un condannato a morte e' fuggito regia di Robert Bresson Francia 1956
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un condannato a morte e' fuggito (1956)

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locandina del film UN CONDANNATO A MORTE E' FUGGITO

Titolo Originale: UN CONDAMNÉ À MORT S'EST ÉCHAPPÉ

RegiaRobert Bresson

InterpretiFrançois Leterrier, Charles Le Clainche, Maurice Beerblock, Roland Monod, Jacques Ertaud, Jean Paul Delhumeau, Roger Treherne, Jean Philippe Delamarre, Jacques Oerlemans, Klaus Detlef Grevenhorst, Leonhard Schmidt, Roger Planchon

Durata: h 1.35
NazionalitàFrancia 1956
Generedrammatico
Al cinema nell'Aprile 1956

•  Altri film di Robert Bresson

Trama del film Un condannato a morte e' fuggito

Dal racconto di André Devigny: nel 1943 un componente della Resistenza, rinchiuso nel forte di Montluc di Lione, riesce a evadere con un giovane prigioniero comune.

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Voto Visitatori:   8,63 / 10 (28 voti)8,63Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
Miglior regia (Robert Bresson)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior regia (Robert Bresson)
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Voti e commenti su Un condannato a morte e' fuggito, 28 opinioni inserite

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Thorondir  @  02/04/2024 16:24:53
   9 / 10
Nell'attenzione al dettaglio, nella risolutezza dell'azione e nella razionalità del piano, nella reiterata azione di non arrendersi e nella presenza-assenza di Dio (beh, è Bresson), nel minimalismo rigorosissimo della messa in scena, nell'impossibilità di arrendersi ai molteplici livelli dell'umiliazione umana (i vari muri della fortezza-prigione nazista) c'è tutta la forza etica, morale, umana e politica di un film raramente eguagliato nella forza esplicativa della sua essenzialità.

7219415  @  09/05/2021 19:02:17
   6½ / 10
Non capisco questa media mostruosa sinceramente

Oskarsson88  @  09/05/2021 11:09:35
   7 / 10
Molto minimale, sia nei toni che nel protagonista, seguiamo passo passo la tattica del condannato per fuggire dalla prigione.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  30/10/2020 14:09:09
   9 / 10
Nel suo inconfondibile stile che evita qualsiasi tipo di spettaclarizzazione il grande regista Francese ci propone il piu' classico dei temi carcerari...un piano di fuga.
"Semplice" direbbe chi non ha visto questo film, "ne hanno fatti tanti"...
Ma quanto è difficile creare tensione utilizzando solo immagini? senza dialoghi? questo avviene nella lunga sequenza finale dell'evasione che mi ha ricordato un po' la rapina "silenziosa" di "Rififi", altro capolavoro Francese di quegli anni.

Ma anche la vita in cella è girata in modo superbo, con la vce fuori campo che diventa protagonista e mai fuori posto. Una cella che solo apparentemente si trova in quel periodo storico visto che ci sono pochissimi riferimenti alla guerra, cosi come al suo passato, sappiamo solo che si trova in questo posto "giustamente" secondo la legge. Quindi potrebbe essere un qualunque carcerato di qualsiasi progione in qualsiasi momento storico.

Il finale poetico e per nulla esaustivo sul futuro dei due protagonisti mi ha ricordato quello utilizzato da Chaplin in "tempi moderni".

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  12/10/2018 23:17:32
   10 / 10
Referente letterario esiste già, ma il film di Bresson ne abbraccia a profusione. Lo spazio temporale, segno della rivoluzione espressiva e minimale del suo cinema, più che mai necessario. Capolavoro assoluto da vedere piu' volte, anche se fa male

