sussurri e grida regia di Ingmar Bergman Svezia 1972
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sussurri e grida (1972)

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locandina del film SUSSURRI E GRIDA

Titolo Originale: VISKNINGAR OCH ROP

RegiaIngmar Bergman

InterpretiHarriet Andersson, Kari Sylwan, Ingrid Thulin, Liv Ullmann, Erland Josephson

Durata: h 1.31
NazionalitàSvezia 1972
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1972

•  Altri film di Ingmar Bergman

Trama del film Sussurri e grida

Due sorelle si ritrovano al capezzale della terza, l'unica rimasta nubile, consumata dalla malattia, e ne attendono la fine.

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Voto Visitatori:   8,94 / 10 (79 voti)8,94Grafico
Miglior fotografia
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior fotografia
Migliore regista straniero (Ingmar Bergman)
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Migliore regista straniero (Ingmar Bergman)
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Voti e commenti su Sussurri e grida, 79 opinioni inserite

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Italo Disco  @  20/11/2023 16:59:58
   7½ / 10
Dramma a forti tinte psicoanalitiche con un ottimo gusto nelle inquadrature e nei cromatismi, c'è anche una scena piuttosto cruda. Il regista è bravissimo ad usare i sentimenti umani come effetti speciali, però debbo dire che qui mi ha trascinato un pochino di meno rispetto altrove.

Filman  @  29/11/2020 12:33:00
   7 / 10
Malattie del corpo e malattia della mente in un dibattito psicologico al femminile che vede la depressione, trasversale alle classi sociali, al centro di un contesto nobiliare. VISKNINGAR OCH ROP (Sussurri e Grida) è veramente composto da sussurri e grida, un'altalena incessante di emozioni e pensieri che viaggiano veloci in un'alternanza di flashback e monologhi non solo semplice, ma anche eccessivamente ripetitiva, che prova mattone dopo mattone a creare con pochi indizi narrativi un'immagine spessa e solida della storia, fino a costruire più un muro che una casa.

zerimor  @  24/11/2019 00:04:51
   9½ / 10
Di una tristezza infinita. Un film che ti segna indelebilmente, difficile da dimenticare. Una delle esperienze cinematografiche più "forti" in assoluto. Ciononostante, non penso che lo riguarderò, mi ha trasmesso sensazioni scomode.
Ad ogni modo, qui siamo al cospetto di un vero e proprio capolavoro.

