tre colori - film blu regia di Krzysztof Kieslowski Francia, Polonia, Svizzera, Gran Bretagna 1993
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tre colori - film blu (1993)

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locandina del film TRE COLORI - FILM BLU

Titolo Originale: TROIS COULEURS: BLEU

RegiaKrzysztof Kieslowski

InterpretiJuliette Binoche, Benoît Régent, Florence Pernel, Charlotte Véry, Philippe Morier-Genoud

Durata: h 1.40
NazionalitàFrancia, Polonia, Svizzera, Gran Bretagna 1993
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 1993

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Trama del film Tre colori - film blu

La morte del marito, compositore musicale, e della figlia Anna in un incidente stradale, sconvolgono la vita di Julie che si chiude in se stessa. A spezzare questo isolamento, ci penseranno da prima una giornalista, convinta che fosse Julie l'autrice delle musiche del marito, e poi la corte di Oliver, l'ex assistente del marito...

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Voto Visitatori:   8,19 / 10 (75 voti)8,19Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
Miglior attrice protagonista (Juliette Binoche)Miglior montaggioMiglior sonoro
VINCITORE DI 3 PREMI CÉSAR:
Miglior attrice protagonista (Juliette Binoche), Miglior montaggio, Miglior sonoro
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Voti e commenti su Tre colori - film blu, 75 opinioni inserite

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Crimson  @  25/03/2013 15:27:44
   10 / 10
1. Un prologo indimenticabile

Ruota: l'auto di Blu è riconducibile alla valigia di Bianco e ai cavi telefonici di Rosso. Vettori simbolici. L'uomo rapportato alla tecnologia di cui quotidianamente fruisce senza nemmeno rendersene conto.
Asfalto blu, clacson, inseguimenti.
Carta blu che avvolge un lecca-lecca.
L'innocenza straniante non è più innocenza.
La bambina si volta e osserva ciò che viene inghiottito.
L'auto si ferma. Lui di spalle (non si vedrà mai in viso fatta eccezione per qualche foto).
L'auto perde olio: Blu irrompe prepotentemente attraverso un preludio reso soffocante da un'immagine eloquente in grado di lasciar presagire un pericolo imminente allo spettatore ma non ai protagonisti.
Contemporaneamente la bambina fa il suo bisogno sul ciglio della strada. Duplice perdita. Presagio di morte.
Poco distante un ragazzo si diletta con un rudimentale giocattolo di legno: bastoncini, corda, pallina da incastrare. Quando finalmente esulta perché la pallina esegue il movimento che desiderava compiesse, l'auto sbanda e finisce contro un albero.
Nebbia. Grigio. In seguito allo schianto il pallone della bambina rotola via.
Cielo blu. Dissolvenza.
Una sequenza che stordisce e lascia sgomenti. Si è avverato il primo di una serie lunga di presentimenti che perseverano per tutto il corso del film e dell'intera trilogia dei colori. Anzi, il presentimento nel Cinema del regista polacco costituisce una costante.
Catapultati nel dramma senza avere un attimo di respiro.
L'immagine indelebilmente forte, perentoria: la bambina che lascia svolazzare la carta blu che avvolgeva la caramella.
Nel computo dei simbolismi di Kieslowski, sembra rappresentare l'innocenza sradicata e inghiottita in un pomeriggio plumbeo.

"L'esistenza si rivela così fitta di segni all'apparenza incomprensibili, perfino insignificanti, gratuiti, casuali che verranno tuttavia riconosciuti a posteriori come le tracce di un senso 'altro' o di un 'oltre' di cui appare investito tanto il reale, la realtà circostante (ossia la dimensione spaziale dell'esistenza stessa), quanto gli eventi e il loro svolgersi, il loro concatenarsi (ossia la dimensione temporale della vita).
Nell'incipit tutto ciò emerge già, per così dire, in controluce. L'intero apparato drammaturgico, infatti, vi opera per creare una messa in forma che lasci indovinare senza manifestare, che permetta di intuire senza svelare. Di conseguenza, i mezzi espressivi seguono una strategia della concertazione complessa e sono disciplinati in una partitura rigorosa, in un'orchestrazione precisa."
(Chiara Simonigh, Tre colori – Film blu, pag. 20, Lindau editore)

2. I primi risvegli nella "seconda vita" di Julie

"Nel caso di Blu ho cominciato con le scene dell'ospedale che considero la vera apertura del film. Volevo sapere cosa significa osservare il riflesso del medico nella pupilla di Julie, quest'effetto così forte di soggettivazione."