Vax87  @  28/05/2016 12:07:44
   8 / 10
Tra i più "importanti" di Bresson, manifesto assoluto del suo talento, Il film sarà datato ma risulta a mio avviso abbastanza scorrevole, questa ostinazione nella ricerca della libertà arriva come un pugno e basti pensare che è proprio questo lavoro ad aver influenzato tutta una sfilza e serie di pellicole ambientate in carcere, tanto per citarne uno ( l'americanissimo Fuga da alcatraz). Come sempre Bresson si fa precursore assoluto di tematiche, poesia e denunce sociali.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Angel Heart  @  06/03/2016 13:16:17
   6½ / 10
Chiunque abbia una certa post-familiarità con il genere difficilmente rimarrà sorpreso davanti a questo reperto di Bresson.
Per i tempi era materiale poco comune, ma già allora peccava nella caratterizzazione del suo protagonista (che poteva essere lui come qualcun'altro) di un'ambientazione spettatrice più suggerita che mostrata, mai che se ne avvertano presenza o soggezione, e di una narrazione lineare ed emotivamente distaccata che riduce il tutto ad una semplice cronaca su come evadere da un carcere; lacune che irrimediabilmente ostacolano il coinvolgimento e l'empatia di chi guarda.

Nulla in confronto a ciò che verrà, ed affermando che ha retto bene la prova del tempo mentiremmo a noi stessi.

Vedibile, ma anche rinunciabile.

DogDayAfternoon  @  05/02/2016 13:40:31
   7 / 10
Molto simile a "Il buco" di Becker, gli è secondo me inferiore. Lo straordinario realismo che si respira nel successivo film di Becker è presente anche qui, ma più nelle riprese che nella trama vera e propria: infatti il carcere sembra un po' troppo abbandonato a sé stesso e la fuga troppo semplice.

Altro punto a sfavore, l'ho trovato molto didascalico a scapito del coinvolgimento emotivo; mentre infatti ne "Il buco" pare di essere nella cella insieme ai detenuti, la visione di "Un condannato a morte è fuggito" è invece più fredda e distaccata.

Se però devo valutare il film in sé senza paragoni con altre pellicole, ne viene fuori sicuramente un interessante prodotto del neorealismo, che merita assolutamente almeno una visione.

Forse avevo aspettative troppo grosse che in parte sono state disattese, ma mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca pur reputandolo un bel film.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  12/04/2015 19:07:45
   8½ / 10
Tensione dall'inizio alla fine: e Bresson spoglia di qualunque intento di spettacolarizzazione il film. La tensione è etica, è negli oggetti preparati con costanza dal protagonista che non demorde e ha l'ideale della fuga.
Claustrofobico ma la violenza accade sempre fuori quadro (Haneke imparerà). Spoglio ma con improvvisi squarci di spiritualità. Decisamente una pietra miliare.

1 risposta al commento
Ultima risposta 28/05/2016 11.59.34
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secondanatura  @  20/02/2014 09:02:32
   9½ / 10
Film semplice in ogni sua parte. Ed è proprio quello che si voleva far capire.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gatsu  @  20/02/2013 18:04:23
   7½ / 10
Film carcerario particolare dove la psicologia del protagonista gioca un ruolo fondamentale. Ci sono delle cose però sul piano di fuga che non convincono molto e per quanto riguarda la tensione preferisco di gran lunga "Il Buco" di Becker anche se è uscito qualche anno dopo. Comunque una pellicola diretta con maestria, importante e significativa dove la solitudine sembra avere la meglio sugli altri temi.

Invia una mail all'autore del commento nocturnokarma  @  18/02/2013 16:24:14
   7½ / 10
Bresson si avvicina al film di genere carcerario con il suo consueto rigore. L'abilità impareggiabile di diluire la tensione narrativa, con alcuni momenti intensissimi, e uno stile senza orpelli lascia davvero ammirati (per chi ama cogliere tutti i particolari della regia). E se il piano di fuga è elaborato, a Bresson interessa sopratutto indagare le piaghe della solitudine, il valore della libertà, e - come sempre - la prova di fede dei suoi protagonisti.

