ruggine regia di Daniele Gaglianone Italia 2011
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ruggine (2011)

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locandina del film RUGGINE

Titolo Originale: RUGGINE

RegiaDaniele Gaglianone

InterpretiValeria Solarino, Filippo Timi, Stefano Accorsi, Valerio Mastandrea, Giampaolo Stella, Giuseppe Furlò, Giulia Coccellato, Giacomo Del Fiacco, Leonardo Del Fiacco, Annamaria Esposito, Alessia Di Domenica, Giulia Geraci, Michele De Virgilio, Anita Kravos

Durata: h 1.49
NazionalitàItalia 2011
Generedrammatico
Tratto dal libro "Ruggine" di Stefano Massaron
Al cinema nel Settembre 2011

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Trama del film Ruggine

Il film racconta la difficile pre-adolescenza di una "banda" di ragazzini, immigrati meridionali nel desolato quartiere gli Alveari alla periferia di una grande città del Nord. Nella terra di nessuno, tra città e campagna, un grande deposito - immenso "mostro" di rugginosi rottami metallici - è il luogo del gioco e dell'avventura. D'improvviso un altro mostro irrompe, stavolta in carne ed ossa. Due bambine vengono violentate e uccise e d'un tratto tutto cambia: la banda di bambini si troverà ad affrontare da sola il mostro...

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Voto Visitatori:   6,32 / 10 (22 voti)6,32Grafico
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Voti e commenti su Ruggine, 22 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Crimson  @  16/09/2011 00:24:26
   7 / 10
Spoiler presenti.

Una figurina di Pulici ci aiuta a capire che siamo negli anni '70.
Giochi innocenti, giochi pericolosi, giochi da bambini. L'amicizia, l'amore, l'affetto, la miseria, i pomeriggi passati fuori casa, lo scemo del villaggio, i grandi e le loro premure e piccole, stupide sicurezze sull'incolumità della crescita dei propri figli.
Poi un giorno arriva lui, è distinto, pulito, ordinato, perbene. Merita ossequi e stima incondizionata.
Una bambina muore. La colpa è dell'untore – lo scemo del villaggio.
Ancora una volta le bugie dei grandi su chi è colpevole di destabilizzare la quiete hanno portato i loro figli a crearsi un'idea non corretta della società in cui vivono.
I bambini, permeabili all'esempio – in questo caso negativo – ma non stupidi, scoprono da soli chi è il colpevole e che non sono tutelati dagli adulti.
Raccontare loro l'orrore entra in conflitto con un modo di ragionare inficiato da altri meccanismi, "adulti", per l'appunto.
In solitudine, i protagonisti si trovano ormai anch'essi adulti a fare i conti con una società che persiste nel commettere gli stessi errori che in passato hanno strappato loro un naturale percorso di crescita.
Fanno ormai parte integrante, loro malgrado, di quel medesimo sistema di convinzioni di cui hanno imparato a diffidare fin troppo presto.
Sono "avanti" rispetto ai coetanei che hanno avuto una vera e propria adolescenza, ma regna un'incomprensione dilaniante nel reperire gli strumenti per farsi comprendere. Parlano un linguaggio differente, sono loro gli emarginati, gli "strani" del giorno d'oggi?
Gli "altri" adulti sono cresciuti in un determinato codice ossequioso dell'apparenza e dell'immagine e sono prevenuti dinanzi ai fatti per timore di sollevare un coperchio che riveste qualcosa di tremendamente pericoloso – e che deve restare tale.
Questa non è altro che una necessità che il male resti confinato in un sistema di credenze ben definito, senza prendere minimamente in considerazione che possa in realtà essere una forma dinamica che serpeggia dappertutto.
Se gli adulti mentono e i figli seguono il loro esempio, la bugia resta codificata e impermeabile alla critica si radica nella generazione successiva.
Quando i due piani narrativi del film si sovrappongono nel tracciare la linea evolutiva dei personaggi, le oneste intenzioni non riescono a raggiungere in pieno il proprio scopo.
Dei protagonisti adulti l'unico realmente approfondito è quello interpretato (peraltro più che dignitosamente) da Valerio Mastandrea, ossia Carmine.
Impalpabile il personaggio di Sandro adulto (Stefano Accorsi).
Cinzia rivede in Viola l'orrore che ha vissuto, ma perde di credibilità quando il ricordo si fa così pervasivo da farle mormorare "giocare/chiavare" (che *******!).
Il film cerca una sublimazione emotiva che resta sommessa, comunicativa attraverso immagini dense e affascinanti che lasciano poco più di un ricordo di una fotografia.
Se dovessi soffermarmi sul perché il film mi è piaciuto, resterei ancorato (come sto facendo) ad una mera dimensione visiva e non tanto di ragionamento.
Sarà anche che il mostro Boldrini resta una figura-chiave che non sortisce l'effetto sperato – quello di un Peter Lorre in M., senza girarci troppo attorno. Però che bravo Filippo Timi.
So che dovrei condannare più gli altri adulti che hanno implicitamente permesso a Boldrini di continuare a delinquere (e quindi altrettanto responsabili, anche se in una posizione differente), ma le loro reazioni sono appena abbozzate, e creano realmente disgusto solo in alcuni frangenti del consiglio di classe dei giorni nostri.
Sul piano formale il film è meraviglioso: fotografia curatissima e avvolgente, colonna sonora che evoca vuoto e solitudine, interpreti (sia adulti che bambini) più che degni.
Lo consiglio vivamente, nonostante le sue imperfezioni.
Non alzatevi appena appaiono i titoli di coda.