(Krzysztof Kieślowski, Dino Audino editore, pag. 58)

Destatasi in un letto di ospedale, Julie non ha il tempo di spalancare l'occhio malconcio e impigrito da ricevere prontamente la notizia dal medico: "Ho un compito ingrato…suo marito…".
"E Anna?"
"Si. Anche sua figlia".
Gli occhi si chiudono.
Il medico ha seguito la prassi. Nell'ordinare le due figure a lui sconosciute, è partito dall'adulto.
Julie parla invece il linguaggio degli affetti. E' evidente che nel suo ordine la priorità è la figlia, come viene evidenziato dal suo dito che accarezza idealmente la piccola bara durante il funerale visto in televisione (quelle mini-tv che andavano di moda nei primi anni '90), o quando poco dopo risponde seccata ad una giornalista che intende porgli alcune domande ("Non lo sa? Ho avuto un incidente, ho perso mia figlia e mio marito").
Chi era quest'uomo ce lo descrivono i toni pomposi del funerale trasmesso in tv.
Cosa fosse quest'uomo per Julie, resta un mistero voluto, anche se in parte successivamente svelato.
"E' vero che scriveva lei la musica di suo marito?" le chiede senza risposta la giornalista.
Ancor più affascinante del mistero dell'uomo, è quello della musica. Questa meccanica irremovibile, che risveglia ricordi e ammutolisce il linguaggio sempre teso a dispiegarsi, nel tempo e come fonte razionale della nostra volontà di rimozione di ciò che non vogliamo più ci appartenga.
Julie istintivamente cerca di porre fine alla propria vita. Emaciata, con indosso un collare per il colpo di frusta ricevuto, s'intrufola in infermeria con un diversivo e inosservata porta alla bocca un flacone di pillole, ma non è capace di ingurgitarle. Le sputa schifata dopo pochi secondi, come se constatasse che la sola idea del mentre e del dopo avessero quello stesso sapore disgustosamente amaro.
L'infermiera accorre, le due donne si guardano attraverso il vetro. Lo stesso vetro che ricorre nel cinema del regista polacco fin dal decalogo.
Julie come una bambina chiede perdono, dopo aver confessato di aver rotto il vetro. L'infermiera la guarda comprensiva. "Lo sostituiremo". E poi ripete per due volte che "non importa". Ha lo stesso sguardo che le riserverà la prostituta. Potrebbero essere le stesse persone. Eppure l'una è a conoscenza dell'evento tragico, l'altra no. A volte la conoscenza limita la verità che sottende ad un gesto.
Dimessa, Julie ha la prima folgorazione blu. Musica e ricordi, il leitmotiv del film.
Abbraccia Marie, la domestica anziana. Nutre affetto per lei e per il personale della sua tenuta, tanto da chiedere che continuino ad essere pagati, così come chiede che continuino ad essere destinate le somme per cautelarsi la madre in una casa di riposo. Julie si assicura che per le uniche persone care che le sono rimaste tutto continui come prima, mentre per lei deve sopraggiungere il Vuoto.
Stante l'incapacità di suicidarsi, Julie deve cominciare a vivere di nuovo. La prima reazione è di inghiottire il passato.
"Ha tolto tutto dalla stanza blu?" chiede al giardiniere.
Strappa il lampadario della stanza della figlia. Blu.
Piega lo spartito al cui solo avvicinarsi corrispondono note mentali di pianoforte. Più tardi si reca nello studio del marito, prende e getta il lavoro più ampio, benché ancora incompleto, in un tritarifiuti.
Morde e mastica convulsamente il lecca-lecca blu della figlia.
Dispone di vendere tutte le proprietà (ma si ricrederà).
Si disfa di tutti gli oggetti della casa eccetto il materasso. E più tardi, vedremo, il lampadario blu della figlia. Qualcosa l'ha trattenuta dallo sbarazzarsene. Istinto materno mai sopito?
Olivier, collega del marito a cui dà del lei e con cui trascorre una notte di "tradimento" per occultare definitivamente l'immagine sessuale del marito, è inghiottito inizialmente alla stessa stregua delle altre, inutili, "cose". Lui la ama.
"E' molto bello quello che ha fatto per me". Al risveglio Julie sorride per la prima volta, ma alla mimica non corrisponde un cambiamento del suo stato. Le parole confermano come lei si sia "servita" per il suo scopo del collega del marito.
"Sono una donna come tante, sudo, tossisco, ho la carie…non le mancherò".
Andando via Julie stringe il pugno destro e lo lacera contro il muretto del giardino.