E se a Bresson li si può rimproverare una certa chiusura e difficoltà, non certo la coerenza e la qualità del suo cinema di ricerca.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  25/12/2011 13:26:26
   8½ / 10
Solitudine. Il film di Bresson è la solutidine del protagonista. La sua condanna a morte non si limita alla mera soppressione fisica, ma in primo luogo a quella civile, insieme ad altri condannati alla stessa sorte. e' una condanna che colpisce la speranza di libertà, il desiderio di fuga. bresson giustamente toglie gli orpelli della storia per ridurla alla sua essenzialità, allo stato d'animo del protagonista e facendogli affrontare forse la sua prova più grande: scegliere senza compromessi di fidarsi di un suo simile, condividere la speranza, fuggire. Molto rigorsoso nella messa in scena, ma proprio per questo affascinante nella sua voluta antispettacolarità.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  07/08/2010 17:30:14
   10 / 10
Fuggire è l'unico pensiero di Fontaine, rinchiuso in prigione dai tedeschi, condannato a morte.
Fontaine ci crede, lavora, si costruisce la fuga solo con le poche cose che ha a disposizione: qualche oggetto, tutto il suo ingegno e una determinazione immotivata, che sembra esistere da sé sola.
Gesti lenti, accorti per ricavare ganci da un telaio e corde da vestiti e coperte; l'attesa estenuante del momento propizio e la titubanza quando non è più tempo di rimandare; l'esortazione rimprovero del vicino di cella

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER
Poi l'imprevisto di un nuovo compagno di cella, il sospetto, infine la fuga in un crescendo ininterrotto di tensione che non lascia un minuto noi che guardiamo, in totale partecipazione emotiva.
Film spoglio come la cella di quella prigione, bianco e nero come le opportunità che Fontaine ha di fronte, fuggire o morire, pieno degli sguardi muti e complici dei prigionieri, del silenzio nemico della libertà, poche le parole dette di nascosto sottovoce e solo Mozart ad accompagnare la rituale uscita alle abluzioni quotidiane, come in una dolente processione.
Manifesto di essenzialità e poesia del raccontare, la condizione umana del prigioniero resa perfettamente solo da sguardi e piccole azioni manuali e restituita a noi piena di profondo significato che induce a riflessione.
Magnifico film.

3 risposte al commento
Ultima risposta 10/08/2010 11.10.55
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Gruppo STAFF, Moderatore Kater  @  06/08/2010 14:17:55
   8 / 10
Quanto può durare la speranza quando tutti intorno a te la perdono? Quando in apparenza non c'è alcuna possibilità di evitare la morte?
Infinita è quella di Fontaine, il condannato a morte del titolo, che impegna tutto se stesso per vivere ancora, per sfuggire a quel destino che pare inevitabile.
Sebbene fin dall'inizio, dichiarato, sappiamo che Fontaine fuggirà (e probabilmente è calcolato il fatto di volercelo far sapere) il suo costruire la fuga ci appassiona, mettendoci di fronte un uomo che, nonostante tutto, la speranza non la perde mai, che usando ingegno ed operosità dimostra di saper cambiare il corso degli eventi. Fontaine, nonostante viva nello squallore di 2 metri quadri, in un quotidiano fatto di gesti sempre uguali, nella limitazione dei rapporti umani, nel sospetto verso i compagni trova la forza di sperare.
Solo questo Bresson ci mostra, nè le crudezze delle fucilazioni nè l'efferatezza dei pestaggi, quasi a voler spogliare al massimo il contesto ed enfatizzare la perseveranza di Fontaine, o meglio, di un uomo che vuol fuggire e, infine, fugge.

11 risposte al commento
Ultima risposta 10/08/2010 13.29.03
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BlackNight90  @  13/03/2010 13:32:09
   10 / 10
Primo film di Bresson che vedo, credo di aver beccato il suo capolavoro più grande.
Il condannato a morte è fuggito, ok, ma durante la visione ce ne si dimentica: la tensione rimane altissima, lo spettatore si chiede veramente se finirà in quel modo, attende trepidante la fuga del prigioniero, come se il destino dell'intera Resistenza francese dipendesse da questo, mentre il più flebile rumore, quello della ghiaia e dei sassolini a contatto con piedi privi di scarpe sembra essere amplificato a mille, ma è solo una sensazione, perché Bresson non induge alla spettacolarizzazione, al baccano unito all'azione, usando a esempio delle musiche che guidano le emozioni in una certa direzione (forse ricordo male ma credo che le uniche musiche sono quelle di Mozart)
E' un empatia con il protagonista non costretta, ma che viene quasi naturale perché anche un parte di noi si trova in quella cella.
Un'opera che tra l'altro dà un significato diverso al termine 'claustrofobico', che oggi viene affibiato a qualunque film in cui ci sia una stanzetta buia.
Non credo che il linguaggio cinematografico di Bresson (almeno in questo film) possa essere definito poetico, ma ha in sé tutta la bellezza dell'essenzialità, ed è magnifico.