kafka62  @  27/04/2018 10:07:24
   10 / 10
Una statua in primo piano ripresa di spalle, una vecchia villa circondata da alberi che emerge a fatica dalla bruma, ancora alberi immersi nella nebbia, con la stessa statua vista ora in lontananza. Le prime inquadrature di "Sussurri e grida" sono autunnali, malinconiche, silenti, e quasi si confondono con dei fotogrammi fissi tanto sembrano sospese in una atmosfera di immota irrealtà. Da queste si passa inavvertitamente agli interni, dove la macchina da presa panoramica lentamente su pendole e orologi, il cui lugubre e ossessivo ticchettio sembra suggerire per contrasto che il tempo si è definitivamente fermato in quella casa. Due successive inquadrature ci mostrano una donna assopita su un sofà e, nella stanza a fianco, un'altra donna scompostamente sdraiata sul letto. Un estenuato primo piano del viso di quest'ultima, che si trasforma impercettibilmente in una smorfia di indicibile sofferenza, rivela che la donna è malata e sta soffrendo. La breve sequenza descritta è esemplare: grazie a essa Bergman ci introduce "alle soglie della morte", e per far questo non ha bisogno di parole, di spiegazioni, di lunghe introduzioni o di dialoghi usati solo in funzione esplicativa. Con poche immagini, silenziose ed essenziali, egli riesce a creare un climax molto preciso, a presentare i tratti principali dei personaggi (le altre due donne entreranno in scena subito dopo), a scendere insomma con stupefacente facilità dal generale al particolare. Non solo, ma in questo inizio è già contenuto il fondamentale tema del contrasto tra desiderio e realtà. Appena è in grado di scendere dal letto, Agnese (la donna malata) scrive nel suo diario: "E' lunedì mattina presto e sto soffrendo. Le mie sorelle Karin e Maria mi assistono a turno". Ma questa affermazione è contraddetta dalla successiva inquadratura di Maria, negligentemente addormentata a pochi metri e del tutto ignara delle crisi notturne della sorella (al punto che quando Karin e la domestica Anna entrano per visitare l'ammalata, Maria dice loro che Agnese ha passato una notte tranquilla).
L'irriducibile iato tra desiderio e realtà è una tematica costante del film, che investe non solo la dimensione del presente, ma anche quelle della memoria e del trascendente. "Sussurri e grida" è un film proustiano, in cui il passato viene continuamente sublimato attraverso la soggettiva (re)interpretazione dei ricordi. Riandando con il pensiero alla madre, morta da più di vent'anni, Agnese confessa che ella "sapeva essere severa, quasi crudele", eppure nel ricordo di adulta arriva a comprenderne la noia, l'impazienza, la malinconia. In tal modo, il "tempo perduto" dell'infanzia diventa ora "tempo ritrovato", ricordo consolatore, lenimento dei tormenti del presente. Allo stesso modo, nel diario di Agnese compaiono frequentemente annotazioni di momenti felici: "Giovedì 30 settembre. Ho avuto il regalo più bello che una persona possa ricevere in vita sua. Il regalo ha molti nomi: solidarietà, amicizia, calore umano, affetto". E ancora: "Venerdì 3 settembre. Le mie sorelle Karin e Maria sono venute a trovarmi. E' meraviglioso essere di nuovo insieme. Io mi sento rivivere…". Proprio quest'ultimo brano, su cui si innesta la leggiadra sequenza conclusiva del film, in cui le tre sorelle si dondolano sull'altalena colme di reciproco amore e tenerezza e il bianco trionfa finalmente sui cupi colori che fino ad allora avevano dominato (il rosso e il nero), mi sembra però la prova più evidente che la felicità più volte affermata da Agnese ("E pensai: qualunque cosa accada, questa è la felicità. Non posso desiderare niente di più. Ora, per qualche istante, posso assaporare la pace e sento di dover essere grata alla mia vita, che mi dà tanto") è solo una mistificazione, una menzogna detta a se stessi, un chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Il fatto che Bergman abbia collocato questa sequenza dopo quelle, strazianti, della morte di Agnese e quelle, fors'anche più angosciose, che mostrano la putrefazione dei rapporti tra Karin e Maria, anziché all'inizio, come sarebbe stato cronologicamente possibile, rende questa mia asserzione ancor più evidente: dopo aver conosciuto quale nido di vipere sia la famiglia e aver constatato come la vita sia un interminabile calvario, le parole di felicità di Agnese assumono un significato rovesciato e quasi autoironico.
Non esiste alcun "posto delle fragole" per i nostri personaggi, nessuna palingenesi è più possibile per loro e le rare epifanie che Bergman dissemina per via hanno solo l'effetto di creare un elegiaco contrappunto con la realtà. Da ciò deriva quel profondo senso di nostalgia di cui tutto il film è pervaso, dalla musica di Chopin fino alla casa di bambola che ricorre nei sogni di Maria. Quando i personaggi sono spogliati delle loro sovrastrutture razionali e abbandonati alle ingovernabili forze dell'inconscio, ecco che il passato emerge nella sua dimensione più autentica, quella dell'inappagamento, del vuoto non più colmabile. Negli accessi più terribili della sua malattia, Agnese invoca il ritorno alla culla, al grembo materno e solo l'amorevole soccorso di Anna, che riveste un ruolo vicario della madre e che è pronta a denudarsi il petto per offrire il suo seno alla sofferente, è in grado di darle un conforto. Tra Agnese e Anna si realizza un vero e proprio transfert "positivo": come Agnese vede in Anna la figura della madre, così Anna trasferisce su Agnese l'immagine della figlia morta in tenera età. La bellissima immagine che chiude il sogno di Agnese e che fa venire in mente una rappresentazione della Sacra Famiglia (Anna tiene tra le sue braccia Agnese come la ******* Gesù deposto dalla croce) sembra fissare definitivamente le due donne in questa ambigua eppure pudicissima relazione.
Oltre che un film sulla memoria, "Sussurri e grida" è anche un film sul silenzio di Dio, anche se in maniera più attenuata e sfumata del solito (per quanto possa apparire attenuato e sfumato in Bergman un tema che è ossessivamente presente in tutte le sue opere). La claustrofobica immanenza della vicenda è interrotta per la prima volta dal sermone che il pastore pronuncia ai piedi del letto in cui giace il cadavere di Agnese. In questo momento dolentemente bergmaniano, nel quale la camera panoramica sui volti dei quattro personaggi, assorti di fronte al mistero della morte, si alza una disperata implorazione a Dio, che è al tempo stesso una ammissione di impotenza e una invocazione di aiuto: "Agnese, mia cara bambina, ascolta quello che ora ti dico. Prega per noi ancora rimasti su questa terra oscura e immonda, sotto un cielo vuoto e impassibile. Deponi il tuo pesante fardello di dolore ai piedi di Dio e supplicalo di darci il suo perdono. Imploralo che ci liberi dalle nostre angosce e debolezze, dai nostri dubbi più profondi, pregalo di dare un senso alla nostra vita". Sembra di udire nuovamente le parole di Antonius Block ne "Il settimo sigillo", ma qui a pronunciarle non è un uomo qualunque, bensì un rappresentante di Dio sulla terra. Sono passati più di quindici anni, ma Bergman non è riuscito ancora a superare la problematica e travagliata fase della "fede nel dubbio" (o sarebbe meglio dire del "dubbio della fede"), né mai più vi riuscirà. Il cielo continua a rimanere sordo alle pressanti richieste di una comunicazione-comunione con gli uomini, e malattia e morte si trasformano in inquietanti punti interrogativi destinati ad amplificare l'atroce latitanza di Dio.
Private di una qualsiasi giustificazione trascendente, la malattia e la morte si palesano in "Sussurri e grida" in tutta la loro fisicità e crudezza. Bergman non ci risparmia (come aveva del resto già fatto ne "Il silenzio") alcun particolare dell'agonia di Agnese: gemiti, rantoli, smorfie di dolore, urla laceranti e disumane, convulsioni, conati di vomito, membra scomposte e contratte. La morte di Agnese, interminabile, insostenibile, allucinante per il suo esasperato realismo, è una delle morti più atroci nella storia del cinema, superata forse solo da quella del protagonista della "Trilogia" di Terence Davies. La morte cinematografica può diventare facilmente oscena e scandalosa. Se ne era già reso conto Bazin quando, equiparando l'atto sessuale alla morte, affermava che "l'uno e l'altro sono alla loro maniera la negazione assoluta del tempo oggettivo: l'istante qualitativo allo stato puro. Come la morte, l'amore… non lo si rappresenta senza violazione della sua natura. Questa violazione si chiama oscenità. La rappresentazione della morte reale è anch'essa un'oscenità, non più morale come nell'amore, ma metafisica… Spettacolo intollerabile non tanto nel suo orrore oggettivo quanto per una specie di oscenità ontologica". Lo stesso Bergman è consapevole di questo rischio: "La morte recitata e la sofferenza descritta – avverte – diventano facilmente indecenti, oscene". Eppure, in "Sussurri e grida", la morte acquista una sorta di sacralità, di purezza: nell'orribile dramma di Agnese non c'è alcun sadismo né traccia di voyeurismo e neppure il tentativo (pur umanamente comprensibile) di esorcizzare la sofferenza, ma al contrario il profondo rispetto, laico e religioso insieme, di chi non può fare a meno di rispecchiarsi in quel mistero ineludibile.
Gli ultimi istanti di vita di Agnese, con quello sguardo dolce che cerca un'ultima volta le persone care intorno a sé, sembra preludere a una sorta di liberazione, di pacificazione definitiva. Ma Bergman ancora una volta ci sorprende e disorienta, trasferendo inaspettatamente l'angoscia e la sofferenza terrene dell'uomo nell'aldilà. E' la stupenda sequenza del sogno di Anna a riproporre e perpetuare l'orrore della morte al di là della morte stessa. Con una naturalezza che è propria solo degli incubi (ma è davvero un incubo? "Forse per te è un sogno, ma non per me"), Agnese appare ad Anna come una non-morta, che continua a invocare aiuto: "Non riesco a dormire, non riesco a lasciarvi. Sono così stanca. C'è nessuno che possa aiutarmi?… Resta con me finché passi questo orrore. Tutto è così vuoto attorno". Il sogno può essere interpretato in termini psicanalitici, cioè come ripresentazione nell'inconscio di Anna, Karin e Maria delle immagini del giorno precedente, nell'ambito di quell'incessante lavorio interno che consiste nel rimuovere la morte, nel troncare ogni legame con la persona scomparsa: in questo senso va sicuramente interpretato il rifiuto delle sorelle di rimanere ancora accanto alla defunta. Assai più interessante mi sembra però considerare la sequenza nell'ottica di una esacerbazione della visione pessimistica di Bergman. La morte appare come la suprema solitudine, come la perpetuazione di uno stato di sofferenza connaturato all'uomo e che l'uomo è destinato a subire in eterno. Anche una volta varcata la fatidica soglia della morte, Dio continua a rimanere ostinatamente nascosto. E se Woody Allen in "Mariti e mogli" riesce ancora a ironizzare sulla cosa (parafrasando la famosa frase di Einstein, "Dio non gioca a dadi con l'universo", afferma: "Forse non a dadi, ma certo Dio gioca almeno a rimpiattino"), Bergman è qui sommamente tragico: nel momento in cui invoca Dio, il regista svedese contemporaneamente lo nega e in questa assenza, in questo "lutto del cielo" che confina l'uomo in una immanenza angosciosa e intollerabile, egli vede la causa del dolore dell'umanità e la prova della mancanza di senso della vita.
Se all'inizio mi ero soffermato a parlare della sorprendente capacità di Bergman di scendere dal generale al particolare, ora non va sottaciuta l'altrettanto grande abilità nell'adoperare il procedimento inverso, dal particolare al generale. Quando descrive minuziosamente l'agonia di Agnese, infatti, Bergman non fa che parlare della Morte; quando esplora i reciproci rapporti delle sorelle, egli mette in scena la Famiglia; le nevrosi dei personaggi sono nevrosi di un'intera società. C'è sicuramente nel film un intento di critica della società e dell'istituzione familiare, calata ovviamente nell'unica realtà che Bergman è capace di rappresentare in maniera convincente, vale a dire il mondo della borghesia. Appare ben presto chiaro che la vera personalità di Maria e di Karin è assai lontana dal ruolo di sorelle devote e affettuose che entrambe si impongono di recitare. I due lunghi flash back che le riguardano hanno proprio lo scopo di esplicitare questa divaricazione e di smascherare impietosamente la loro falsa coscienza e la loro ipocrisia. Nel primo flash back, in un dialogo così tipicamente bergmaniano (in cui la perfidia e la malignità sono sussurrate a denti stretti e dissimulate sotto una parvenza di educata cortesia), il medico di famiglia, da tempo amante di Maria, così descrive la donna: "Guardati allo specchio. Sei bella. E forse anche più bella di allora. Ma sei tanto cambiata… I tuoi occhi hanno sguardi languidi e sfuggenti. Potresti guardare tutto e tutti apertamente, senza crearti una maschera. La tua bocca ha assunto un'espressione insoddisfatta, famelica. Prima era così dolce. Il tuo viso è pallido, la pelle incolore. Sei costretta a truccarti. La tua bella fronte ampia, spaziosa, ha quattro rughe sopra ogni sopracciglio… Lo sai da dove ti vengono queste rughe? Dalla tua indifferenza, Maria. E questa lieve curva che va dall'orecchio alla punta del mento non è nitida come un tempo. Questo significa che sei superficiale e indolente. E lì, alla radice del naso. Perché ora c'è tanto sarcasmo, Maria?… C'è troppo sarcasmo. Troppo scherno. E sotto ai tuoi occhi inquieti, mille rughe impietose, secche, quasi inavvertibili di noia. E di impazienza". Durante questo lungo e impietoso ritratto psicologico (che Maria rovescia specularmente sul dottore: "Io lo so dove vedi queste cose… Le vedi in te stesso. Perché noi siamo uguali, tu ed io"), la macchina da presa rimane fissa sul primo piano di Liv Ullman, bravissima nell'accompagnare le parole fuori campo con un sorriso gelido e sprezzante (così come era stata brava poco prima nel far comparire sul suo viso una smorfia di malcelata delusione quando il dottore si era ritratto di fronte ai suoi baci appassionati).
Nel secondo flash back è mostrato invece il disgusto di Karin nei confronti del marito e della propria stessa vita, ridotta a un insignificante rituale fatto solo di convenzioni, formalismi, gesti esteriori ed inautentici ("E' un insieme di bugie. Non è altro che un insieme di bugie", ripete ossessivamente). L'insofferenza di Karin riesce a trovare sbocco solo in un assurdo, disperato e masochistico gesto di ribellione: per autopunirsi e contemporaneamente punire l'odiato consorte, la donna introduce una scheggia di vetro nella vagina, emettendo gemiti di dolore e insieme di godimento, quindi davanti all'attonito marito, si cosparge con voluttà la bocca di sangue. Ingrid Thulin (così come Liv Ullmann nella scena descritta in precedenza e Harriet Andersson in quella iniziale, pure citata) è stupenda, specialmente quando, passandosi lascivamente la lingua sulle labbra, riesce a toccare livelli di sublime perversione.
All'opposto di Karin e Maria c'è la serva Anna, maternamente disponibile e generosa, simbolo di una condizione umana semplice e naturale. Quanto le due sorelle sono astiose e nevrotiche, tanto Anna è colma di una istintiva, immotivata gioia di vivere: il suo corpo florido sprigiona salute, la sua bocca stacca con gusto grossi bocconi di mela e le sue guance si gonfiano energicamente per soffiare sul fuoco della stufa. C'è una piccola figura nella letteratura russa dell'Ottocento che può essere accostata ad Anna, ed è il Gherasimov de "La morte di Ivan Iljc". Come nel raccconto tolstojano questo contadino è il solo conforto alla sofferenza di Ivan Iljc, così in "Sussurri e grida" Anna è l'unica persona a rimanere vicino ad Agnese, e l'immagine di Gherasimov che tiene i piedi del padrone sollevati sulle sue larghe spalle è altrettanto bella di quella di Anna che si scopre il senso per metterlo sotto la testa della moribonda a mo' di cuscino. Bergman tocca qui un tema quanto mai delicato: mettendo a confronto l'orribile agonia di Agnese con le impotenti premure di Karin e soprattutto di Maria, egli dimostra senza pietismi o sentimentalismi come sia difficile aiutare la gente che soffre, anche quelli cui più si vuol bene. Di fronte al crudo realismo di "Sussurri e grida", gli edulcorati drammi di "Love story", di "Voglia di tenerezza" e delle tante lacrimevoli imitazioni hollywoodiane, con i personaggi che muoiono compostamente in scena, magari abbracciati alla persona amata, hanno il sapore di fastidiose mistificazioni. Mi ritornano in mente le parole di Ivan Karamazov ne "I fratelli Karamazov" di Dostojevskij (ancora uno scrittore russo): "Non ho mai potuto capire come sia possibile amare la gente che ci sta vicino. E' precisamente tale gente che non è possibile amare, forse chi ci sta lontano sì. Ho letto non so dove a proposito di Giovanni il Misericordioso (un santo), che lui, una volta, essendo venuto un uomo affamato e intirizzito dal freddo, e avendolo pregato di riscaldarlo, lo fece coricare accanto a sé nel suo letto, lo abbracciò e cominciò ad alitargli nella bocca che puzzava terribilmente a motivo di un'orribile malattia. Sono persuaso ch'egli fece così nel patimento d'una menzogna e per obbligo d'amore, o per imporsi una mortificazione. Per essere un uomo bisogna che resti nascosto, ché, quando mostra il volto, cade l'amore". L'immagine di Maria che, durante l'ultima crisi della sorella, si gira dall'altra parte, coprendosi il viso con le mani, è forse il commento più significativo a questo brano.
Nella straordinaria ricchezza di motivi (etici, sociali, religiosi) che contraddistinguono "Sussurri e grida", assume un posto di rilievo l'interpretazione in chiave esistenzialista e psicanalitica dell'uomo. I personaggi del film (sia quelli principali sia quelli secondari, e con la sola eccezione di Anna, non a caso l'unico personaggio non borghese del gruppo) non sono capaci di comunicare tra loro, di instaurare rapporti che vadano al di là degli algidi convenevoli di prammatica, e questa incapacità appare quasi antonioniana nella sua radicalità priva di sbocchi. Bergman porta alle estreme conseguenze questo discorso, affrontando i due modi di comunicazione più naturali e spontanei: il toccarsi e il parlarsi. Da una parte, i personaggi reagiscono alle richieste di un approccio fisico (un abbraccio, una carezza, una stretta di mano) vuoi con indifferenza (Maria nei confronti del marito), vuoi con imbarazzo (il dottore nei confronti di Maria), vuoi con disgusto (Karin nei confronti di Maria, a cui dice: "Odio qualsiasi tipo di contatto!") o vuoi addirittura con spavento (Maria nei confronti di Agnese morta). Per contro, Agnese cerca più volte il tiepido contatto con il corpo di Anna, e nel sogno chiede invano alle sorelle di tenere le sue mani nelle loro. Dall'altra parte, Bergman prende alla lettera questa incapacità di comunicare, mostrando più volte Karin e Maria mentre si sforzano di parlare senza che alcun suono esca dalla loro bocca; e quando le due sorelle, apparentemente riconciliate, si aprono finalmente l'una all'altra, una musica d'archi si sovrappone alle loro voci, cancellandole. La complessità dei personaggi bergmaniani si traduce in una irrisolvibile ambiguità psicologica, di cui è oggettiva espressione l'illuminazione parziale dei volti delle donne (metà bui, metà rischiarati), simbolo, più che di doppiezza o di falsità, della dissociazione psichica dell'individuo. Il richiamo a "Persona" e alla famosa sovrapposizione dei volti di Elizabeth Vogler e di Alma è tanto inevitabile quanto scontato.
Oltre alle luci e alla fotografia, Bergman utilizza con finalità psicologiche anche i colori, soprattutto il rosso. Tappezzerie, tappeti, coperte sono di un rosso cupo, sovraccarico, sfarzoso, e rossi sono pure i numerosi fondu. Bergman ha ammesso che questa scelta non è stata casuale, "perché dall'infanzia mi sono sempre immaginato l'interno dell'anima come un'umida membrana tinta di rosso". Resta il fatto che l'uso preponderante del rosso risulta alquanto congeniale all'atmosfera morbosa e malsana del film, oltre a creare suggestivi contrasti con l'altra tonalità chiave dell'opera, il bianco, simbolo della purezza e dell'illusione (bianchi sono ad esempio i vestiti delle donne ed i fiori). Le dissolvenze rosse hanno sicuramente una funzione semantica, ma in questa sede è più interessante evidenziare la loro funzione strutturale. Bergman toglie alla dissolvenza il suo carattere tradizionale di passaggio temporale o di semplice segno di interpunzione, e le conferisce invece il ruolo, non puramente esteriore, di incorniciare (e quindi in qualche modo introdurre) le storie secondarie (il sogno, i flash back) all'interno della storia principale. Il film ha infatti una struttura che si può definire musicale: c'è un tema (la malattia di Agnese) e tre movimenti (ognuno dei quali abbinato a un personaggio femminile), e le dissolvenze danno all'insieme dell'opera ritmo e respiro.
Ciò che rende particolarmente importante "Sussurri e grida" (non solo all'interno della filmografia bergmaniana) è il mirabile equilibrio raggiunto tra la dimensione letterario-filosofica e quella figurativo-formale, equilibrio tanto più difficile da ottenere in quanto la prima, lo si è visto, è di rara efficacia e complessità. Ma Bergman è un regista geniale, che sa dare alle sue pellicole migliori quell'impercettibile tocco (quell'unicum così connaturato al concetto stesso di opera d'arte) in grado di distinguerle da qualsiasi altra. Non è cosa di cui si possa parlare facilmente. E' qualcosa che attiene sicuramente alla maestria nel dirigere gli attori (mai in nessun film si sono viste tre attrici così brave nel reggere i primi piani e nel recitare con ogni più piccola piega del viso), alla grande funzionalità stilistica della macchina da presa (che, pur con radi e semplici movimenti, è in grado di creare effetti a scoprire – ad esempio, il particolare della culla nella stanza di Anna – o di passare con soavità dalle persone alle cose – dal volto di Agnese che odora una rosa bianca alla stessa rosa languidamente appoggiata sul tavolino – e, viceversa, dalle cose alle persone), alla "invenzione" di una vera e propria dialettica del suono (più che la musica, la vera colonna sonora è fatta di ticchettii di orologi, di suoni di carillon, di vento e, ovviamente, di sussurri e di grida), alla perfetta corrispondenza tra significanti e significati e ad altre cose ancora, che però non possono da sole spiegare in maniera esaustiva il fascino più profondo del film, se non ricorrendo in extremis a quella che è forse la caratteristica distintiva dei geni: la capacità di inseguire con tenacia e pazienza visioni enigmatiche (come quella delle tre signore vestite di bianco in una stanza rossa che ha perseguitato Bergman per mesi), di abbandonarsi a ispirazioni improvvise e incontrollabili, di annodare fili invisibili, per giungere alla fine a cogliere l'essenza stessa della vita e della morte.