LOVE STORY

Steal a diamond and pierce my heart
with its point
And take three silver drops of blood
to sow your dried flesh
Use the harvest you get to appease the hunger
of your crowd, which drains
you day by day, draining you away

You wanna eat my pearly eyes
to fill the void you've got
Inside, sweet child of mine , you've got inside

The pearly gates you dream of, are made of
mortal hopes you stole away
The pearly gates you long for are made of
Innocent night beings, heavenly unpure
and yet so pure

I feel ashamed for your soul
This war seems to reach a crying end
But why your very tears they never fall?
your very mask it never fades away?
your very face ain't going to be shown?

3. Il suonatore di flauto

Di giorno è sempre sul marciapiede antistante il suo nuovo appartamento. Lo stesso che ha scelto volutamente vuoto, per disporre innanzitutto il lampadario blu, unico ricordo salvato in uno scatolone e portato in giro, tra la gente, seguita per breve tempo da una camera a mano. Lui è un suonatore di flauto. L'accompagna indistricabilmente, quasi a motivo di una benedizione o maledizione ineluttabile, continuamente, con delle note che la destano spesso, ad esempio mentre prende il suo caffè con gelato nel bar sotto casa. Tra quelle note vibra un sentimento non assopito, mai domo. Quella musica lascia riecheggiare qualcosa a lei noto. "Come conosce questa musica?" gli domanda. Lui risponde "Invento pezzi diversi. Mi piace sognare". Un giorno Julie lo trova steso per terra, si ferma e gli pone la cassetta per raccogliere soldi a mo' di cuscino. "Si sente male?". Lui le risponde "Bisogna sempre guardarsi da qualcosa". C'è una musica in testa di Julie, che spesso la coglie di sorpresa e la inebria. Un moto meccanico che non può reprimere. Così come nei bagni solitari nella piscina blu, sulle scale del condominio o per strada. In quest'ultimo frangente Julie ha gli occhi chiusi. Non può ancora vedere l'altro, ma la musica è un tramite inconscio. La vecchina curva a fatica riesce a depositare una bottiglia di vetro nell'apposito contenitore per la raccolta differenziata. In Film Rosso la stessa vecchina verrà invece aiutata dalla protagonista. Stadi differenti. E' uno di quei segnali che intercorrono tra i film e in cui lo spettatore coglie un simbolo di familiarità.
Antoine, il ragazzo che ha assistito all'incidente, la rintraccia per poterle restituire la collanina che le apparteneva. "Sarebbe stato un furto". Julie afferma che l'aveva dimenticata. "Niente è importante". Chiusa, ermetica, sorride per la barzelletta che il marito stava raccontando poco prima del momento dell'impatto, ripetendo il finale per due volte come sempre. Regala la catenina a Antoine. Continua a inghiottire il passato. All'agente immobiliare riferisce dopo un incertezza di aver ripreso il nome da nubile, e di non "fare niente" nella vita.
La volontà di Julie che emerge dalle azioni e da bruschi interventi verbali, è espressa con maggior chiarezza a quella madre aterosclerotica che la scambia continuamente per sua sorella Marie France. La comunicazione è impossibile. "Adesso so che farò una sola cosa: niente...amici amore e legami sono tutte trappole". Julie nella sua solitudine ricercata apre inconsciamente uno spiraglio, la ricerca della conferma di avere manifestato paura per i topi quando era piccola. Paura della paura. Infatti ha trovato dei cuccioli nel nuovo appartamento ma non ha avuto il coraggio di ucciderli. Sentimento materno? Ricorrerà al gatto del vicino di casa fedifrago per sbarazzarsene, senza responsablità.
Paura, solitudine, responsabilità. Queste tre parole sono una costante. Julie a poco a poco scopre che pur volendo evitare il contatto con gli altri, non può esimersi dal farlo. Un tipo una notte viene pestato da altri tre, sotto casa. Lei scruta dalla finestra e lo vede divincolarsi e entrare nel suo palazzo. Bussa disperato a tutte le porte, compresa la sua. Cosa fare? Julie resta senza fiato per un po', bloccata dalla paura delle conseguenze. Eppure non può essere indifferente a quella scena. Si sente un rumore, come se la persona fosse stata raggiunta e trascinata fuori dal palazzo. A quel punto esce sul pianerottolo, chiede se c'è qualcuno, ma non ha risposta. E' uscita di casa quando tutto era finito, ma non ne aveva la certezza. Casualmente si imbatte nello sguardo della prostituta del piano inferiore. Quest'ultima è una delle persone che inevitabilmente, per caso, la libererà dalla sua solitudine. Le si presenta a casa una settimana dopo con dei fiori per ringraziarla: Julie ha scelto di non aderire ad una squallida petizione per cacciarla dal condominio "perché è una ******* che riceve uomini in casa", questa la motivazione della stessa. "Non mi riguarda". La volontà di isolarsi dalle faccende altrui in questo caso implica una chiara presa di posizione. Julie pur non volendo, scopre che anche nell'atto del nulla prende posizione rispetto alle altre persone.
Tra i numerosissimi simbolismi che il regista dissemina ovunque, mi colpisce il riflesso distorto del volto di Julie nel cucchiaino.

