Joe è un proletario dall'aria sorridente, uscito dalla sua dipendenza all'alcol per riuscire a non disprezzarsi. Joe si dà da fare con un'energia inesauribile, per la scalcagnata squadra di calcio che allena nel quartiere più disgraziato di Glasgow. La vita sembra farsi più dolce quando Joe incontra Sarah, un'assistente sociale appena un pelo sopra di lui nella scala sociale.
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Toccante, duro, crudo con il solito stile Ken Loach, ma comunque avvolgente e coinvolgente nella drammaticità degli eventi. Bravissimo, neanche ci fosse bisogno di dirlo, Peter Mullan!
Parte con dei toni quasi da commedia (riuscita tra l'altro, soprattutto la partita di calcio è molto divertente) per poi virare al sentimentale e infine chiudere con il dramma intenso da pugno allo stomaco. La parte drammatica è comunque presente lungo tutto il film, però l'inizio fa pensare ad un qualcosa che si mantiene anche su toni più leggeri, e forse questo fa subire ancora di più il dramma della seconda parte allo spettatore che potrebbe non essere del tutto preparato.
Sempre dalla parte degli ultimi, senza sottrarsi ad una panoramica sociale che parte da contesti difficili al limite dell'impossibile, Ken Loach scandaglia l'animo umano nelle sue più varie sfumature, in un racconto apparentemente leggero che invece nel suo dipanarsi si fa progressivamente sempre più problematico. Meglio non svelare la parte finale, quella più dura, basta dire che la materia è viva come i personaggi presenti, tutti o quasi fortemente caratterizzati e perfettamente al loro posto nel mondo. Grande prova di Mullan, proletario irascibile e generoso: in una parola, indimenticabile.
Un film meraviglioso, fiero di averlo in dvd. Peter Mullan è da brividi, il resto del cast perfettamente azzeccato, uno dei miei preferiti della scena inglese.
È il tentativo di redenzione quello che Ken Loach mette in scena con "My Name Is Joe": voltare definitivamente pagina all'alcol, divertirsi in modo sano tramite partite amatoriali di calcio, trovare l'amore in Sarah. Ma, come da tradizione nei film di Loach (anche futuri), è impossibile sfuggire ai dati di realtà, alla propria condizione sociale, "ambientale", al milieu culturale: Joe è un disoccupato che vive tramite un sussidio e con alle spalle seri problemi di alcolismo, per di più in un mondo pericolosamente vicino a micro-gang criminali. Sarah è una piccolo borghese, dipendente pubblica progressista: Loach fa incontrare mondi vicini ma distanti e lo fa con il solito sguardo attento alle contraddizioni umane, esistenziali e sociali di un degradato nord del Regno Unito (sceneggiatura, as usual, di Paul Laverty). L'altruismo, il senso di comunità e umanità pongono però Joe nella condizione di dover fare una scelta che rimette in discussione tutto il suo percorso di uscita dal baratro: ne viene fuori un film che oltre a toccare ed esporre i temi classici a Loach trova anche momenti di rara delicatezza (non proprio usuali per il cineasta inglese) e che inevitabilmete, raccontando la realtà, ne racconta anche l'infinita, plurima, inestricabile tragedia.
Un pò diverso dagli ultimi di Loach , tratta sempre degli ultimi e degli emarginati ma lavori più recenti il regista aveva preso una direzione più verso il sociale e il mondo del lavoro mente qui si è in un'ottica più estremista con persone di malaffare coinvolte in brutti giri . Comunque è un buonissimo film , molto crudo e diretto ,non lascia nulla di intentato e anche nelle sequenze più violente ,sia fisiche che verbali, mette lo spettatore in prima fila. Loach è sempre una garanzia quando si tratta di fare film che trattano temi drammatici di tutti i giorni
Tutti i film di Loach, o almeno quelli sociali ("Riff-Raff", "Piovono pietre", "Ladybird ladybird"), presentano alcuni tratti distintivi che rendono la sua opera un unicum facilmente riconoscibile. Come punto di partenza c'è sempre una situazione di degrado umano (spesso segnato da droga e alcolismo), di precarietà lavorativa e di marginalità sociale, peraltro mai vissuta con autocommiserazione bensì con spirito spesso goliardico e autoironico. C'è poi sovente una storia d'amore, resa difficile e incerta proprio dalla condizione sociale dei personaggi. E infine uno sviluppo narrativo che non disdegna spunti thriller per rendere la vicenda maggiormente coinvolgente. Se si considera che il finale concede sempre, ottimisticamente e contro ogni plausibilità realistica, ai disgraziati anti-eroi loachiani una chance per il futuro, condonando loro con simpatia i loro errori e persino i loro delitti, si può ben dire che il regista inglese continua da anni a fare sempre lo stesso film. "My name is Joe" non fa eccezione a questa regola, e come tale non può essere segnalato per la sua originalità artistica. Eppure, per l'umanità dei personaggi, per l'autenticità degli ambienti e la freschezza dei dialoghi e situazioni (soprattutto nella prima parte, laddove non c'è ancora una trama da rispettare e il regista si può permettere di girare scene di puro divertimento, come quelle dei grotteschi incontri di football giocati dalla scalcagnata squadra di Joe e quella dei lavori fatti da Joe e dal suo compare in casa di Sarah), "My name is Joe" è un film sopra la media del genere (quella dei "Full Monty", per intenderci). Il dilemma etico del protagonista (è lecito compiere un delitto – nella fattispecie spacciare droga – per aiutare un amico in difficoltà?) è poi niente affatto banale, anche se non viene, come accennato, risolto in termini tragici (quelli di tanti film del passato, come "Sono innocente" o "Carlito's way", in cui i personaggi non riescono a liberarsi del tutto dal loro passato e finiscono per soccombere al cinico e crudele destino;
qui l'unica vittima sacrificale è Liam, l'amico tossicodipendente che si suicida
). Insomma, con o senza la Tatcher, per la classe operaia inglese la vita continua a essere durissima, ma grazie all'amore, all'amicizia e alla solidarietà umana c'è pur sempre alla fine (sebbene Loach non sia Frank Capra) la speranza di un riscatto esistenziale.