GianniArshavin  @  12/01/2016 20:18:42
   9 / 10
Un capolavoro immenso , un'opera d'arte che travalica i confini del cinema.
Bergman scava nella psicologia dei personaggi e nelle loro sofferenze forse come nessuno prima e dopo questa pellicola.
Sussurri e grida è qualcosa che va oltre , quasi non trovo le parole adatte per descriverlo.

Un Bergman ai massimi livelli.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  12/10/2014 18:38:34
   8 / 10
E' uno dei Bergman più ostici per quanto mi riguarda. C'è uno scavo psiclogico dei personaggi impressionante che mette a nudo i rapporti che intercorrono fra di loro intorno a questo oceano di rosso, onnipresente nelle dissolvenze e nelle scenografie, tanto che l'interno della villa si un luogo quasi irreale dove albergano il dolore di una morte imminente e la rabbia i antichi rancori fra due sorelle che nemmeno di fronte ad un corpo moribondo provano un gesto di compassione reciproca, troppo inaridite o vuote da anni di matrimonio frustrante. Una fotografia meravigliosa, una delle migliori dell'intera filmografia del regista svedese, sfolgorante nelle sue inquetanti dissolvenze quanto rassicuranti nel rievocare la purezza e la serenità di ricordi passati.

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  14/03/2014 16:02:28
   8½ / 10
Una meditatio mortis che è anche riflessione su ciò che è la vita, uno sguardo sul dolore, la famiglia e la fede. Un film tutto al femminile carico di rimandi simbolici. Un film difficile ma di grande impatto. Sempre gradissimo Ingmar Bergman.

Invia una mail all'autore del commento luca986  @  02/03/2014 10:32:16
   9 / 10
Stupendo. Una miniera di significati nascosti dietro mille simboli. Interpretazioni femminili semplicemente stupende.

JOKER1926  @  01/02/2014 17:01:46
   7½ / 10
Ingmar Bergman ha viaggiato sempre su linee poco addomesticabili, le operazioni di Bergman si avvalgono di una costruzione avanzata che esibisce la propria sostanza lontano dalle consuetudini e da tutte le prassi del caso.

"Sussurri e grida", insieme ad altri assoluti esempi del regista svedese, sposa le forme e i contenuti dell'enunciato appena scritto. Il plot come spesso accade è un sensazionale incipit che dirama le tematiche in angoli bui della mente, iniziano le riflessioni. Meravigliosa manipolazione di consensi che si consuma anche in una lavoro di camera, fra primo piano e campo controcampo, ad altissime intensità.

Il film del 1972 prende sembianze vitali da una trama abbastanza chiara e circoscritta: una donna sta per morire, al suo capezzale giungono le due sorelle. Come la trama anche lo spazio scenico si riduce (esaltandosi) in una lussuosa abitazione ove i personaggi coinvolti sono ben pochi, ma tutti decisivi.
Il grande lavoro nel frangente è svolto ai massimi livelli da una sceneggiatura profonda e sensazionale che pone in primo piano il simbolo e quella sofferenza più sentita che vista; in pratica Bergman colpisce in più modi, con sottigliezza.

"Sussurri e grida" alberga in un clima spettrale ove una fotografia diabolica, attorniata da colori simbolici, scatena un inferno di sofferenze e di amore. Ma le grandi e terminali macchinazioni che rendono munifico il prodotto si registrano verso la fine ove sale in cattedra la metafisica; le sequenze diventano spaventose e lo spettatore rimane incredulo. In questi precisi istanti "Sussurri e grida" si scrolla dalle spalle ogni circoscrizione di genere per volare nell'inesauribile di un disegno così grande da non trovare collocazione teorica. Si carpisce il significato, appare fin troppo chiara la proiettività di pensiero del regista. Agnese, vedere la sequenza dell'altalena, è il fulcro del concetto, le frasi finali sono decisive; il tema che vive nell'animo del film è l'amore. Ma tale sentimento nascosto vive esperienze strane e suggestive. In una carrellata di flashback e di inenarrabile cupidigia traspaiono altre sensazioni, poco positive…

"Sussurri e grida", la prosa

Volendo, infine, procedere in chiave quasi "analitica" scomponiamo il pensiero di Bergman.
La storia, al di la di una confezione simbolica e quasi surreale, vuole mettere in primo piano le sofferenze dell'animo e al contempo ciò che di buono un'anima, al termine della propria esistenza, può emanare.
Il clima della famiglia di Agnese è pesante, sono più le formalità che le confidenze a scandire i momenti, fra silenzi e pensieri.
La luce della pietà appartiene ad una domestica di nome Anna. Sarà questa ultima ad immolare la propria passione per un altro essere vivente, un essere umano. Ossia Agnese.
Le simbologie, cioè l'orologio, metafora del tempo che scandisce i momenti passati e presenti e dunque severo maestro di una fine che sta per venire; e i colori (rosso, nero, bianco) sono gli ingredienti che contornano le forme del prodotto. Ma la simbologia per antonomasia si ricava, dalle affermazioni (poche in effetti) della donna in fin di vita.
Assurdo e speciale un finale che indirizza tutto e tutti nella più pura metafisica, l'amore lacrima amore e non è abbracciato, non è assorbito.
"Sussurri e grida" vomita veemenza e decadenza in un contesto spettrale, drammatico e totale. Siamo alla corte di un film che non vive solo in un pezzo di realtà, bensì il lavoro di Bergman conduce il proprio tragitto in un ambiente onirico e agghiacciato. Film di psiche.

JOKER1926

ferzbox  @  13/01/2014 17:08:41
   9 / 10
Sofferenza,angoscia,sgomento,felicità,tristezza,amore nelle sue molteplici forme,speranza,terrore,indifferenza e freddezza.
Queste sono le emozioni raccolte in questa pellicola di Ingmar Bergman.
La felicità è un'emozione che la si può ricercare in svariati modi diversi,ma per quanto non vogliamo ammetterlo,essa non potrebbe esistere senza il dolore e la malinconia.
Paradossalmente è sempre un'illusione;si è felici quando tutto ciò che ci angoscia sparisce o si affievolisce,così come la tristezza è alimentata quando tutto ciò che ci fa star bene si allontana da noi.....

La storia delle tre sorelle,Agnese,Karin e Maria è una discesa verso l'inferno...un'incubo che ha inizio dopo che la loro serenità(o apparente serenità in un mondo fittizio d'alta borghesia) viene a mancare a causa della terribile malattia che un giorno colpirà la sventurata Agnese....
Tuttavia il vero dramma non sta nella malattia di quest'ultima,essa è solo l'incipit,ma nelle conseguenze che ne nasceranno...
Una crepa può rovinare irrimediabilmente un bellissimo vaso di ceramica;da quella crepa,per quanto piccola,il valore del vaso viene a mancare....
Non è solo Agnese ad essere colpita dalla malattia,ma tutte e tre le sorelle...

Karin diventa l'immagine sputata della freddezza;reprime i suoi sentimenti fino al midollo...la sua paura è famelica,la divora viva,e pur di non soffrire o di non accettare la terribile realtà che gli si pone davanti,decide di diventare un'automa autoritario,quasi inscalfibile,ma estremamente debole....il più debole,che si appoggia solo alla forza del suo ceto sociale....la più malata di tutte è senz'altro lei....