edmond90  @  13/03/2010 08:15:55
   9½ / 10
E'il mio primo approccio con il cinema rigoroso di Bresson e devo dire che le impressioni sono altamente positive.Non c'è spettacolarità ne virtuosismo di sorta ma nonostante ciò la pellicola scorre che è una meraviglia e lascia lo spettatore incantato.La storia di quest'uomo,impavido e timoroso allo stesso tempo,cosciente dei propri limiti ma deciso ad ogni costo a superarli è semplice ma eccezionale comunque,e non poteva essere raccontata che con sobrietà,ma una sobrietà grandiosa.

Lunatico  @  10/01/2010 23:34:17
   9 / 10
Invia una mail all'autore del commento wega  @  21/08/2009 12:54:42
   10 / 10
"Questa storia è vera. Ve la racconto così com' è, senza orpelli". Verissimo. Quarto lugometraggio e secondo Capolavoro assoluto di Robert Bresson; poco importa se dal titolo già si evince come andrà a finire. "Un Condannato a Morte è Fuggito" è ispirato dalla storia vera di Andrè Devigny (consulente tecnico delle riprese), un tenente della Resistenza francese internato dai nazisti, che nel 1943, a Lione, nella prigione di Montluc, era in attesa dell' esecuzione della sua condanna a morte. Il Fontaine di Bresson, è un condannato a morte che alla notizia di un tradimento da parte di una donna ai danni di un nuovo arrivato esclama: "Una così sarebbe da linciare. E non l' ha mica ammazzata?". Il Cinema paradossalmente come anti-spettacolarizzazione - di una fuga in questo caso - dell' immagine, in un film privato di qualsiasi sequenza d' azione (il primo tentativo resta rigorosamente fuori campo; i colpi successivi inferti alla testa con il calcio della pistola sono in dissolvenza incrociata, e quasi non si vedono; gli attori sono tutti monocorde, il protagonista stesso è stato scelto glabro, cosicché lo spettatore non è nemmeno distratto dall' infoltimento della barba). Prevalentemente girato in primi piani, in dettaglio (con composizione fotografica ridotta all' essenzialità di quel che serve per capire l' azione o il gesto), con un ruolo primario (più qui che nel precedente Diario di un Curato di Campagna, ma che sarà una costante tipicamente bressoniana) dei rumori, "un condamné à mort s'est échappé" è un film soffocante, clasustrofobico, immobilizzante nella disperata intelligenza del suo protagonista, dove la Fede in Dio (il protagonista dichiara che prega solo quando ha bisogno) è sostituita dalla Fede nella riuscita dell' evasione. E che sollievo nell' unico campo lungo dell' intera pellicola che è anche l' ultima inquadratura. Un altro Bresson che rientra tra le pellicole più importanti della Storia del Cinema.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  30/06/2009 06:54:47
   10 / 10
La purezza, l'ascetismo, la rigorosità di Bresson toccano qui uno dei suoi vertici. Il tema, l'evasione di un detenuto da un carcere nazista, suggerirebbe violenza e spettacolarità; lui invece lo risolve in maniera sobria, apatica, con l'astensione ad ogni sorta di spettacolarizzazione. Le azioni si svolgono fuori campo. Gli attori rinunciano a recitare. La suspense c'è, ma è data dalla minuzia con cui il protagonista prepara la sua fuga.
E' prima di tutto, un film sulla fede: l'uomo che lottando contro la sua indolenza, ritrova risorsa nelle proprie forze.

