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Che film straordinario... quale perfetta congiunzione astrale (miller - tarantino - rodriguez e perchè no? anche la scenografa Jeannett Scott) ha prodotto un risultato tanto mirabile, senza quasi ombra di manierismo, capace di infettarti lo sguardo con una Wagneriana cavalcata di morte e violenza, ma anche - come in ogni fumetto che si rispetti - di preservare l'alone romantico e reclamare alla rabbia l'esigenza di un bacio?! Premetto che Sin City il fumetto, lo conosco di fama ma non ho letto molto ma dopo una visione simile mi riprometto di assicurarmi un maggior interesse per il genere, che nella mia vita è sempre stato marginale, a parte dylan dog (talvolta) e Andrea Pazienza... Ne ricordo pero' i frammenti, l'episodio "the hard goodbye" , credo - l'omaggio a Chandler da parte di Miller c'è già nel titolo - con il lupo affamato. Salvo queste premesse, è chiaro che assistiamo a uno delle più perfette variazioni cinematografiche dell'estetica del noir e del fumetto, al cui confronto i precedenti manierismi à la Dick Tracy oppure l'eccellente e dimesso "Hammett" di Wenders sembrano esercizi da dilettanti Rodriguez, dopo una serie di opere poco incisive come lo scialbo "c'era una volta in messico", non ha mai raggiunto un simile quorum di potenza visiva, di humour nero, di dissacrazione, di romanticismo, persino di candore quasi infantile... Ha progressivamente espresso nei personaggi e negli attori tutta la brutalità e la "bellezza" della loro arte: così un memorabile e sempre più maledetto Rourke esprime con rabbia quasi empatica il personaggio di Marv, in una discesa agli inferi di vendetta, di giustizia, di emarginazione e riconoscenza (la "sua" Goldie, l'unica donna che non lo temeva), Willis - Hartigan è sempre dalla parte dei giusti ma finisce soggiogato dal sapore amaro della giustizia (quello amaro, anarchico, corrotto di Basin/Sin City), è la tipologia dell'eroe tipico del noir, quest'uomo a un passo dalla pensione che si concede di chiedere "la sua morte per la vita di una bambina". Poi i suoi occhi trafitti da tante sofferenze hanno questa sorta di sguardo serafico, un segno di speranza, l'iluminazione di un grande bisogno di tenerezza. Clive Owen guida una rivolta - la difesa territoriale tema molto à la Warriors - contro il Potere che ha portato a difendere un poliziotto corrotto (Jack Rafferty, un'irriconoscibile e luciferino Del Toro). Nell'intreccio dei tre episodi, Sin City è la Blade Runner del Nuovo Secolo, una terra dove stupisce di dover sentire "il nostro non è un fuoco che appartiene a questo mondo", visto che lo spazio temporale del presente non è certo avverso, il terminologia della violenza, al nichilismo estremo dei conflitti del passato. Ma in ogni caso il film - attraverso temi come la possibilità di riscatto la redenzione la vendetta il prezzo dell'ingiustizia il principio della difesa territoriale del proprio spazio (tema affine anche ai classici della fantascienza) una certa iconoclastia della morte ("non si uccide un uomo senza essere certi di doverlo fare") come liberazione/epilogo/fatalità e un indubbio ammiccamento alla controcultura Usa (wrestling, bodyguards etc.) mette a nudo una tipologia di uomini che attraversano la vita con la temporaneità di un singolo episodio. Nella brutale appartenenza a un rito (edonistico) di violenza le donne appartengono a loro, ma prima di tutto a se stesse (strepitose visioni del più abbagliante defilè della old city). La violenza è sempre fine a se stessa, placida solo quando il cuore "reclama le dovute attenzioni" , anche quello, malato, di Hartigan. Se, come dicono, è in preparazione un film a due mani tra Rodriguez e Tarantino, dal titolo inquietante ("Grind House") allora possiamo ben sperare che questa collaborazione darà ancora i suoi frutti. Ma io mi immergo ancora nel ricordo di questo magma stridente e al suo "equo scambio"