Poi abbiamo una Maria più sincera,che cerca invano di non perdere la sua umanità,la sua felicità...che cerca di affrontare il terribile dramma della loro vita con equilibrio e razionalita...che cerca di non rinunciare ai piaceri o ai peccati della vita;ma quella di Maria è una patetica maschera che non può ingannare chi gli sta vicino.
Se si decide di continuare a vivere i propri sentimenti,non si può egoisticamente credere di assaporarne solo quelli positivi.
Così tutta l'illusione in cui essa vive viene a crollare nel momento che la sofferenza e la morte le sfiorano il viso o gli sussurrano nell'orecchio....

Agnese è colei che vive la sofferenza fisica più atroce,ma è anche colei che non ha perso se stessa.
La sua malattia gli permette di continuare a ricercare l'affetto delle sue sorelle;un affetto che ormai è offuscato dall'incredibile farsa che le mantiene in vita e non le fa impazzire.

Solo la badante Anna riuscirà a darle ancora un briciolo di amore;la badante Anna,che non avendo più una figlia a cui donare il suo seno,dimostra ancora la sua umanità ed umiltà nel modo più sincero....

Ho letto alcuni commenti,notando che molti sono stati colpiti dall'angoscia e dallo sconforto...
Io ci ho visto solo freddezza e indifferenza...ma il mio sguardo era sempre rivolto ad Anna....


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Ultima risposta 13/01/2014 21.39.13
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Goldust  @  03/10/2013 12:02:55
   7½ / 10
Non è propriamente il mio genere preferito, eppure non si può rimanere indifferenti dinnanzi alla potenza espressiva di questa pellicola: dominato dal rosso, non solo nelle dissolvenze, che è il colore oltreche dell'anima anche del dolore; zeppo di simbolismi "alti", dal tempo alla religione all'arte; scandagliato da flashback che scavano in profondità negli animi delle donne protagoniste; imperniato in modo sistematico su pianti, sguardi, primi piani, "sussurri e grida" appunto, come se niente di quanto vissuto e pensato in quella casa di campagna debba restare sottaciuto. E' anche inesorabilmente lento, ed è l'unico motivo per il quale non lo considero un capolavoro.
Tutte brave le attrici in campo, ma la Thulin è addirittura indimenticabile.

Woodman  @  10/08/2013 19:06:00
   9½ / 10
Ecco il film rosso.

Il film di Bergman che in assoluto preferisco fra quelli che ho visionato.
Davvero crudo e palpitante, ancestrale, claustrofobico, a tratti nauseante. Molti interni, molti conflitti, molta indagine, molto buio. Buio delle pareti, delle stanze oscurate, dell'anima, del cuore. La fotografia indescrivibile del maestro Nykvist è stata meritatamente premiata con l'Oscar.
Agghiaccianti i momenti di solitudine delle sorelle dalla dubbia moralità.
Un'attesa e poi un prosieguo vissuti e consumati con teatrale e paradossalmente realistica naturalezza.
Attrici in stato di grazia, spicca ovviamente la Thulin.
Liv Ullmann è una creatura divina.
Sangue e amore nel film più conturbante, sensuale e straziante di un regista immortale.
Sconsigliabile la visione nei momenti di depressione o forte angoscia. Non è uno di quei film a loro volta malinconici e tetri che si adattano agli stati d'animo verdazzurri e ci offrono visioni alternative, mondi diversi in cui vivere il nostro dolore.
No. "Sussurri e grida" è un forte pugno nello stomaco e basta. Penetrante e seducente, trascina nel suo pugno oscuro e ci mangia il cuore. Non c'è via d'uscita.
Terribile, terribilmente bello. Da vedere con distacco, specie se si è inclini al suicidio o si vive una disgrazia.
Quando si dice un film corrosivo, fortissimo, sensazionale. E stupendo.

MonkeyIsland  @  25/06/2013 14:46:53
   10 / 10
Il mio Bergman preferito assieme a Persona.
Livello di fotografia sempre su livelli mostruosi, un film emozionante come pochi.
Lo spettatore viene coinvolto in modo netto da questo dramma familiare che mette un angoscia e tristezza unica.
Quasi impossibile trattenersi dal piangere alla fine.
Perfetto.

Ciaby  @  10/06/2013 16:34:29
   8½ / 10
Un Bergman difficilmente sostenibile per la violenza psicologica con cui conduce lo spettatore in questo inferno rosso, bianco e nero che mette in scena. Ineccepibile, disturbante, bellissimo.

Invia una mail all'autore del commento nocturnokarma  @  14/02/2013 21:31:22
   10 / 10
Capolavoro della maturità di Bergman e sintesi dei suoi temi più cari: il dolore, la fede e la sua messa in discussione, l'incomunicabilità, le pulsioni sessuali.

Due sorelle e un'infermiera al capezzale della terza sorella morente, un dramma tutto d'interni, fotografato magistralmente e con una interpretazione che fa apparire le attrici di oggi delle dilettanti. Bergman a volte suggerisce, con silenzi e primi piani, altre volte dilania (come nei durissimi flashback) con immagini che sono un pugno allo stomaco per durezza e significato.

E se la prima parte prepara i temi e lo stile, la seconda è tra le più intense mai viste per capacità di scavare nelle contraddizioni dell'animo umano: le sue paure e le sue ipocrisie, la sua freddezza e la sua non volontà di capire i bisogni del prossimo.

A mio avviso insieme a "Il posto delle fragole", "Come in uno specchio", "Il silenzio" e "Persona" forma i cinque capolavori imprescindibili del grande regista svedese.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR ferro84  @  08/02/2013 23:21:26
   7½ / 10
Non il miglior Bergman ma sicuramente un film di grandissima intensità emotiva in pieno stile del cineasta svedese.
I grandi silenzi evidenziano il vuoto dell'animo umano ma l'attesa al capezzale della sorella moribonda diventa momento conciliante solo a morte avvenuta.
E' come se la morte vista da sempre come momento di separazione, diviene unica occasione che hanno le sorelle per riconciliarsi.

Ma è solo pura e semplice illusione, ben presto si ritorna alla vita di tutti i giorni e le barriere tornano a troneggiare tra i rapporti umani.
Meno riuscita è la parentesi sulla critica antiborghese l'ho trovata un pò pretestuosa e forzata.

7219415  @  10/06/2012 23:26:57
   6½ / 10
Assolutamente non ai livelli de "il posto delle fragole"

massapucci  @  24/05/2012 21:50:50
   9½ / 10
Basta una sola parola per descrivere questo film: Arte.
Anzi, forse anche un'altra: dolore.
Dopo aver visto questo film è come se avessi vissuto tu stesso quel dolore e quella tremenda aridità di spirito.
La trovata del "ritorno" dalla morte di Agnese contribuisce in modo fondamentale al risultato finale.

Tirando le somme direi quasi perfetto. Probabilmente l'unica pecca è l'utilizzo della voce del narratore per presentare alcuni tra i flashback.

gemellino86  @  06/05/2012 22:55:56
   10 / 10
Uno dei grandi capolavori di Bergman. Le attrici mi sono piaciute molto e il tema è trattato in maniera perfetta. Il 10 ci sta tutto.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  28/04/2012 16:57:00
   9½ / 10
La più grande messa in scena della sofferenza su schermo, "semplicemente" questo è tanto altro ancora (ma non inscindibile dal dolore) è Sussurri e Grida.
E ovviamente, un capolavoro. Ma tra i tanti di Bergman precedenti questo quasi sembra voler svettare, ritagliarsi una vita propria per la perfezione stilistica, tematica e recitativa delle quattro monumentali attrici.
Con una fotografia di agghiacciante forza, con un colore rosso predominante su tutto, Bergman scava a fondo come suo solito nelle anime di quattro donne inquiete, dal passato e presente doloroso. Mette in scena l'incomunicabilità,la lotta alla vita, l'autoflagellazione, l'istinto di morte, di amore, di maternità tutta al femminile come nessun altro è riuscito a fare prima e dopo di lui.
Gli interminabili silenzi sono interrotti dagli urli estremi di sofferenza di una Harriet Anderson trasfigurata nel simbolo della pena e della morte; dall'ottimismo solo apparentemente stoico di una sensualissima Liv Ullmann; dalla freddezza respingente di una statuaria Ingrid Thulin; e dalla dolcezza materna e amorevole della "serva" Kari Sylwan, che da vita ad una delle scene più belle e delicate della storia del cinema con quel suo porgere il seno ad una donna morente, seno di donna, di madre, di amica.
Si arriva distrutti, completamente annientati al finale desolante che fa ripiombare nel silenzio di rapporti umani fatti di incomunicabilità, ricostruiti solo momentaneamente nella solidarietà (o paura) di fronte alla morte, ai sussurri e alle grida. Cosi vive, cosi pietrificate, è proprio davanti la morte annunciante di queste urla e sospiri che esce fuori il lato vivo della vicenda, positivo. Con un finale pietrificato indietro nel tempo.

Sconvolgente.

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Ultima risposta 28/04/2012 22.29.01
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  22/02/2012 16:44:28
   9½ / 10
Mi fanno star male più i sussurri che le grida. Rifletto sulla lontananza inestinguibile fra i quattro personaggi femminili del film. Credo sia un'incomunicabilità sempre esistita, al di là del lutto che la rende manifesta. Il che è orrendo, è l'aspetto più disturbante. Maria e Karin in un certo senso rispecchiano la coppia di sorelle de "Il silenzio". La prima accetta la funzione sessuale che si pretende abbia, la seconda (un po' come Ester, ma più forte) si aggrappa disperatamente alla sua idea di libertà. La lesione che s'infligge col vetro è emblematica. Infine, in ogni caso, sono tutte infelici le donne di Bergman, quelle che si concedono, quelle che rifiutano, quelle che si trincerano in una solitudine religiosa. Queste ultime, Agnese e Anna, sembrano le uniche a toccare una certa quiete, per quanto effimera. Ma anche la loro piccola serenità ha un sapore illusorio, è troppo candida, e tutto quel rosso non perde vigore.

Mietitore  @  02/12/2011 18:56:38
   10 / 10
Indubbiamente un capolavoro. Ogni cosa è al suo posto. Recitazione superlativa. Costumi eccellenti. Arredamento perfetto. Fotografia superba. Quasi assenza di commento musicale (non vi è colonna sonora, ma un brano di F. Chopin e uno di J. S. Bach). Sceneggiatura ineccepibile.

Oskarsson88  @  18/06/2011 12:49:56
   10 / 10
Questo film è pura arte e poesia, è come leggere uno di quei romanzi che non vorresti finissero mai. Fotografia ottima e tutto curato fino all'ultimo dettaglio, alcune scene restano seriamente impresse, bellissimi i dialoghi dello specchio ma in particolar modo quello del finale che riesce a dare un senso alla vita nel dolore. Certamente bisogna essere nella mentalità giusta per vedere un film del genere, data la lentezza e la pesantezza che lo caratterizzano...