"Completamente chiusa e ripiegata su di sé, ha imparato a non vedere altro che se stessa. Ora però, nell'osservarsi, si vede per la prima volta sotto sembianze deformi: quelle che le rimanda il riflesso curvo del cucchiaino. In esse, attraverso di esse, Julie coglie l'aberrazione a cui l'ha condotta il proprio tentativo di autoannientamento, l'opposizione della propria volontà al proprio desiderio e quella della razionalità al sentimento, confluite, in ultima istanza, nell'opposizione alla vita, al Destino"

(Chiara Simonigh, Tre colori - Film blu, pagg. 80-81, Lindau editore)

4. "Il suo stesso esistere, il suo più profondo essere e sentire, coincide con la musica" (cit.)

"L'errore di queste domande e di questi lamenti sta probabilmente nel fatto che vorremmo ricevere dall'esterno, come un dono, quello che noi stessi, donandoci, possiamo conquistare dentro di noi. Pretendiamo che la vita abbia un senso – ma la vita ha esattamente la stessa quantità di senso che noi stessi siamo in grado di darle. Siccome il singolo ne è capace solo imperfettamente, le religioni e le filosofie hanno cercato di rispondere a questa domanda in termini consolatori.
Queste risposte arrivano tutte alla medesima conclusione: la vita ricava senso soltanto dall'amore. Vale a dire: più siamo capaci di amare e di donarci, più la nostra vita si colma di senso."

