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Tanto instabile Decisive match quanto raggelato The Room. Due film che stanno all'opposto per lo stile adottato. The Room è dilatato al massimo, l'inquadratura è quasi sempre fissa, pochissimi movimenti di macchina. Il bianco e nero è una scelta indovinata per conferire tonalità astratte, dove l'uso del sonoro, quasi del tutto privo di musica, esalta i rumori di una città che si muove intorno alla fissità del suo protagonista. La ricerca di un appartamento è una scelta precisa in un percorso di completa estraniazione del contesto sublimato dal gesto finale. Sia pure di durata abbastanza breve, il film ha una visione piuttosto impegnativa, però è affascinante per come Sono isoli i protagonisti dall'ambiente circostante, i dialoghi sempre sussurrati. Molto bravo il protagonista, volto che esprime un'esistenza stanca in un look, tra impermeabile e borsalino, che ricorda i vecchi noir di una volta.
Lontano dalla fase di carriera di Sono che tutti conoscono, quella post- "Suicide Club" , quella dei deliri colorati, "The Room" ha il ritmo di una lumaca morta e può vantare una fotografia belatàrriana di prim'ordine. Le inquadrature non le ho contate, ma sicuramente sono meno di dieci per la durata di un'ora e mezza. Come alcuni prendono canzoni pop e le rallentano per un'ora fino a farle diventare drone, così "The Room" prende un corto thriller e lo rallenta fino a renderlo meditazione pura. Lavoro sul sonoro che vale tutto il film. E tra l'altro, mai un attimo di noia. Questo discorso dell'astrazione del tempo, inoltre, verrà ripreso nel bel "I Am Keiko", 1997.