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR jem.  @  14/03/2011 19:16:24
   8½ / 10
Lacerante.
Credo sia il miglior aggettivo per descrivere questo film.
La scena che ho preferito in assoluto è quella davanti allo specchio, quando il medico analizza i lineamenti del viso della donna.
Meraviglioso il finale.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  18/12/2010 20:26:22
   8½ / 10
L'orologio che scandisce le ore interminabili, il corpo come abluzione ma non dello spirito, il ricordo come desiderio inconscio di ritornare nel ventre materno (la morte è inizio?).
Non è facile accedere a "Sussurri e grida", al cromatismo simbolico delle vesti (bianche) e al rosso sangue con cui Bergman divide i capitoli della pellicola.
E' un film di rara intensità, che collima con la sequenza meravigliosa di una ritrovata (illusoria?) riconciliazione tra le sorelle.
In particolare, si segnala il bellissimo personaggio della serva, dipinta dal regista con rara crudeltà, come ennesima e ingiusta vittima di un sistema borghese che si "eleva moralmente" rispetto agli altri

Mothbat  @  17/11/2010 16:19:44
   8 / 10
Magistrale anche quest'opera di Bergman, una delle tante. L'enfatizzazione di una resa visiva accecante contrapposta al tema principale introspettivo e malinconico. Un po' pesantuccio, ma una vera opera d'arte.

Invia una mail all'autore del commento Elly=)  @  07/11/2010 17:15:08
   7 / 10
Questo film è una delle opere più riuscite di Ingmar Bergman, si apre con le immagini di una resistenza di campagna nelle prime ore del mattino; la fotografia di Sven Nykvist cattura i raggi del sole tra i rami e la nebbia, con un effetto incantevole. Prezioso anche il contributo delle attrici.

rob.k  @  12/10/2010 21:35:01
   6 / 10
Tutto ai massimi livelli, tranne la trama. Ma nei film di Bergman la trama è un'optional.

Invia una mail all'autore del commento omega3  @  29/08/2010 00:13:16
   9 / 10
Quando il cinema diventa arte.
Vetta del cinema di Bergman, Sussurri e grida eccelle per molti motivi.
Io ho apprezzato sopratutto la capacità del regista di dare attraverso dei flashback di pochi minuti un profondo ed esaustivo ritratto della psicologia delle 4 protagoniste. Le immagini si susseguono come le pagine di un libro di storia dell'arte, numerosi i riferimenti: dalla Pietà di Michelanglo a quella del Bellini, dalla Lattaia di Vermeer alla Bagnante di Ingres, dall'inquietudine di Friederich in apertura alla serenità degli impressionisti nel finale. Notevoli anche le interpreti, su tutte la Thulin, maschera al contempo di sofferenza e spietatezza.
Da vedere!

Dosto  @  18/08/2010 13:03:04
   9 / 10
Il primo film che ho visto dello svedese ed è stato subito folgorante per me. Profondo e angoscioso, volutamente lento(come molti film di Bergman) ma per niente noioso.
Il voto oggettivamente non sarebbe così alto ma sono molto affezionato a questo film.

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Freddy Krueger  @  17/08/2010 11:38:07
   8 / 10
Un bellissimo racconto di sofferenza e affetto, dolore gridato e amore sussurrato. Bergman ha il potere di emozionare con le sole immagini e i piccoli insistenti rumori, ad alcuni le sue opere possono sembrare prolisse, a me invece suscitano un fascino straordinario, e dalle inquadrature si nota un amore incondizionato del Cinema da parte del regista.

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER
Il primo Bergman a colori che vedo: forse il suo colore preferito è il rosso?

uzzyubis  @  21/03/2010 10:28:10
   10 / 10
Sofferenza, angoscia, smarrimento comunicato in maniera diretta e colpendo.
Uno dei migliori film di Bergman.

paride_86  @  02/01/2010 03:54:59
   9 / 10
Agnese è la sorella morente, mentre le altre - insieme alla umile serva - la accompagnano nell'ultimo viaggio.
In "Sussurri e grida" Bergman fa un ritratto di famiglia completamente al femminile, delineando caratteri e personalità con cinico pessimismo sulle relazioni umane. Il rosso è il tema ricorrente nella scenografia.

carriebess  @  27/10/2009 11:17:50
   10 / 10
Un crescendo di angoscia accompagnato dalla presenza costante e palpabile della morte, così come quella del rosso, che si fonde con i primi piani su cui si sofferma volutamente il Maestro.
Il confine tra la vita e la morte.
Si respira un'atmosfera di malattia, di sussurri, grida, strilli, lamenti e di tristezza, fatta di rimpianti, pentimenti, incomprensioni familiari, rimorsi, pianti e riavvicinamenti tra le sorelle.
Un fermo immagine sui rapporti umani e familiari di fronte alla morte di una persona cara, catturandone tutte le possibili sfumature, e al tempo stesso con abilità indugia sull'individuo con ampi flashback sulla vita di ognuno dei personaggi.
Capolavoro assoluto e indiscusso del regista dell'Anima.

bulldog  @  06/08/2009 02:43:59
   8 / 10
Ostico.
Un film sofferente,sulla vita e sulla morte.
Grande risalto alla psicologia dei personaggi e tematiche bergsoniane portate all'estremo.
Fotografia ben studiata,regia leggera,silente e spietata.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  30/06/2009 17:33:03
   8 / 10
Con uno spietato scavo psicologico, Bergman sviscera l’anima delle 4 protagoniste, rovistando nei loro pensieri, nei loro ricordi, fin dentro alle perversioni recondite dell’inconscio.
Sceglie di rappresentare il film con toni rosso acceso (che lui intende colore dell’anima). Ma è un rosso che non scalda. Tutt’altro. I suoi gemiti, le sue urla e i suoi silenzi gelano il sangue. Lo si potrebbe definire un film sul dolore. Ma l’autore si spinge oltre. Vuole spiare la soglia dell’aldilà, vuole dare voce alla morte, la sente urlare. Poi lascia aperta una fessura di speranza: la pietà (la governante che si concede ad un abbraccio materno), concepita come sola ancora di redenzione.

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Ultima risposta 02/01/2010 08.37.15
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dave89  @  12/06/2009 10:30:20
   9 / 10
grande film di bergman che scava nei sentimenti umani molto profondamente

pinhead88  @  11/02/2009 12:09:42
   8 / 10
in questa pellicola del maestro svedese si respira tutta la drammaticità che ricorda moltissimo il teatro latino.la fotografia che rispecchia quasi lo stato emotivo dei personaggi,un rosso accecante molto significativo che rappresenta una sorta di freddezza baronesca e il dolore che si alterna ad un bianco che rappresenta in questo caso il sentimento umano e l'innocenza,rappresentata prevalentemente dalla badante Anna.fotografia superba.un'opera drammatica fine,ma profonda.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gatsu  @  08/02/2009 20:59:28
   8 / 10
Drammatico e pesantissimo film sulla sofferenza e il dolore sia materiale che spirituale. Senza colonna sonora, si possono udire sussurri in sottofondo, che fanno da cornice alle grida, in un perfetto valzer tra materialismo e spiritualità che è poi la condizione generale dell'uomo. Impressionante come il regista ha saputo trasmettere tuttò ciò, forse aiutato dai colori molto forti della fotografia il rosso su tutti( Bergman ha sempre detto che vedeva il rosso come possibile colore dell'anima, ammesso che esista.). Scene toccanti e surreali, e per chi conosce bergman, sa di cosa parlo. Tuttavia non è il mio preferito ma riconosco che è davvero un'esperienza particolare.

Gruppo COLLABORATORI bungle77  @  28/01/2009 15:32:03
   9½ / 10
Nessuno come Bergman riesce a scavare nell'animo umano... dopo un film come questo ha quasi una sensazione di imbarazzo... ti senti nudo e impotente

goldtw  @  01/08/2008 15:03:09
   10 / 10
Ogni volta che lo vedo mi sconvolge sempre più lo stomaco,non rimango mai indifferente.La durata del film è relativamente corta(anche se non sembra),le vicende danno un senso di pesantezza e violenza allo stato puro.E' straziante il ticchettio degli orologi,che rappresentano un tempo o una durata che "non esiste" nei pensieri della protagonista malata,che è talmente afflitta dai suoi dolori esistenziali da non rendersi quasi conto del valore del tempo stesso.
Mi ha colpito immediatamente la scelta dei colori,soprattutto un rosso così acceso,così potente che fa da cornice a tutta la sofferente durata dell'opera(compreso il Bianco:che possiede un senso di purezza,castità e il Nero:una continua allusione alla morte).
In contemporanea,oltre la protagonista,il regista ci permette di conoscere parallelamente anche le storie delle sue sorelle,o di altri personaggi secondari con flashback o semplicemente dei pensieri immaginari..per compensare le nostre domande.Oltre la tematica della morte,Bergman mette in evidenza la freddezza e la chiusura mentale delle sorelle,con un inno allusivo alla spietata Borghesia,dove addirittura la domestica è la più preoccupata della salute della protagonista(più di chiunque altro,assume una sorta di figura materna).
Commovente e disarmante,un capolavoro Stra-consigliato.

Gruppo COLLABORATORI Zero00  @  15/05/2008 18:33:19
   9½ / 10
Film stilisticamente perfetto, strano ma non incomprensibile, di difficile lettura, freddo ma intenso, che lascia una strana sensazione dopo la sua visione. Non c'è niente di sbagliato in questo film, tutto sembra al posto giusto nel momento giusto, anche il più semplice movimento. Molto teatrale. Bellissimo!

solitecose  @  02/04/2008 11:22:44
   9½ / 10
il cinema di bergman è come questo film, un capolavoro triste e crudele, bergman cambia la vita a chi lo guarda.
il cinema è morto con la sua morte e quella di antonioni.
non vedremo mai più nulla di così alto.

gei§t  @  04/03/2008 20:30:44
   7 / 10
Che peso... una famiglia con parecchi problemi e ombre nel passato che si riunisce per un tragico momento. Hanno particolare importanza la falsità e i comportamenti di facciata, che caraterizzano questi personaggi nelle loro vite. Il dolore della morte passa quasi in secondo piano...
Molto intenso per tutta la sua durata e freddo coma una coltellata.

