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Un po' tutte le epoche cinematografiche si riducono a parlare di differenza e rivalsa sociale: quando esisteva ancora la classe borghese e i più reietti erano costretti all'invisibilità o alla discriminazione questi temi avevano un valore ancora più umano. In DET REGNAR PÅ VÅR KÄRLEK (Piove sul Nostro Amore) una storia d'amore abbatte ogni paura, ogni ostacolo e ogni conflitto che l'insignificanza e la povertà portano con sé. Il tema dell'amore, a dir poco dominante in questo periodo, non è banalizzato, la storia non compiace mai del tutto lo spettatore e alcuni personaggi, tra cui il metafisico narratore, sono molto interessanti. D'altro canto la trama viene schematizzata quanto più possibile e quell'ironia goffa, al tempo usata sempre nei film drammatici per renderli meno amari, può arrivare a infastidire.
Non è ancora il grande Bergman che ci consegnera' la storia ma è pur sempre una gradevole messa in scena del dramma della poverta'...un film "neorealista" dove due giovani conosciutosi per caso decidono di intrecciare una relazione malgrado le evidenti scarse condizioni sociali...ex carcerato lui,incinta da Padre ignoto lei...due scarti! Troveranno contro di loro il muro della burocrazia e dell'ottusita' religiosa (che non manca mai con Bergman) a cercare di impedire quella redenzione tanto cercata dai protagonisti!
E' la storia di due giovani che hanno detto "questo non ci riguarda" quando la società ha detto loro "voi non ci riguardate": questa più o meno è l'essenza dell'arringa finale dell'insolito angelo custode che salva i due protagonisti dalla pubblica condanna, questo è in poche parole il senso del film. Non è dunque il massimo dell'originalità, ma si tratta di un Bergman che è ancora lontano dall'immergersi in sé stesso, un Bergman ancora in grado di contemplare la felicità, dotato di una leggerezza piacevole che in futuro raramente riuscirà a rappresentare: perché in fondo, in questo caso, abbiamo a che fare con una favola, con un lieto fine quasi irreale ma affatto stonato rispetto al resto dell'opera. Si scontrano, come spesso accade nei film dello svedese, una gioventù ancora innocente e piena di speranza contro il potere di una società vecchia e retrogada (un problema quanto mai attuale in realtà, anche se lo scopo dell'opera è tutt'altro che una critica sociale) i cui rappresentanti opprimono gli sventurati con l'ipocrisia e il formalismo. Non è solo la città a far parte di questa trappola, in questo caso è anche la piccola comunità rurale, quella che in altre pellicole (Monica e il desiderio, Un'estate d'amore) è libera perché vicina alla natura e permette la vita, l'amore. Qui invece l'amore è ostacolato in ogni modo, ma l'ottimismo e la leggiadria che permeano la pellicola hanno la meglio, anche se il lieto fine non è completo, in fondo la felicità non è per nulla assicurata. Sono presenti due attori-feticcio di Bergman, Gunnar Bjornstrand e Birger Malmsten, entrambi molto bravi nei loro ruoli totalmente opposti. E' uno dei pochi film ottimisti di questo regista e l'ho trovato molto piacevole, del resto ingenuo non è altro che l'anagramma di genuino.
Una coppia di bassa estrazione sociale, l'amore, il tentativo rozzo di entrare a far parte di una "società", la reazione dei "detentori" di questo modello, il conseguente disgusto della coppia e il trionfo della consapevolezza della libertà: da una parte potrebbe apparire pura convenzione, e il fatto che si tratti appena del secondo film di un regista nel dopoguerra potrebbe rafforzare questa convinzione. Tuttavia questo regista è Bergman, per quanto mi riguarda il più grande o uno dei più grandi, e nonostante anch'io riservi sempre le solite pregiudizievoli riserve nell'approcciare i suoi primissimi film, anche stavolta ho trovato la visione tanto piacevole quanto scorrevole. Perché? Il motivo è semplice: sia la coppia protagonista che i personaggi di contorno rappresentano i prototipi dei film del decennio seguente del regista svedese. Il tema della procreazione, così dannatamente ossessivo in tutta la filmografia del regista ('Alle soglie della vita', 'Il posto delle fragole', ‘Persona' ecc…) è già un nodo centrale. Altro aspetto interessante è la comparsa dell'ombra del padre, autoritaria e stigmatizzante, nella fattispecie un pastore burocrate particolarmente odioso. Chiaro stampo teatrale e sceneggiatura esile prendono il sopravvento, sia chiaro, ma a tratti già si scorge una poetica in divenire. La requisitoria dello strano ma audace avvocato difensore colpisce per la sua immediatezza. Colpiscono molto alcuni personaggi chiave come il terrificante padrone di casa o l'esattore (Gunnar Bjornstrand già in gran forma), così come la vicina di casa: figure grottesche, meschine o di buon cuore. Birger Malmsten, attore protagonista di alcuni primi film di Bergman, se la cava piuttosto bene. C'è fin troppa speranza, quella acerba e giovanile, ma va bene così.