Barbara Graham (Susan Hayward) è una giovane donna dalla condotta tutt'altro che esemplare. Quando viene incriminata per un delitto che non ha commesso, l'opinione pubblica le è ferocemente ostile. E lei, nel tentativo di salvarsi, aggrava la propria posizione, già molto compromessa.
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Barbara Graham era una truffatrice, una stupida, una donna dalla condotta morale discutibile ma, forse, non era un'assassina. Nel film di Wise si evidenziano tutti questi fatti, anche se alcune cose mancano all'autonomia della storia (le dichiarazioni del marito, tanto per fare un esempio), ma quello che risulta più evidente è la volontà di mettere l'accento contro la pena di morte, mostrando il "calvario" di una donna condannata alla camera a gas, e per di più (forse) innocente, che appare più come un circo mediatico piuttosto che giustizia nel vero senso del termine. La regia è discreta, il cast è intenso e credibile, tanto che la Hayward si porta a casa l'oscar come miglior attrice protagonista, il ritmo non ha cedimenti, nonostante le quasi 2 ore di durata, e la vasta gamma di emozioni a disposizione del pubblico, rende il film di Wise un prodotto altamente amaro e drammatico a cui è impossibile restare indifferenti. Da vedere.
Ottimo dramma che porta sul grande schermo un fatto di cronaca. Pellicola coraggiosa perché risulta un chiaro manifesto contro la pena di morte e allora andò in contro a molte, inevitabili, critiche. Bravissima Susan Hayward.
La ricostruzione dell'odissea di Barbara Graham si trasforma nelle mani di Wise in una spietata invettiva contro la pena di morte e quella macchina del fango chiamata Media. Preciso nel rendere le sfaccettature caratteriali della protagonista, maniacale nel descrivere i preparativi per l'esecuzione, il regista confeziona senz'altro un film fuori dagli schemi hollywoodiani del tempo, con la pecca però di cadere spesso nel didascalismo; e forse perde una bella occasione per parlare delle condizioni delle carceri femminili americane ( che sembrerebbero tutte rose e fiori ). E se non ho dubbi che la ricostruzione delle ultime angosciose ore della Graham sia stata meticolosa, i continui rinvii della sua esecuzione della parte finale rischiano di sembrare - cinematograficamente - ridicoli. Eccezionale prova della Hayward, che riesce a rendere umano e credibile un personaggio spesso sopra le righe.
E' una donna già condannata per la sua condotta di vita, quindi il colpevole perfetto e ideale per eliminare un essere considerato disdicevole a priori da dare in pasto al pubblico sotto la spinta dei media senza particolari rimorsi di coscienza. Tutto a norma di legge. Non è solo un atto di accusa verso la pena di morte, sottilineati dalla profonda angoscia dei momenti di attesa prima dell'esecuzione, ma anche e soprattutto la costruzione del criminale da portare sulla sedia elettrica. Tale accanimento collettivo verso un essere umano è paragonabile per la forza dei contenuti solo a la Verità di Clouzot. Una pellicola straordinaria per il suo equilibrio che evità ogni trappola retiroca messa sul percorso e straordinaria la grande intepretazione della Hayward, personaggio sfaccettato e controverso eppure così umano da renderlo indimenticabile.
La densità e il cinismo che proietta nel 1958 Robert Wise con "Non voglio morire", titolo quanto mai eloquente, è un qualcosa di chiaro che non può non annientare l'anima dello spettatore in cerca, fino all'ultimo, di un finale roseo, o perlomeno, meno struggente. Queste ultime, in effetti, non sono altro che divagazioni mentali che si pone, giocoforza, lo spettatore mentre visiona questo gigantesco melodramma.
"Non voglio morire" mette in mostra le dinamiche di una donna, interpretata nell'occasione da un'esplosiva Susan Hayward, soggiogata da uomini di basso profilo e soprattutto da un destino crudele e maledettamente indifferente nella su proiezione pratica. Il regista Wise formula una storia tremenda, asciutta e lineare. Ma lo splendore, oltre la trama, si consuma in una sceneggiatura fenomenale, di grande caratura. Infatti saranno alcuni specifici personaggi ad offrire quella maggiore enfasi e sofferenza all'apparato contenutistico del film. Il figlio di della carcerata, il prete, l'infermiera Barbara sono icone pressoché fondamentali e rendono il tutto maggiormente amaro. Poi ci sono delle sequenze davvero incredibili, ma è inutile, e pure impossibile, elencare tutte le scene grandiosi del film, la lista sarebbe troppo lunga da stilare. Però, l'ultima parte del film, trasmette un qualcosa di pesante e risulta essere la parte più bella del film. La palpitazione diviene incommensurabile, la regia ,brillante e allo stesso tempo sdegnosa, mette in scena pure il sadico "gioco" del telefono, ulteriore batosta per lo spettatore. Ma questo è Cinema al massimo della potenzialità espressive. "Non voglio morire" rimane incancellabile a fine visione. La prova di Susan Hayward è enorme, l'attrice offre una passione e una testardaggine unica, praticamente memorabile. Wise sigilla un Capolavoro del genere, perché alla fine, "Non voglio morire" ha tutte le peculiarità per essere indirizzato nella cerchia dei film carcerari, qui la tensione non molla, nemmeno per un minuto, lo spettatore. Barbara, l'istrionica protagonista, è in un vortice convergente verso un incubo, verso la morte. Le situazioni si svolgono in un grigiore e in una miseria di animo elevate (vedere l'uomo di Barbara in tribunale), in senso negativo. La speranza è quel jolly evanescente che accompagna chi, per l'appunto, non vuole morire.