The Monia 84  @  03/03/2008 21:19:07
   10 / 10
Razionalizzare un'opera come "Cries and Whispers", cercando di scriverne un commento, rischia di fare un torto ad un film il cui principale pregio è quello di arrivare a toccarti nel profondo, nei tuoi sentimenti, dove il cervello c'entra ben poco. Il Maestro Bergman non aggira l'ostacolo, ma affronta temi come la morte, il dolore, la rabbia in tutto il loro inspiegabile orrore e fascino, dandoci la rappresentazione di essi più vera, cruda e fastidiosamente reale che si possa vedere su pellicola. Le storie e le psicologie intrecciate di quattro donne e il loro incontro con queste tre tematiche vengono rese con estrema intelligenza, profonda conoscenza ed estrema sensibilità.
Da vedere quando si è di buonumore, non quando si ha il morale a terra.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio  @  02/02/2008 23:45:06
   9 / 10
Il film è sia una disamina del dolore puro, lungo i suoi più evidenti effetti di atrocità sul corpo, che un esempio di lettura psicanalitica delle figurazioni storiche che la sofferenza consente di vedere con una paradossale lucidità finché c'è vita. Un soggetto molto difficile da trattare in un film perché è la messa a fuoco di un soffrire senza speranza.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  10/01/2008 20:27:55
   10 / 10
Pensavo di averlo già votato all'inizio, beh meglio, perchè in tutto questo tempo ho avuto modo di apprezzarlo appieno e se all'inizio mi era piaciuto ma non smisuratamente oggi è uno dei miei appuntamenti fissi.
Un film che è un capolavoro di emozioni, profondità e fotografia, anzi, forse gran parte merito del Nykvist fotografo. Non bisognerebbe mai lasciare nulla al caso, in un film ogni cosa ha un senso, una simbologia che non sempre siamo abituati a tener conto, ed ecco come un orologio sia "simbolo del tempo che passa", in questo caso tra la sofferenza, anch'esso rosso come gran parte della fotografia che tutti noi conosciamo. Tre colori principali, il rosso, il nero, ed il bianco..non ci sono sfumature, l'impatto è incredibile, fa male. Bergman come più volte ho detto, regista dell'anima, non ho visto ancora tutte le sue opere ma non mi stupirei questo fosse il suo più riuscito, il più fastidioso addirittura da seguire. Già fastidio, non nego che alcune sequenze faccia ancora e sempre fatica seguirle, una tra tutte quando Anna si presta da madre ad Agnese, porgendole il seno su una richiesta sofferente, non è una visione particolare questa la mia, non è superficiale ma si tratta di sensibilità. E quì Bergman tocca sul personale,come sempre, chi(..) come le sorelle ha una tendenza all'allontanamento dei problemi, non volendoli affrontare. La mancanza di una vera colonna sonora non fa altro che aumentare l'angoscia, chi guarda è costretto all'ascolto degli affanni, dei respiri, dei gemiti, contati con precisione da un ticchettìo di un orologio appunto che potrebbe andare, e questo è terrorizzante, avanti per un tempo a parvenza infinita. Ottima interpretazione di tutto il cast, Thulin ovviamente su tutti.

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Ultima risposta 25/09/2009 19.19.53
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Gruppo COLLABORATORI julian  @  17/11/2007 00:56:35
   7 / 10
Ma possibile che Bergman abbia fatto solo film tristi e deprimenti ?
In ogni sua opera si evince un grande interesse per la morte, che è spesso la protagonista e un pessimismo riguardo alla vita, che è un breve passaggio costituito solo di dolori e sofferenze.
La piena espressione di questi ideali Bergman ce li presenta in Sussurri e grida, un film la cui visione è vivamente sconsigliata a tutti quelli che sono tristi di per sè.
Vi giuro che tra grida, lamenti e quelle maledettissime pareti rosso vivo stavo per abbandonare l'impresa di guardarlo...
Appunto per questa malinconia che trasmette e per la capacità del regista di servirsi opportunamente di colori e suoni, il film, se si dovesse valutare l'efficacia e l'impatto sul morale, meriterebbe 10.
Ma comunque ripeto: troppo, troppo deprimente... quindi 7.
Bergman ma perchè nella vita non pensavi anche un pò a divertirti ???

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Ultima risposta 02/04/2008 14.19.59
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phemt  @  07/11/2007 12:48:41
   8½ / 10
Intenso e doloroso dramma famigliare al femminile diretto con la sua solita maestria da Ingmar Bergman… Cinico, sofferente e disilluso colmo di dolore, di odio ma anche di amore Sussurri e Grida è un’opera che parla della vita e della morte con l’incomunicabilità a fare da sfondo alla vicenda e alla storia di queste quattro donne… Splendida la scenografia con il rosso protagonista assoluto (anche nelle dissolvenze), a dir poco notevole la prestazione del cast… Film unico, forse per pochi, ma una volta visto sicuramente non lo si dimentica più…

antocucs  @  25/09/2007 16:56:18
   10 / 10
Un film che soffre dai primi minuti, straziante, che fruga nel profondo dell'IO solo come Bergman riesce a fare, ti lacera dentro come i lamenti struggenti della sorella defunta. Difficile e complesso ,come i rapporti umani.
Un film cosi' ti segna, ma devi VEDERLO.

Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  17/09/2007 14:40:50
   9 / 10
ero abituato a un altro Bergman, questo è molto più sofferente e cinico...e forse prediligo quello del Settimo Sigillo e Il Posto delle Fragole.
è sconvolgente, Bergman è un maestro nel far provare una compassione per i suoi personaggi che non ha pari nel Cinema, il Suo è capace di ogni cosa, scavalcare l'indifferenza e colpire nelle nostre debolezze. forse per questo Sussurri e Grida è così indigeribile, perchè al posto di Karin, Agnese e Ann ci siamo noi, tutti i giorni, chiusi nel nostro egoismo (che è vera Incomunicabilità, non quella fantasiosa dei critici di Antonioni) che poi si proietta sui nostri volti...e quella scena con il medico e Bibi Andersson è MERAVIGLIOSA!!
credo che l'unico personaggio dopo Agnese (una figura angelica, divinizzata) che sia guardato con occhio meno critico da Bergman è la serva.
colori.

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Ultima risposta 11/01/2008 13.46.42
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Vegetable man  @  16/09/2007 10:31:22
   8½ / 10
Posso dire...che razza di mattone? ;-)...a parte gli scherzi, Sussurri e grida è uno dei drammoni più intensi, e lucidamente folli, di Ingmaer Berman. Gli elementi: l'ambientazione alla Dario Argento (bianco vergine e rosso sangue), l'invandente telecamera che va ad indagare di continuo i volti dei personaggi, le svariate scene a contenuto mistico-macabro-grottesco. Da vedere, se non temete problemi alla digestione.

momo  @  20/08/2007 15:01:33
   8 / 10
Un film molto forte, con personaggi incredibilmente profondi e variegati come i temi (che restano quelli preferiti da Bergaman: morte, verità, egoismo, ipocrisia), la fotografia, poi, è molto bella con questo rosso che soppraggiunge nei momenti di sofferenza e pervade tutta la scena. Tuttavia secondo me, perde in immediatezza nel senso che almeno io, sono riamasto un po' frastornato da queste immagini molto forti e ricche di significato, che pultroppo credo di non essere sempre riuscito a comprendere mentre ne "il settimo sigillo" tutto appariva chiaro, e se pur Bergman ti lasciava una vasta possibilità interpretativa (cosa che io trovo esseziale) i temi erano più limitati, i personaggi più "semplici" (paragonati a questi) come anche la trama, qui le cose sono molto più complesse non voglio per questo fargliene una colpa ma lascio il dieci a chi davvero ha saputo comprenderlo. Insomma non è un film per tutti, occorre una buona dose di perspicacia, attenzione e di sensibiltà (che probabilmente mi mancano), è un film che viaggia a livelli alti e che pretende che lo spettatore faccia altrettanto, non è un capolavoro universale ma per chi ne capisce qualcosa dovrebbe essere stupendo.

Beefheart  @  13/08/2007 22:57:14
   10 / 10
Wow! Che Filmone! Che dire? Si rasenta la perfezione!
Bergman dà decisamente il meglio di sè in questa sofferente rappresentazione dell'universo femminile. In una villa del primo '900, immersa in un autunnale parco in quel di Stoccolma, quattro donne condividono la solennità del momento della morte di una di esse. Quattro personalità estremamente diverse tra di loro mettono in mostra una sontuosa galleria di emozioni e sensazioni, spesso contrastanti, di rarissima intensità, che alla fine lasciano lo spettatore totalmente disarmato, come in balia della volontà del regista. La perfetta e completa caratterizzazione delle protagoniste è tale da agevolare una totale immedesimazione con ognuna di esse. L'utilizzo del colore è semplicemente magistrale; nella fattispecie si rimane attoniti, allibiti, storditi, davanti al rosso intenso che tinge tendaggi, tapezzerie e pavimentazioni, avvolgendo ogni cosa di un pulsante e passionale patimento fisico. Copioso l'utilizzo del primo piano che ci costringe a fare i conti con l'agghiacciante espressività di volti maltrattati da turbinosi stati d'animo, frutto di anni di incomunicabilità ed alienanti conflitti, interiori ed interpersonali. Le sequenze memorabili non si contano. Curiosa anche la continuità con "Scene da un matrimonio", del quale si riprende l'ideale evoluzione del controverso rapporto tra Liv Ullmann ed Erland Josephson, che, pur nei panni di personaggi diversi, sembrano riprendere il discorso da dove si era interrotto nel precedente film. Gli attori si superano e fanno a gara a chi fornisce la prova più indimenticabile. Impagabile il finale, degno di cotanta arte ed ispirazione. Raramente l'appellativo di "capolavoro" dà la così netta sensazione di "andare stretto" ad un'opera di celluloide. Film di rara bellezza. Da non perdere per nessun motivo.

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aiemmdv  @  06/08/2007 17:58:53
   9 / 10
Due sorelle si ritrovano con la terza,unica rimasta nubile, per consolarla sul punto di morte. Ma l'incomunicabilità tra esse causata da caratteri prettamente differenti e desideri totalmente opposti causano un clima agghiacciante e angosciante. Perversione avidità egoismo e superficialità la fanno da padrone.
Ed è una schiava , l'unica a non aver alcun tipo di rapporto sanguigno con la morente , ad offrire tutto il suo amore e a dare vero conforto.
In cambio non chiede nulla perchè lei è l'unica a credere ancora che sia possibile amare senza ricevere nulla in cambio.
Ma forse anche tutto questo è causato solo dalla perdita prematura della sua figlia e non dalla sua vera natura!
Forse anch'essa non fa altro che soddisfare un suo bisogno

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  06/08/2007 12:09:09
   9 / 10
Ho iniziato a vederlo con molta pazienza, piano piano mi ha preso e alla fine mi ha commosso. L’affetto, l’amore, la solidarietà ci viene sempre da quelli da cui non ci si aspetterebbe mai. Si pensa che siano i parenti, oppure le persone più acculturate quelle più portate all’aiuto, all’altruismo completo, al sacrificio, alla rinuncia. Invece parentela e cultura non c’entrano niente. E’ una povera sottoposta ignorante la portatrice dell’umanità, della solidarietà senza niente in cambio, l’unica speranza in un futuro di aiuto reciproco e di verità di sentimenti.
Questa è la parte universale del film. Il resto è nella tradizione del grande teatro scandinavo, che scava a fondo nella crisi morale della borghesia di inizio Novecento, la stessa dell’infanzia di Bergman. Le tre sorelle appartengono ad un mondo che non deve faticare per vivere, vive nel lusso, ha tutto il tempo a disposizione. Eppure la materialità e la forma di questo mondo strangola le protagoniste, le imprigiona e le isola l’una dalle altre. Perversioni, insoddisfazioni, crudeltà, ipocrisie intorbidano un’esistenza piatta e noiosa. Il quadro è impietoso, il fallimento totale. Una classe sociale moralmente persa, spazzata via però dalla modernità tecnologica degli anni Sessanta che ha accellerato il ritmo di vita e sparigliato le carte in gioco. Quelle figure, in sé, non sono più attuali.
La sofferenza, il bisogno, la verità dei sentimenti, quelli sì che sono attuali e la parte finale del film ce li mostra in maniera esemplare, dando alla storia quasi un aspetto sovrannaturale. E’ la parte più riuscita del film, il quale è quasi provocatorio nell’essere fuori dagli schemi, quasi estremo nella sua rappresentazione di un mondo chiuso in se stesso. Come nei film di Dreyer, tutto è concentrato sulla storia, tutto concorre al significato, anche l’arredo e i colori e gli sfondi usati. Il ritmo del film segue il ritmo di vita dei personaggi (quante inquadrature sull’orologio!). La morbosità delle scene invece è tutta di Bergman, che non ci vuole nascondere niente dell’interiorità dei personaggi. Ah Ingmar che coraggio a fare un film del genere!