6 risposte al commento
Ultima risposta 22/09/2011 12.16.07
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  09/09/2011 18:13:40
   7 / 10
Luce blu, fredda e tagliente come la solitudine per l'oggi; luce rossastra, calda, apparentemente accogliente ma in realtà sporchissima e inquietante per il tempo andato dell'infanzia. Ieri la strada (o il campo), la banda e i giochi insegnavano a vivere; oggi l'isolamento rassicurante della casa ci illude di essere protetti da tutto ciò che circonda salvo esserne perennemente sopraffatti appena usciamo. Ieri si perdeva l'innocenza quando la realtà irrompeva sulla finzione del gioco, oggi ci si illude di essere sempre innocenti perché incapaci di entrare in contatto con la realtà stessa anche quando ci travolge con decisione. Su questi estremi ondeggia l'interessante "Ruggine" che fa della cifra stilistica (in particolare della fotografia e del montaggio) i suoi punti di forza. Una ulteriore nota di merito va alla musica e al sonoro: un agghiacciante, cupo e ossessivo incedere di rumori metallici e metropolitani che fanno da contrappunto alle stonate note liriche declamate da un Filippo Timi invasato dalle nevrosi e dalle compulsioni del suo personaggio. Altro punto di forza: la recitazione dei bambini. Raramente al cinema s'è vista tanta spontaneità unita a profondità espressiva: ho provato davvero tutta la gamma possibile delle emozioni vedendo questo manipolo di infanti giocare, torturare, gioire, soffrire, uccidere.
Cosa non convince allora in questa coraggiosa pellicola? Ebbene, gli attori e i loro personaggi. Se Valeria Solarino traccia la figura più riuscita dei quattro protagonisti adulti, Valerio Mastandrea rende senz'altro bene la disperazione di un uomo già morto interiormente in attesa della sua consunzione fisica; decisamente piatto Stefano Accorsi (ma forse proprio questo doveva restituire il suo ruolo) mentre mi ha lasciato senza fiato Filippo Timi: dov'è la "normalità del mostro" di cui lui e il regista tanto hanno parlato nelle loro interviste di presentazione al film? Se cinematograficamente Timi è riuscito a delinare uno dei personaggi più inquietanti della sua carriera, di certo la sua eccessiva caratterizzazione ci porta ben presto a identificare il male col diverso. Molto più efficace in tal senso la sequenza della spedizione punitiva dei bambini contro il disadattato mentale (come a dire che la ricerca del capro espiatorio nel diverso è un dato non sradicabile della cattiva natura umana), ma davvero questo dottore roso dalle nevrosi e dalla frustrazione di non aver saputo far carriera e divorato dalle proprie compulsioni finisce con l'esserci distantissimo e, curiosamente, "rassicurante": il male si può identificare esteriormente con facilità. Peccato per questo scivolone perché invece la "genesi del male" nelle sue componenti innate, comportamentali e sociali viene resa da Gaglianone in maniera perfetta quando filma i bambini alle prese coi loro giochi più o meno crudeli e soprattutto di fronte alla terribile realtà che li sollecita a reagire inconsultamente.
Bellissima la tagliente sequenza del (mancato) incontro dei protagonisti sulla metropolitana quasi deserta: una pugnalata in mezzo ai titoli di coda superbamente commentati dalla canzone "Luci della centrale elettrica" che descrive in maniera perfetta (ma non sublime perché in questo film non c'è alcuna catarsi) il clima di irrimediabile mancanza di redenzione dalla malattia dell'esistere emarginati.

6 risposte al commento
Ultima risposta 21/09/2011 20.28.01
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  01/09/2011 23:14:36
   6½ / 10
"Ruggine" ovvero luci e ombre del nuovo cinema italiano. Ti assorbe completamente, ti devasta, ti accompagna a vedere tutto quello che non vorresti mai vedere nè sentire, anche se alla lunga in questo Ragazzi della Via Paal in versione black/noir tutto sembra essere stato già visto. I bambini sono bravissimi: il regista tocca momenti di autentica poesia quando, nelle prime sequenze, ci regala i primi contatti dell'eros di due ragazzini. Accorsi se la cava dignitosamente nei panni di un padre divorziato con figlio a carico, Mastrandrea sembra la versione nostrana del Tim Robbins di "Mystic river", e Timi... beh il problema è proprio il suo personaggio. I Mostri quotidiani forse non sono affatto devianti e psicolabili non è così evidente pertanto quando nell'epilogo finale si finisce per citare il Frankenstein di Mary Shelley si commette un'errore morale di non poco conto. Purtroppo dalle cronache di questi anni si nota soprattutto la "normalità" apparente di tanti comportamenti criminali.
Ciò che rende il film coraggioso e anomalo nel panorama del cinema italiano è il punto di vista dei bambini, in quel loro mondo inascoltato dove si consuma il dramma purtroppo comune della devianza adulta. Troppo spesso invece finisce che la direzione teatrale-filosofica del film inneschi un approccio artistico che separa il tragico realismo dal bisogno di fare Arte a tutti i costi.
Comunque le buone intenzioni ci sono, vedi la direzione Universale di un film che avrebbe potuto essere benissimo ambientato in Brasile o in qualunque altro posto dove il mondo segue i suoi orribili orchi quotidiani.
Bellissima canzone di Vasco Brondi (Luci della centrale elettrica) nei titoli di coda

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Ultima risposta 25/11/2011 11.32.17
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