quo vadis, baby? regia di Gabriele Salvatores Italia 2005
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quo vadis, baby? (2005)

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locandina del film QUO VADIS, BABY?

Titolo Originale: QUO VADIS, BABY?

RegiaGabriele Salvatores

InterpretiGigio Alberti, Angela Baraldi, Luigi Maria Burruano, Elio Germano, Andrea Renzi, Claudia Zanella

Durata: h 1.42
NazionalitàItalia 2005
Generethriller
Tratto dal libro "Quo vadis, baby?" di Grazia Verasani
Al cinema nel Maggio 2005

•  Altri film di Gabriele Salvatores

•  Link al sito di QUO VADIS, BABY?

Trama del film Quo vadis, baby?

Giorgia è un'investigatrice privata che ama un po' troppo l'alcol. Passando le notti in locali dove si suona e si beve, viene assalita dal dubbio di aver sprecato la sua vita. Comincia così a scavare nel suo passato grazie alle lettere contenute in una scatola di scarpe consegnatale da Aldo, amico e confidente di sua sorella maggiore Ada che si è suicidata sedici anni prima. Questo viaggio tra ricordi e segreti di famiglia sarà la sua indagine più difficile.

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Voti e commenti su Quo vadis, baby?, 70 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  02/06/2005 01:46:11
   7 / 10
La P.F.M., le torri di Bologna, un'improbabile Signor Lattice (?). Tutto questo pensando a Fruttero e Lucentini e soprattutto a Scerbanenco. Come la strada aperta dall'ineffabile russo in trasferta, anche il film di Salvatores costruisce un magma antiborghese dove alla sopraffazione (ex) patriarcale della famiglia -tipo (uno script molto demodè se vogliamo, ma volutamente) prevalgono una serie di personaggi un po' fuori le righe, vaghi accenti lesbici e hippie, una sorta di minimalismo esistenziale che mina il moralismo sociale pur senza rifiutarlo, qualcosa del primo Soldini e certamente di Martone. Angela Baraldi ricorda sempre più Patti Smith (e il fatto non è mai puramente casuale), e quando l'eco della sua voce sostituisce quella di Mussida penso che davvero, questa donna è troppo brava e intelligente per diventare una cantante di successo. Buon per lei, che anima il personaggio di Giorgia nella ricerca estenuante di un passato che - guardacaso - si è fermato per tutti a quattordici anni prima, e non soltanto per chi ha lasciato questo mondo. Processo alle intenzioni potrei farle, se è vero che Salvatores ha spesso - e in maniera impropria - abusato di se', i clichè non mancano di certo (pedinamenti nelle vie notturne bagnate dalla pioggia, rivelazioni che in fondo avevamo già vagamente svelato da spettatori) ma resta tuttavia un ottimo esempio di cinema dell'"assenza" ("è sempre l'assenza la causa di tutto") che forse una dimensione meno tecnica e più personale avrebbe reso un capolavoro. Il problema, se c'è, è che Salvatores non esita a tracimare dietro i parametri tributivi creando un cinema vintage da cinefilè d'assalto. Niente male in tutto questo, ci mancherebbe: l'omaggio a Lang e al suo M - con il nastro che scorre mentre Giorgia lascia la casa e l'immagine (dentro l'immagine stessa) ci concede il brivido - quello vero - del terrificante Peter Lorre braccato dalla folla - è un momento di cinema che se l'avessimo visto in un film francese avrebbe promosso magari qualche premio (l'Orso D'Oro a Berlino perchè no?) Invece tutto resta nei ranghi del nostro acrimonioso confronto con il cinema italiano, nella frustazione di un'autore che, dopotutto, nel bene e nel male è il meno "italiano" di tutti. Giallo tutt'altro che tradizionale, malgrado le intenzioni, ben lontano dall'impellente suspense del genere, ma dall'impatto emotivo/psicologico non indifferente, "Quo vadis Baby" è probabilmente uno dei parti più felici dell'autore. Potrei soffermarmi sulla recitazione spesso blandamente televisiva (ma neanche questo è un male), su scorie e diramazioni già sfruttate ai tempi di "Nirvana" (abbastanza irritante il vernissaige virtuale centrale), sul modo sempre abbastanza prepoderante con cui usa il mezzo musicale a seconda delle immagini e del clima del film - la solennità di Vienna degli Ultravox in contrasto con la sempiterna Pugni Chiusi dei Ribelli - su un'elegia della Cannabis che neanche gli antiproibizionisti di Pannella, ma poi permane un'opera forse imperfetta, ma anche capace di incentivare una strada all'epopea del linguaggio medianico, con quella Ada che sembra ossessionata dal desiderio di immortalare la sua vita in qualche modo, di renderla letalmente filmica - come un epitaffio - come quella di Maria Scheider in Ultimo Tango.
"Dov'è il tempo reale? Chi l'ha nascosto?" si chiede Ada. Fotogrammi che spaziano nel proprio gruppo di famiglia aprendo il passato con il dolore amnetico di uno (Giorgia, una Baraldi incisiva e degna del miglior Garrell) o più (il professore, il padre) "testimoni della rimozione". Magari dove tutto si spegne viene lasciato al clamore della Nobile Arte (espressionismo et affini) con cui Salvatores gioca con affettuosa ma in fondo mai supponente riverenza. Non c'è nemmeno ombra di reducismo - un difetto del suo passato anche presente . Ma è nell'istante in cui la fine del gioco appartiene a ieri, e all'"assenza colpevole" (v. Scerbanenco, in diversi suoi romanzi) che il Presente condivide medianicamente la sua rivelazione effettiva. Un grido di dolore che acuisce il silenzio.

27 risposte al commento
Ultima risposta 25/10/2005 23.51.28
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