Invia una mail all'autore del commento domeXna79  @  19/06/2007 18:34:44
   9 / 10
Uno dei capolavori più intimisti diretti dal maestro Ingrid Bergman.
È dilaniante il modo in cui ci viene presentato il dolore, la sofferenza, non solo quella fisica ma soprattutto quella dell’anima, il cinismo, l’indifferenza, l’egoismo che sembra pervadere le sorelle della povera moribonda, compresa ed accolta (in senso materno) solo dalla propria governante ..è dilaniante come la corsa al capezzale rappresenti il momento attraverso il quale rimettere mano ai propri ricordi, scoprirsi così tremendamente incapaci di darsi affetto o sostegno in quei tragici momenti (il tema dell’incomunicabilità diventa quindi preponderante), nell’assistere come distaccati spettatori al gridato trapasso.
Nel momento in cui ci si affaccia ai campi elisi la solitudine accompagna il cammino, ciò che ci resta poco prima del tragico addio sono i ricordi, la ricerca di un approdo sicuro cullati dalle braccia materne, questo si pone come l’ancora a cui aggrapparsi per scavalcare il portone che ci conduce alla “vita eterna” ..tutto questo sembra spaventare le protagoniste che, nel momento in cui l’anima sembra riaffiorare nel corpo ormai freddo della povera sorella, fuggono via, incapaci di dare l’ultimo vero atto d’amore, l’ultimo vero conforto che Agnese avrebbe meritato.
La contrapposizione, o se vogliamo la vicinanza, delle figure femminili (caratterizzate magistralmente in questa pellicola), la superba fotografia purpurea (l’unico colore che possa rappresentare l’anima), la freddezza degli ambienti sono elementi che riaffermano la indiscutibile maestria stilistica del grande regista svedese ..con esso la grande prova degli interpreti, scavate nei volti in cui traspare ogni possibile sentimento umano (superbia, aridità, compassione).
Pellicola fortemente simbolica e dall’indubbio impatto emotivo ..capolavoro!

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Ultima risposta 19/06/2007 18.57.10
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Gruppo COLLABORATORI fidelio.78  @  13/06/2007 18:54:39
   9 / 10
"Non riesco ad immaginare altro colore che il rosso per dipingere il dolore" disse il maestro poco dopo l'uscita di questo capolavoro.
Il dolore, che pervade tutto il film come una lama tagliente, è il vero protagonista; il dolore urlato, il dolore taciuto, il dolore dell'anima... un capolavoro dai mille volti, intimista come solo Bergman riusciva a fare, con personaggi straordinari e una regia quasi invisibile eppure presente.

Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  10/04/2007 23:05:35
   10 / 10
Straordinario, angosciante, doloroso viaggio all'interno dell'animo umano descritto qui attraverso il rapporto di due sorelle nei confronti di una terza gravemente ammalata.
Il tema del dolore, della sofferenza, della morte ricorre sovente nei film ( capolavori ) di Bergman, ma in Sussurri e Grida si manifesta cosi' potente da far venire il groppo alla gola.
Ho provato la stessa angosciosa sensazione quando ho letto il romanzo breve " La morte di Ivan Il'ic" " di Tolstoj, la stessa freddezza ed indifferenza di fronte alla sofferenza del proprio caro che si impossessa dei personaggi intorno ad Ivan Il'ic", si impossessa delle sorelle di Agnese, che non provano pietà nemmeno quando la sorella ( la propria coscienza? ) le invoca composta sul letto di morte.
Strepitosa interpretazione delle quattro attrici ( a mio parere sopra a tutte l'attrice che interpreta la governante Anna, di un'espressività unica ) .
Stupenda la scena del dottore-amante che descrive il volto di Maria ( Ingrid T Hulin ) di fronte allo specchio.
Siamo lontani un milione di anni luce da film che vincono gli oscar per gli effetti speciali da 2 miliardi di dollari ma vuoti di contenuto, non mi dispiace.

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Ultima risposta 10/01/2008 19.22.26
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Gruppo COLLABORATORI Harpo  @  01/04/2007 23:27:57
   10 / 10
Un film straziante, intenso, unico, immenso. "Sussurri e grida" analizza il tema del dolore e della morte, del distacco e della solitudine, dell'affetto e dell'amore e tutto in una chiave fortemente pessimistica. I lunghi silenzi che sembrano strillare conferiscono a questo capolavoro di Bergman un'intensità drammatica strepitosa; le musiche di Schumann e Bach, la fotografia di Nykvist, le interpretazione delle tre donne (su tutte una straordinaria Ingrid Thulin) accentuano ulteriormente la profondità evocata dal regista che realizza un'opera irraggiungibile, vagamente ermetica ma incredibilmente struggente.
Un film che oltre ad essere guardato, dovrebbe essere studiato; un'unica visione è insufficiente per cogliere la forza di questa pellicola. Certi registi attuali dovrebbero guardarsi "Sussurri e grida" per capire quali sono i veri capolavori della storia del cinema.
E, per l'amor del cielo, se vedete nel cinema uno strumento di puro intrattenimento fine a sé stesso, evitate "Sussurri e grida" come la peste.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento matteo200486  @  29/03/2007 23:02:19
   10 / 10
Uno dei più grandi film della storia, firmato da uno dei più grandi registi Ingmar Bergman. Un film in grado di farmi soffrire fisicamente, di riuscire a percepire con forza quelle sensazioni che Bergman vuole trasmettere. Struggente, soffocante, crudo.

Dolore, sofferenza, odio, amore sono tantissime le emozioni che emergono da questa opera d'arte. Si perchè di questo si tratta, un'opera d'arte.
Tanti anche i temi morte, innocenza, incomunicabilità. Film di grande complessità.

Tutto è perfetto: regia (logicamente), recitazione (mamma mia che bravura), fotografia, montaggio. Ciò che colpisce ancora di più è l'attenzione al dettaglio, al colore delle stanze che rappresenta uno dei sentimenti sopra citati. Veramente splendido.
Ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola sono carichi di sentimento, un film che trasuda di quest'ultimo.

Un'esperienza cinematografica unica, e difficilmente ripetibile. Una sola parola: Stupendo.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR agentediviaggi  @  15/02/2007 13:46:06
   8½ / 10
Di questo film mi ha colpito soprattutto il contrasto tra l'innocenza e la purezza emanato dalla governante che assiste la moribonda con amorevole cura contrapposta all'arido animo delle sorelle che accorrono al suo capezzale, indifferenti al dolore della loro consanguinea, e prigioniere della loro ipocrisia e assenza di emozioni, che ha come prime vittime i loro rispettivi compagni (mi viene da pensare a quando una delle due si ferisce appositamente per non avere rapporti sessuali col marito) che tra l'altro non sono migliori di loro. Il mondo spirituale e sovrannatuale che si respira nella camera della moribonda le atterrisce in quanto estraneo al loro universo materialista e anche alla fine, in uno sforzo supremo di riacquisizione del mondo affettivo quando abbracciandosi si incitano a rivedersi presto intuiamo tutti che si tratta solo di un rito trito senza conseguenze reali.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento goat  @  07/02/2007 17:35:58
   10 / 10
"voglio tornare nella culla... vicino alla mamma"

parole di agnese che, nella visione di bergman, sembrano voler dare continuità al ciclo umano della vita, un ciclo che per la sua stessa natura terrena, a prescindere quindi dal credo che si abbraccia, non può che trovare la sua naturale interruzione nella morte, la conclusione della vita materiale.
è curiosa questa idea che il dialogo sembra suggerire, perchè in netto contrasto con le vicende che prendono corpo nella pellicola. in questa infatti molte situazioni, come il discorso del prete immediatamente successivo allo spirare di agnese, sembrano quasi abbracciare la morte come una spiaggia agognata, un liberarsi dei fardelli che il quotidiano e il materiale non fanno altro che serbare... sembra che il trapasso sia l'unico e ultimo sollievo di cui la persona va in cerca per tutto l'arco della sua vita.
e anche la tanto citata mutilazione col vetro, la 'castrazione femminile', sembra deporre in questo senso; nel senso della negazione stessa della vita, della mancata volizione di una progenie che abbia a subire la stessa deriva cui sono in preda i protagonisti di 'sussurri e grida'.
quindi perchè questo scontro fra due idee così opposte nella stessa opera?
forse per un singolo attimo, il momento in cui il muto dialogo fra maria e karin sembra riavvicinare le due sorelle, quasi a significare che in fondo la morte di agnese, il chiudersi del cerchio, una nota positiva l'abbia in fondo portata, la loro ri-unione.
sicuro? per niente, perchè la convocazione delle sorelle ad opera della defunta agnese non fa che rivelare la vera natura abbietta della loro indole, e la conclusione del film prosegue su questa falsariga e lascia insoluti (o, meglio, negati) i dubbi riguardo ad una conclusione positiva, alla fine di un ciclo che ne apre un altro.
uno dei pochissimi film per cui ho versato una lacrima, ma era impossibile trattenersi in questo oceano di sofferenza...



