'arte, l'amore”) può sopravvivere solo grazie a un fabbricante di munizioni.
Ciò che colpisce in modo immediato del finale è la serenità con cui Chaplin si distacca, lasciandolo al suo destino, da Verdoux: “l'atroce polemica del Verdoux è espressa in modo tutt'altro che violento: mai ci fu un pamphlet più socratico, più triste e quasi crepuscolare” (Fink). Prima dell'esecuzione, Verdoux accetta di bere il rum che gli viene offerto, visto che non l'ha mai assaggiato.
Piano americano: dopo che ha deposto il bicchiere, gli legano le mani dietro la schiena. La porta si apre davanti a lui, la luce del giorno lo illumina; egli respira con voluttà l'aria fresca. Gli inservienti del carcere escono. Verdoux rimane solo con una guardia. Poi anche loro s'incamminano.
Carrellata indietro: Verdoux esce dalla prigione in cortile. La camera lo segue in panoramica verso sinistra, mentre si allontana di spalle con un passo stanco e appena zoppicante. “Un breve secondo, un secondo folgorante che il cinema non dimenticherà mai: sul viso di Charlot passa la volontà di morire” (Bazin). L'esecuzione diventa l'atto culminante del rifiuto, cioè un suicidio. Ai suoi giudici lo stesso Verdoux dice: “Nell'atto di lasciare questa valle di lacrime, voglio dirvi soltanto: a ben rivederci. E presto”. Nel suo ripudio nichilista, Monsieur Verdoux si basa sul rigetto della vita in sé. Gioca sulla morte, cioè sull’antivitalismo come unica espressione possibile. È un circolo chiuso che si preclude alternative che non siano quelle di una sconfortata messa in discussione dell'esistente. “Forse quel che dà fastidio agli americani è il fatto che Monsieur Verdoux sia un piccolo-borghese, un impiegatuccio come tanti di loro, un povero diavolo con la famiglia da mantenere” (Chaplin).
La provocazione arriva a segno, anche se non in modo immediato. Nel 1952 Chaplin intraprende un viaggio per nave verso l'Inghilterra, insieme alla nuova moglie, Oona O'Neill, con cui resterà per tutta la vita (e anche questo matrimonio è oggetto di scandalo, poiché lei è tanto più giovane di lui). Durante il tragitto apprende d'essere stato sottoposto a inchiesta per filocomunismo dal Comitato per le Attività Antiamericane: se farà ritorno negli USA, sarà automaticamente tratto in arresto. Il viaggio si trasforma così in un addio definitivo. Si trasferisce con la famiglia in Inghilterra e poi, nel 1953, al Manoir de Ban nel villaggio di Corsier, presso Vevey, in Svizzera, dove ha vissuto fino alla morte.

Discussione proseguita su:
http://www.filmscoop.it/forum/search.asp?KW=Recensione+MONSIEUR+VERDOUX&SM=1&SI=TC&FM=0&OB=1

Mauro Lanari

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Dick  @  27/09/2007 20:03:18
   9 / 10
Smessi i panni di Charlot nel dopoguerra Chaplin ha fatto questo film cupo dove nei panni di Verdoux si prende gioco della società piccolo borghese e lancia critiche alle guerre. Non mancano le trovate comiche, tra cui una già vista in non mi ricordo che film, anche s' incentrano

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PetaloScarlatto  @  14/06/2007 01:53:42
   10 / 10
Crudelissimo, cinicissimo, spiazzante "esordio" nel cinema dell'orrore di un Maestro... Perchè qui di orrore di tratta...

Tratto da un soggetto di Welles che si ispirò, mi sembra, ad una storia vera...