Un pugno nello stomaco. E' un film duro, non ti risparmia niente, ma nemmeno ti ricatta con la lacrima facile o con un moralismo d'accatto. Questi "eroi normali" di Loach sono commoventi. Emarginati, indifesi, disarmati e disarmanti, genuini nella loro bontà semplice e spiccia. Identificazione ed empatia inevitabile, a meno di essere aridi psicopatici.
Si spera nel lieto fine dopo tanta ingiustizia e tanta pena. Se ne intravede un barlume negli ultimissimi secondi. Ci si arriva a sperare tanto davvero.
Un film crudo e reale fin dai primi fotogrammi. I protagonisti non sono strafighi hollywoodiani, sono persone normali, con problemi concreti e reali. Alcuni dialoghi lasciano di stucco e Loach non scende nel banale/ovvio e si mantiene equilibrato e perfetto, nonostante la particolarità e drammaticità della storia si sarebbe prestata più che bene a toni melodrammatici e lacrimuccia facile. Peccato fosse così poco conosciuto.
Come sempre Ken Loach sfrutta la " storia " per mettere in luce contraddizioni e ingiustizie sociali. My Name Is Joe è sicuramente uno degli episodi più riusciti all'interno della sua prolifica filmografia, sempre in perfetto equilibrio tra dramma, ironia e umorismo, con un'insolita svolta d'azione nella seconda parte dove i legami tra i personaggi tendono terribilmente a complicarsi. Ottime davvero le caratterizzazioni, sempre a distanza di sicurezza dal pericolo macchietta. Peter Mullan giustamente premiato a Cannes nel 98.
confermo il voto di chi mi ha preceduto, veramente più che buono. molto brava la coppia di attori principali, che si muove in un contesto sporco, suburbano, con una regia distaccata e fredda che accresce questo senso di disagio e degrado. non c'è spazio per la lacrimuccia facile, troppo duro e diretto. Ventiquattro sette di Meadows lo ricorda parecchio, specie nel contesto.
Ken Loach l’impegnato torna nella su amata Glasgow per raccontarci ancora una volta una storia di emarginati,di perdenti che lottano quotidianamente per emergere dalla melma di una città resa ancor più grigia dagli innumerevoli problemi che la attanagliano. Ed è ancora la working class britannica a fungere da molla ispiratrice per il regista, molto bravo nella rappresentazione di una storia che nasce con tono leggero per poi tramutarsi in tragedia.Azzeccata la scelta degli attori,Peter Mullan e Louise Goodall hanno infatti i volti giusti per interpretare due figli del proletariato e forniscono un’ interpretazione davvero emozionante che nel caso di Mullan fu premiata a Cannes nel’98. La storia d’amore tra i due,un ex alcolizzato ed allenatore di una scarsa squadra di calcio amatoriale e un' assistente sociale ,è solo un pretesto per parlare ancora una volta di droga,criminalità,assenza di posti di lavoro,ma anche di senso del dovere e di lealtà nei rapporti d’amicizia. Ciò che colpisce, oltre all’ottima caratterizzazione dei personaggi, è quel senso di realtà che trasuda dalla pellicola,non sembra neppure di assistere ad un film ma ad un documentario che ci illustra la vita nei bassifondi scozzesi. Non siamo ai livelli di “Piovono pietre” o “Riff Raff” ma Loach firma l’ennesima pellicola di grande interesse,vicina a quelle classi sociali delle quali spesso ci si dimentica.