(Hermann Hesse)

Qualcuno scrive che se si ama, si cessa di essere liberi. Se si intende la libertà astratta a cui Julie anelava, in maniera congrua dal suo sgretolamento il film volge progressivamente verso una tensione che si districa verso "qualcosa" di più elevato di quella libertà.
Non è ancora notte inoltrata quando Lucille la chiama esortandola vivamente a raggiungerla in un luogo sconosciuto. Julie va a letto presto ma accetta perché il sentimento di reciprocità è ormai silenziosamente dilagante. Nel fragore del locale notturno, tra spogliarellisti, luci, schermi, vita notturna in fermento, le due donne si guardano. Lucille confida il proprio malessere causato dall'imbarazzante figura del padre tra il pubblico. Si è alzato ed è andato via senza vederla, ma questo non ha più importanza. Julie non dice nulla di particolare, eppure è lì, e per Lucille è ciò che conta.
Stranamente e casualmente, uno schermo proietta foto di Julie, Patrice, uno spartito creduto distrutto e ora nelle mani di Olivier, e una donna bionda misteriosamente apparsa accanto a Patrice. Il puzzle si compone sempre più. Julie rintraccia Olivier, è infantilmente arrabbiata. Lui, che non si è mai dato per vinto, confida di aver utilizzato la musica come mezzo per ritrovarla, per costringerla ad agire.
Julie componeva musica per il marito? Probabilmente sì. Il velo onnipresente di ambiguità che attanaglia il film non disvela mai, semmai lascia indizi. Basta sapere che lei è in grado di comporre. Olivier lo sapeva.
Julie sapeva della relazione extraconiugale del marito? Forse. In ogni caso non serba rancore.
Quando ho visto il film per la prima volta, ormai tanti anni fa, a questo punto ho pensato che fosse troppo semplice per Julie rimuovere il fardello della perdita del marito alla luce della scoperta del tradimento. Ritengo invece che la protagonista intuisse ciò già da prima dell'incidente. La freddezza con cui si relaziona con i dettagli che l'incidente le ha lasciato nel ricordo di lui si contrappone fin dall'inizio al calore materno sempre vivo.
"Vuol sapere se mi amava?". Alla vista del segno della gravidanza Julie indica di conoscere la risposta. E nota che Sandrine porta al collo una catenina del tutto simile o identica a quella che lei indossava e che ha regalato al ragazzo che ha assistito all'incidente.
Rinuncia a vendere la casa in extremis. La dona all'avvocato che porta in grembo il figlio di suo marito. Questo gesto implica un decisivo commiato di non belligeranza con la figura del marito che "deve" avere un lascito, nel nome del nascituro, perché è inevitabilmente insopprimibile il passato… come è insopprimibile la forza dell'amore che si ha dentro, e per Julie è la musica, si realizza nella musica, nella fattispecie nell'atto di comporre. Julie si dona allo spartito, stravolgendo il lavoro di Olivier, rendendolo "meno rozzo e pesante", introducendo il flauto. Olivier da par suo decide di non riprenderlo, ormai concluso, a patto che lei dica che le appartiene. Julie risponde "Ha ragione". Per la prima volta dunque ella compone musica e ne rivendica la maternità. Il concerto per l'Europa è opera di Julie.
Un'identità si definisce. Non si realizza nell'amore per Olivier, come l'amplesso sembra indicare. Non è neppure nell'atto di generosità verso Sandrine, Patrice o il nascituro. L'amore di Julie è Agàpe, disinteressato e totalizzante. E' l'amore verso il mondo, che la fa (ri)congiungere con esso. La musica ne è il centro, la forza trainante, la sua salvezza e il suo riscatto.
Il meccanismo filmico ce l'ha presentata solo a piccoli estratti, come un'energia che si sprigiona a sprazzi, difficile da contenere. Nel finale si può liberare finalmente, ininterrottamente. E' il concerto di Julie, il dono di Julie, capace di creare per sé e per gli altri.

"Se anche parlassi la lingua degli angeli,
Ma non avessi amore,
Sarei solo un bronzo risonante.
Se anche avessi il dono della profezia,
La scienza di tutti i misteri e tutta la conoscenza,
E se anche avessi una fede tanto grande da smuovere le
montagne,
Ma non avessi amore,
Non sarei nulla.
L'amore è pazienza, è bontà
L'amore sopporta tutte le cose
Aspira a tutte le cose
L'amore non muore mai.
Mentre le profezie
verranno vanificate,
Le lingue verranno fatte tacere,
La conoscenza andrà affievolendosi,
Resisteranno solo fede, speranza e amore.
La più grande di tutte è l'amore."

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