Chaplin assassino di vedove è fenomenale e il "vecchio" vegabondo ogni tanto sbuca fuori in numeri comici di altissima poesia

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The Monia 84  @  04/03/2007 15:36:36
   10 / 10
Hands down, the best Chaplin movie so far.
In questo film, Charlot ha veramente dato il massimo, unendo ironia a sarcasmo in maniera travolgente. Riesce a interpretare benissimo la realta storica e sociale degli anni 30 legata in maniera strettissima al dramma umano del protagonista, vero capolavoro di personaggio in grado di scuotere le menti e gli animi.

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Ultima risposta 27/09/2007 20.14.24
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  25/12/2006 17:27:42
   9 / 10
Fa impressione vedere Chaplin interpretare un personaggio così diverso da Charlot. E’ cambiato totalmente il punto di vista. Non è più una persona ai margini della società, che ha così la possibilità di farci ridere e pensare con le sue disavventure da escluso. Non è più il candido e onesto vagabondo che crede nell’opera rigeneratrice della solidarietà. Adesso fa piena parte della società e ne subisce fino in fondo le deleterie conseguenze. Crolla così qualunque illusione di felicità piccolo-borghese. La conclusione è amarissima: questà società è troppo spietata, è impossibile riuscire a sopravvivere senza fingere, rubare, ingannare, uccidere. L’ipocrisia è il sentimento imperante. Tutto è pura apparenza, dietro le belle maniere c’è solo il gretto interesse. E poi perché condannare il singolo che ha ucciso, se la morte in grande scala è diventata il metodo di risoluzione delle contese planetarie? La sibillina profezia di Verdoux condannato a morte - “presto ci rivedremo tutti” - prefigura una catastrofe nucleare imminente.
Non poteva che venirne fuori un film osteggiato, evitato, capito solo dalle persone veramente aperte alla comprensione del reale. Lo stile poi è un’altra ciliegina sulla torta. Una satira leggera ma molto corrosiva. Il contrasto è quello dell’accostamento normale dei tronfi modi sociali con l’assassinio. Anche qui si sente sempre qualche cosa di agghiacciante dietro la risata.
Chaplin, bisogna dirlo, non ha più la grande agilità compositiva e scenica dei grandi film. Il film è un po’ pesante e rischia di essere monotono.
Rimane comunque un film sconvolgente, sempre attuale. Pensavo che Costa Gavras con "Cacciatore di Teste" avesse fatto qualcosa di originale. Invece no! Chaplin ci aveva pensato prima di lui!

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Ultima risposta 27/09/2007 20.29.52
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  16/02/2006 23:14:48
   7½ / 10
ancora un film tagliente e sorprende ancora di piu per l'anno in cui è stato girato se pensiamo che "il grande dittatore " è uscito prima della guerra...
il fine del film si capisce solo alla fine...io infatti mi chiedevo "ma con tutta questa storia di barbablu dove vuole arrivare?"...beh l'ho capito proprio nell'ultima parte...non mi sento pero di dare di piu perche ho visto di meglio e dieci minuti non fanno un film eccezionale che per il resto è un film bello ma non superiore ad altri

2 risposte al commento
Ultima risposta 27/09/2007 20.11.10
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cinefilomalato2  @  27/12/2005 11:48:48
   10 / 10
Forse, come disse lo stesso Chaplin, "Monsieur Verdoux" è veramente il suo miglior film. Un inno alla libertà anarchica, dove il concetto di necessità viene messo genialmente a nudo; e nel contempo una denuncia all'ipocrisia e al moralismo che regola la politica e gli stati (specie i regimi dittatoriali, ma pure i cosidetti stati democratici, vedi Stati Uniti e maccartismo...). Bellissime le sequenze finali, dal processo di Verdoux al suo avvio (con la tipica camminata di Charlot, dal significato metaforico) verso la ghigliottina.

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Ultima risposta 31/12/2005 11.21.01
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Invia una mail all'autore del commento cinefilo malato  @  08/12/2005 20:55:47
   10 / 10
Pazzesco! Chaplin si è reinventato killer!

2 risposte al commento
Ultima risposta 27/09/2007 20.07.35
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