Dal racconto di André Devigny: nel 1943 un componente della Resistenza, rinchiuso nel forte di Montluc di Lione, riesce a evadere con un giovane prigioniero comune.
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Quanto può durare la speranza quando tutti intorno a te la perdono? Quando in apparenza non c'è alcuna possibilità di evitare la morte? Infinita è quella di Fontaine, il condannato a morte del titolo, che impegna tutto se stesso per vivere ancora, per sfuggire a quel destino che pare inevitabile. Sebbene fin dall'inizio, dichiarato, sappiamo che Fontaine fuggirà (e probabilmente è calcolato il fatto di volercelo far sapere) il suo costruire la fuga ci appassiona, mettendoci di fronte un uomo che, nonostante tutto, la speranza non la perde mai, che usando ingegno ed operosità dimostra di saper cambiare il corso degli eventi. Fontaine, nonostante viva nello squallore di 2 metri quadri, in un quotidiano fatto di gesti sempre uguali, nella limitazione dei rapporti umani, nel sospetto verso i compagni trova la forza di sperare. Solo questo Bresson ci mostra, nè le crudezze delle fucilazioni nè l'efferatezza dei pestaggi, quasi a voler spogliare al massimo il contesto ed enfatizzare la perseveranza di Fontaine, o meglio, di un uomo che vuol fuggire e, infine, fugge.