La valutazione, a questo punto, non può far altro che salire verso l'alto, definitivamente. La denuncia sulla pena di morte appare eclatante, le ultime scene del film sono da spasimo.
Tra i più grandi atti d'accusa mai arrivati dal cinema hollywoodiano, con una delle più indimenticabili interpretazioni di tutti i tempi, quella di Susan Hayward. Memorabile!
Si dice che non sia nulla, che non si soffra, che sia una morte dolce più semplice di altre morti, nessun dolore, nessuna sofferenza, un attimo e non ci sei più. Il condannato lo fanno sedere su una sedia e aspetta, ha soltanto la consapevolezza che dal petto gli stanno uscendo gli ultimi respiri, che non potrà più camminare, vedere la luce del sole, pensare. Come si può stabilire il grado di sofferenza ultimo? che si tratti di camera a gas, ghigliottina, iniezione letale, sedia elettrica, impiccagione, non c'è mai stato nessun giustiziato che ha potuto dire: "sì, in effetti non mi sono accorto di niente, fantastico, avevano ragione". Affrontare l'argomento della pena di morte non è mai facile, soprattutto quando a farlo è un regista che ha nel mezzo cinematografico il modo di divulgarlo, è una bella responsabilità, il messaggio che trasmette "Non voglio morire" è una perorazione per l'abolizione della pena di morte o no? sembra di sì, il film è indirizzato a chiunque ha l'autorità di giudicare, alla corte, alla giustizia, ai media, al popolo. Barbara Graham è accusata di un delitto che non ha commesso (questo rende il coinvolgimento dello spettatore totale), ma nel patrocinio del regista potrebbe starci qualsiasi altro accusato, innocente o colpevole, qualunque altro essere umano che per un motivo od un altro si sia venuto a trovare di fronte ad una sentenza; è giusto condannare a morte un uomo? il carattere sommario della giustizia può compiere un gesto tanto bestiale almeno quanto lo è quello che ha compiuto il condannato? se per i delitti più efferati ci fosse la certezza della pena senza attenuanti le persone favorevoli alla pena capitale cambierebbero la loro opinione? la morte è la fine di ogni cosa e fa spavento, ma la consapevoleza di passare il resto dei propri giorni robotizzati dai codici del sistema carcerario è allucinante, molti suicidi nelle carceri avvengono proprio per questo, il detenuto alla prospettiva di tale alienazione preferisce la morte. Film perfetto nella sceneggiatura e nel montaggio, il crescendo della suspense culmina nel finale con alcune scene da antologia: La silenziosa sacralità della cerimonia preparatrice alla morte degli addetti che manipolano l'acido solforico con le pastiglie di cianuro e gli strumenti necessari per l'esecuzione sono descritti in modo impeccabile, come è impeccabile l'interpretazione di Susan Hayward soprattutto nella fase preparatoria all'esecuzione quando la donna dovrà passare, vestita di tutto punto, tra la folla che assisterà al penoso spettacolo; quello di dover esporsi allo sguardo di tutti è un ulteriore castigo inflitto al condannato, come in un ultimo, assurdo, gioco di teatro. "Giudici eletti, uomini di legge, noi che danzian nei vostri sogni ancora, siamo l'umano desolato gregge, di chi morì con il nodo alla gola, quanti innocenti all'orrenda agonia votaste decidendone la sorte, e quanto giusta pensate che sia una sentenza che decreta morte?".
Melodramma superbo, uno dei piu' sconvolgenti atti d'accusa contro la pena di morte (superiore anche al pur eccellente film recente di Robbins con Sean Penn), interpretato da un'indimenticabile Susan hayworth. Wise politicamente scorretto racconta con lucida introspezione le vicende di una donna condannata due volte: per un'omicidio non commesso e per la sua "scandalosa" condotta morale. Intollerabile e coraggiosa l'invettiva contro i mass-media "colpevoli" di aver già condannato Barbara Graham, e soprattutto una (falsa) confessione strappata con un perfido ricatto da un giornalista. Un film praticamente senza lieto fine, il che gioca un ruolo altrettanto determinante sulla sua efficacia inquisitoria