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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  24/12/2006 13:05:07
   8 / 10
impressionente.
è ,secondo me,l'aggettivo che si addice a questa pellicola che mi ha tenuto incollato alla poltrona...appena finito di vedere sono corso davanti al computer per vedere che media aveva su filmscoopo e soprattutto leggere i commenti...
ho letto degli ottimi commenti che mi hanno aiutato a capire meglio questo film che non è cosi semplice...si parla della vita e soprattutto della morte senza usare mezze misure ma facendo vedere in faccia com'è la morte e le sue sfaccettature...l'indifferenza verso la sofferenza
leggendo queste parole vi chiederete perche non do il massimo...
beh a mio avviso non tutto è perfetto(o se volete poco chiaro per me)tipo le sequenza d'amore con il dottore(che poi scompare dal film)...
film disturbante che consiglio a chiunque ami il cinema

Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  28/10/2006 00:45:23
   8 / 10
In “Sussurri e Grida” è il rosso il colore del dolore, dolore che appare come l’unico luogo in cui la sterilità dei sentimenti delle due sorelle viene scalfita, così come il rosso caldo e strabordante all’interno della casa inonda il nero gelido dei vestiti di Kanin e Maria. Quest’ultime (in particolare Maria), infatti, ritrovano immediatamente il loro distacco nei confronti dei sentimenti e delle emozioni, non appena arriva il momento di andar via da quel luogo.
La dolorosa angoscia che il film trasmette è così lancinante da divenire insostenibile quando Agnese urla il suo dolore attraverso rantoli tanto assordanti quanto penetranti, che come risposta ricevono l’imbarazzante e freddo silenzio delle sorelle, attenuato, nel contempo, solo dall’affetto di Anna, quello stesso affetto che la serva avrebbe dato alla sua bambina, se solo avesse potuto.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR frine  @  27/10/2006 01:39:28
   10 / 10
La morte non è quel "sentimento dolorosissimo" che molti credono: anzi, è "più piacere che dolore". Perché nella morte i sensi si attenuano, e in quel momento sopraggiunge una sorta di "languidezza".
Così scriveva Leopardi, un innamorato della morte, da lui corteggiata a lungo ma destinata a tardare un po' prima di contraccambiarlo.
Nel film di Bergman c'è molto dolore, ma è soprattutto quello dei vivi. Quello delle due sorelle che, al capezzale della morente, scoprono dentro di sé una vitalità crudele, distruttiva, che per esplodere aveva atteso proprio quel fatale momento. Imbrigliate nelle pastoie delle solite convenzioni borghesi, le due sorelle sane avvertono dentro di sé il fluido carsico, primordiale dell'_essere_. Così la banalità dell'esistenza precedente viene annichilita attraverso alcuni gesti emblematici, di proterva ferocia, come quello ormai celebre del pezzo di vetro. Un atto estremo di vitalismo e ribellione, che esclude definitivamente, implacabilmente il partner (ormai divenuto insopportabile) ma restituisce alla donna la sua libertà.
Dall'altro lato c'è la morte, che al regista (e non solo a lui) piace immaginare come un rssicurante ritorno nel grembo materno. La sorella morente spirerà sul seno accogliente e pietoso della domestica, e per lei sarà la pace.
Per le altre, la guerra della vita continuerà.
Intuizioni straordinarie ed interpretazioni incredibilmente intense fanno di questo film un capolavoro, comunque non l'unico di Bergman.

Mavors84  @  14/09/2006 11:34:24
   9½ / 10
sentite io non posso commentare i film di bergman:

1- perchè avete già scritto cose interessantissime
2- perchè sono film che si lasciano guardare senza "pubblicità"

il 10 no perchè secondo me ci sono almeno tre film superiori;
per il resto... rimpiango bergman: voglio altri film come questi!

desi  @  24/05/2006 15:04:55
   8 / 10
Dolore.
Senza ombra di dubbio, il film di Bergman più doloroso, dove si avverte il desiderio di istintivo di voltarsi, di fermarsi, dire basta...ma si è contemporaneamente troppo persuasi, perchè forse il dolore è un ingrediente fondamentale per la vita ma soprattutto perchè solo il dolore è in grado di rendere umili a riconoscere quale dono più grande della vita, la vita stessa.
La reincarnazione di questo pensiero si chiama Agnese ed è solamente una delle quattro donne che dovranno cimentarsi con lo spettro del dolore, ognuna con circostanze e comportamenti differenti.
Karin e Maria sono le sorelle di Agnese. Entrambe rappresentano il dolore dell'indifferenza verso la sorella morente (lo stesso espresso dal regista con quel rosso tra una sequenza e l'altra).
Karin è maledettamente arrogante verso qualsiasi rapporto intimo, non si lascia toccare neanche dalla sorella ed è costretta a lacerarsi la vagina perchè ha paura che senza il dolore possa subentrare quel vuoto, quell'idea che da tempo la sta sciogliendo: il suicidio.
Maria rivolge alla vita tanta allegria quanta superficialità. Dentro il suo cuore si cela però quello spirito di odio che riserva al marito tradito e che forse è lo sfogo dello stesso sentimento che Karin nutre verso di lei.
Entrambe sembrano non accorgersi che la loro sorella sta morendo lentamente...
Sono le urla di Agnese a rimembrare a Karin e a Maria l'attenzione mancata nei suoi confronti e ad abissare lo spettatore nel panico totale.
Infine c'è Anna, la serva delle tre sorelle. L'unica capaca di donare speranza, dolcezza, amore ad Agnese. Forse perchè lei lo sa già che cosa sia il dolore, quando dovette subire la scomparsa della figlia morta prematuramente.
Quattro storie, quattro sentimenti scanditi dall'orologio che inesorabilmente scandisce i battiti del dolore, quel dolore che solo Agnese saprà vincere grazie alla morte.
Dolore.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR bodego  @  11/03/2006 23:35:15
   10 / 10
Devastante, agghiacciante, bellissimo, depressivo, perfetto, riflessivo, introspettivo, psicologico e tanto altro. Tutto ciò è sussurri e grida di Ingmar Bergman. Lo spettattore viene catturato fin da subito e inizia a provare senso di tristezza e anche una certa inquietudine che poi scoppia nel finale.


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Non dico altro perchè forse rovinerei tutto.
Capolavoro assoluto.

chiara80  @  10/03/2006 14:28:55
   10 / 10
Sussurri e grida è uno dei film più belli di Bergman. Come scritto in altri commenti è un film che può davvero farti cadere in un senso di malessere psichico da far rabbrividire. E' un film che semplicemente parla della morte di una persona, che ci mette in contatto in un modo così realistico con quelle sensazioni che avverti quando perdi qualcuno, quella sensazione che dovrebbe essere di pietà ma che spesso vedo essere sopraffatta dalla paura e da una sorta di vergogna.
E' un film che non dimenticherò mai.

p.s. so che non è parte del commento, ma non conosco come funziona filmscoop però credo ci sia l'opportunità di inviare e ricevere e-mail da altri utenti. Ho avuto problemi con la mia posta tanto da dovermi riscrivere al sito con un nuovo nome.Avevo però ricevuto una e-mail e dalle proprietà ho interpretato (non vorrei sbagliare ma il rischio è concreto perchè semplicemente sono negatissima tanto da mandare in tilt tutto quel che tocco) che la e-mail era di Crimson. Era questo l'unico modo di saperlo perchè so che Crimson non si perde un commento su Bergman. Ti chiedo di rinviarmi la e-mail al mio nuovo indirizzo.
Ciao a tutti i Bergmaniani e si prega di non far mai entrare i film di Bergman nella top25 altrimenti si ripetono i voti inopportuni (6 e addirittura 3) del Settimo Sigillo e del Posto delle fragole. Grazie e scusate dell'intrusione poco attinente al commento (anche se spero che il commento al film sia condiviso da qualcuno).

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livis  @  20/02/2006 17:36:22
   10 / 10
c'è poco da aggiungere.... se non il fatto che mi fa riflettere che un film come questo sia commentato (e probabilmente visto) da così poche persone mentre film spazzatura hanno fiumi di discorsi... povero cinema... povera società... il livello di cultura, non solo cinematografica, è mediamente pari a 0.... non mi meraviglia che opere di grande spessore culturale ed emotivo rimangano a disposizione di pochi; beh... tarkovski diceva di essere contento che i suoi film non venissero capiti da tutti, perchè l'opera d'arte non è per tutti è per pochi eletti.... consoliamoci.....

Invia una mail all'autore del commento doncorleone  @  19/02/2006 00:06:59
   10 / 10
Forse il punto più alto toccato dal Maestro, di una crudezza esagerata eppure con picchi di lirismo ugualmente impensabili.
Lancinante, disorientante, spiazzante, sconcertante, agghiacciante, emozionante, disturbante; questo film è un pò di tutto freddezza ed emotività estrema...
Profondo.

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Ultima risposta 19/02/2006 15.42.49
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ds1hm  @  07/12/2005 14:50:18
   10 / 10
crudele e stupendo. reale da rabbrividire. non è più cinema ma vita.

Crimson  @  13/06/2005 23:05:00
   9 / 10
Che pugno allo stomaco! un film straziante, anche di più rispetto a quanto mi aspettassi dopo aver semplicemente letto qualcosa quà e là. Alcune scene, come quella del pezzo di vetro, sono davvero difficili da sostenere. Bravissimi le attrici, soprattutto la Thulin, ma anche la Ullmann non scherza in quanto a bravura (e in "Persona" ce ne aveva dato un altro saggio - e a proposito, è anche molto bella).
L'importante è che aggettivi appropriati per il film come "straziante" o "angosciante" non mettano in secondo piano la sua grandezza, profondità, crudo realismo.
Bellissimo.

Credo sia scontato, ma scrivo lo stesso questo consiglio a chi non ha visto il film: se siete particolarmente giù aspettate di rimettervi un pò perchè la visione potrebbe essere devastante.

antonius block  @  21/05/2005 17:22:40
   10 / 10
è film che mi ha provocato delle emozioni fortissime a tratti veramente insostenibile. la scena in cui la serva si denuda il petto e abbraccia la donna morente mi ha tolto il fiato e ghiacciato il sangue nelle vene.

Invia una mail all'autore del commento Walking Shade  @  03/05/2005 09:31:06
   9 / 10
Angosciante. In certi momenti verrebbe naturale distogliere lo sguardo dallo schermo.
Una stupenda e allucinata analisi delle sofferenza e della morte.

marco86  @  30/04/2005 13:49:05
   10 / 10
Un miscuglio di emozioni fortissime che come risultato produce un film soffertissimo sulla sofferenza.Emblematica in tal senso la scena in cui una delle tre protagoniste si taglia col vetro,bagnandosi poi la faccia col sangue.Ma prima ancora che essere un film sulla sofferenza,questo capolavoro è un film sull'universo femminile.Non a caso le tre protagoniste(quattro se si considera anche la malata)sono tutte donne.Si tratta di donne sole e non capite che,per di più,finiscono con l'isolarsi l'una dall'altra.
Molto adatta la fotografia a base di rosso,colore che per Bergman ha un significato particolare.

Mpo1  @  25/02/2005 00:42:16
   9 / 10
Il film "rosso" di Bergman. Straordinaria la fotografia (come nella maggior parte dei film di Bergman) per cui il film ha anche vinto un oscar. Grandissime le interpreti. Un film sconvolgente, a tratti insopportabile, che mostra l''orrore sia della vita che della morte. Sia le grida della moribonda che i sussurri degli altri significano una cosa sola: Sofferenza.
Uno dei film più celebrati di Bergman, anche se io preferisco i suoi film degli anni ''60.

Gruppo STAFF, Moderatore Invia una mail all'autore del commento Lot  @  22/02/2005 11:10:33
   9 / 10
Forse il film più sofferto tra quelli che ho visto del maestro.
Ti colpisce con l'ineluttabilità, ti sporca con la malattia, ti intristisce con la vacuità dei sentimenti e delle relazioni familiari anche di fronte alla morte.
La fotografia rossa della tappezzeria e delle dissolvenze trasuda malessere, non si può fare a meno di partecipare al dolore sordo di una persona circondata da incomprensione, sbigottimento e rassegnazione.

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