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2 risposte al commento
Ultima risposta 21/08/2009 17.44.45
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Neu!  @  30/03/2009 15:40:55
   10 / 10
Uno dei massimi capolavori di Bresson, non so se è il più bello; se la batte con "Il diario di un curato di campagna" e "Au hasard Balthazar". Un limpidissimo esmpio di cosa voglia dire fare buon cinema.

eizenstein  @  20/03/2009 17:40:11
   10 / 10
Questo film è l'essenza di Bresson: la recitazione sobria, la non spettacolarità, le scene che si limitano quasi solo ad un volto e ad una cella.
Quello che Bresson vuole descrivere è una fuga da un carcere. Le profonde motivazioni dell'autore ci sono ignote, non esistono sevizie gratuite di terribili aguzzini, i preparativi sono mostrati nei minimi particolari. Tutto è in funzione di questo gesto, chi se ne frega cosa ha fatto l'autore prima e dopo di essa, dove andrà a finire e come reagiranno gli aguzzini.
Insomma un raro esempio di cinema che descrive un puro fatto e non divaga per cercare l'attenzione dello spettatore, che deve restare focalizzato sull'evento chiave. L'antitesi, oltre che ovviamente delle americanate, anche della direzione principale cinema europeo d'autore, dove (Renoir su tutti) si cercava di più lo studio dell'animo umano che del puro evento.
Purezza artistica ed onestà intellettuale d'altri tempi.

castelvetro  @  28/11/2008 00:26:40
   10 / 10
Fantastico,
non avevo mai visto nulla del genere...

Davvero molto semplice, dialoghi semplici
quasi creati solo per dare un ritmo e un sostegno
al film. Attori minimali, ma che prendono molto più
di attori nel comune senso della parola.

Veramente stupefacente.
Mi ha tenuto "letteralmente" incollato allo schermo
dall'inizio alla fine.

Assolutamente da vedere.

2 risposte al commento
Ultima risposta 28/11/2008 14.47.48
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forzalube  @  26/02/2008 12:16:21
   7½ / 10
Abbastanza affascinante, ma non del tutto convincente. Forse sarebbe stato meglio non rivelare fin dal titolo che la fuga è riuscita.

superfoggiano  @  21/10/2007 22:14:33
   7 / 10
Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  16/06/2007 22:13:08
   8½ / 10
"Questa storia è vera, io ve la racconto com'è, senza ornamenti".
Inizia con questa frase nei titoli di testa seguiti dalla scritta "Il vento soffia dove vuole" che avrebbe dovuto essere il titolo del film prima di un ripensamento del regista francese, la storia di Andrè Devigny, l'uomo a cui si è ispirato Robert Bresson per la realizzazione di Un condannato a morte è fuggito.
Un film a mio parere molto bello ma anche molto difficile da apprezzare a causa della sua lentezza, della freddezza interpretativa dei personaggi, dell'apparente distacco dalla realtà, basti vedere l'espressione del viso del detenuto a fianco di Fontaine in macchina quando questi tenta goffamente la prima fuga, l'assenza di phatos, di rabbia, d'altra parte è una costante dei film di Bresson, la recitazione sembra risultare sempre monocorde, i dialoghi ristretti all'osso, sussurrati, ed anche nei momenti di azione ( durante la fuga ) sembra quasi che non ci sia tensione, paura.
Nonostante ciò, il film ha un qualcosa di affascinante, di ipnotico, la claustrofobica solitudine di Fontaine diventa la nostra, il suo progettare cosi' minuziosamente la fuga ci coinvolge al punto da soffrirne insieme l'attesa.
Inquadrature quasi sempre ristrette a particolari, ad oggetti, non ci sono panoramiche, niente grandi spazi, tutto è concentrato in pochi metri, i pochi metri della sua cella, ed è proprio questa compressione di immagini che esalta, nel finale, il senso di libertà.

1 risposta al commento
Ultima risposta 21/01/2009 15.25.25
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solitecose  @  20/04/2007 19:52:47
   10 / 10
si solo che è da voto 11, mica da 7

benzo24  @  23/07/2006 18:38:00
   7½ / 10
il classico di bresson, un film freddo, formale e rigoroso che emana un fascino irresistibile. tratto da una storia vera.

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