un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza regia di Roy Andersson Svezia 2014
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un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza (2014)

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locandina del film UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL'ESISTENZA

Titolo Originale: EN DUVA SATT PÅ EN GREN OCH FUNDERADE PÅ TILLVARON

RegiaRoy Andersson

InterpretiHolger Andersson, Nisse Vestblom

Durata: h 1.41
NazionalitàSvezia 2014
Generecommedia drammatica
Al cinema nel Febbraio 2015

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Trama del film Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza

Come moderni Don Chisciotte e Sancio Panza, Sam e Jonathan, due commessi viaggiatori, si confrontano sulle meraviglie caleidoscopiche dei destini umani. Un viaggio il loro che mostra la bellezza dei singoli momenti, la meschinità di altri, l'umorismo e la tragedia che è insita nell'uomo, la grandezza della vita così come la fragilità dell'essere umano.

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Voti e commenti su Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, 17 opinioni inserite

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marcogiannelli  @  04/09/2018 17:25:56
   6½ / 10
Trattasi di grottesco e, in quanto tale, è davvero difficile provare a visionare la pellicola senza la pazienza di andarci in fondo.
Il grottesco, l'apatia, la mestizia e il grigio della vita restituite in memorabili quadretti di nature poco più che morte, Andersson ci presenta tutto ciò in un incredibile carovana di immagini.
Gente che afferma di stare bene (anche se così non è), personaggi che vendono divertimento (essendo degli zombie), una scena in particolare che svolta la trama.
E una riflessione che ne viene fuori
"E' giusto servirsi delle persone soltanto per il proprio piacere personale?"
Ma è tornato mercoledì senza che ce ne accorgessimo.

lukef  @  30/10/2017 12:12:47
   6 / 10
Senza nulla togliere alla ricerca e cura maniacale impiegata per la sua realizzazione, l'elemento che più caratterizza questo film è certamente la noia.
Ancora una volta mi son chiesto se non fosse meglio starmene lontano dai Leoni d'Oro, come da quasi tutti i premi italiani. Salvo poche eccezioni, essi si dividono essenzialmente in due tipi: quelli politici (integrazione, gender, ecc.) e quelli incomprensibili (questo è il caso). Se non ricadete tra i paladini d'attualità nè tra i feticisti dell'intelletto, consiglio anche a voi di lasciar perdere.
Ma quel che muove la mia polemica è anche l'incomprensione dei tanti concorsi che potrebbero riflettere, se non la cultura, almeno il gusto e la sensibilità del paese ospitante. Con il pretesto di essere "internazionali", finiscono per premiare delle opere estremamente regionali e di nicchia. Non so bene da cosa dipenda ma Cannes vince sempre 10 a 0 sui diversi tentativi nostrani.
Entrando nel merito, la pellicola in questione dura oltre 100 minuti e si compone esclusivamente di inquadrature fisse da almeno un paio di minuti ciascuna. Tutti i personaggi sono abbastanza brutti, affetti da forme varie di disabilità e caratterizzati da movimenti lenti e cadenzati. Come molti hanno fatto notare, i dialoghi sono quelli del teatro dell'assurdo, ovvero privi di senso logico ed estremamente ripetitivi. Per capirci, poche battute del film non vengono ripetute almeno tre o quattro volte. Nel complesso il tutto si traduce in un esercizio stilistico molto raffinato e adatto soprattutto ad una sensibilità artistica, oltre che emotiva, che credo essere più presente nei paesi nordeuropei.
Ciò premesso, non è certo un brutto film. Molte sono le sequenze belle e originali. In alcune prevale poesia e sentimento (vedi la taverna dei baci), in altre la componente surreale ed evocativa (come la parte dei cavalli o della scimmia), altre ancora possiedono una forte carica simbolica (come lo spiedo gigante).
Tralascerei volentieri eventuali ciance sui significati, già egregiamente trasmessi attraverso le immagini.
Ho letto che l'intero film si ispira a un dipinto di Brueghel (io ci vedrei anche Hopper) e per quanto possa sembrare strano, tali ambientazioni vengono effettivamente richiamate con i toni della fotografia e la staticità quasi pittorica delle immagini, anche nei momenti (per così dire) d'azione.
I "fatti" si svolgono spesso nelle aree periferiche dello schermo e di rado cercano di catalizzare l'attenzione dello spettatore, che si dedicherà piuttosto a godersi con pazienza la scena nel suo insieme, sfondo in primis, giacchè la luce ne irradia con nitidezza ogni suo punto*.
Manco a dirlo, anche la parte del sonoro è sempre nei ranghi, con musichette delicate e marcette ripetute in diverse parti del film.
Non c'è un controluce, un'ombra che sia netta, un oggetto fuori fuoco, nulla che disturbi l'armonia visiva per un po' di intrattenimento. Se non si è disposti a sacrificare quest'ultimo elemento (come accade per il 99% delle persone che conosco), meglio non cimentarsi nemmeno; se invece avete la pazienza di passare un'ora e quaranta senza essenzialmente sentire il bisogno di una trama o almeno di una via battuta, o se amate il cinema e siete disposti ad apprezzarne ogni sua forma, allora vale certamente la pena di darci un'occhiata.


*C'è una scena in cui viene spenta la luce in un corridoio senza finestre e nemmeno in quel caso si perde un dettaglio.

-Uskebasi-  @  28/02/2016 03:30:28
   7 / 10
Il messaggio di Andersson arriva forte, chiaro e diretto. La ripetività, la monotonia, la solitudine, l'inutilità dell'esistenza, la distanza dalla felicità...
Il problema è che la forma, con questi splendidi quadri statici e sbiaditi, ci spara addosso soltanto questo e non permette nessun altro sviluppo, eccezion fatta per la scena più bella del film, ovvero l'agghiacciante sogno di Jonathan.
Troppo ripetitivo insomma, forse l'avrei saputo apprezzare come un vero capolavoro se fosse stato un mediometraggio, magari che si concludeva con quella meravigliosa canzone alla taverna di Lotta la zoppa a Göteborg.
Brindiamo alla vita! E paghiamo da bere con dei baci.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR 1819  @  23/11/2015 11:31:13
   7½ / 10
Già solo il titolo farebbe scappare a gambe levate lo spettatore medio italiota, abituato ai rutti e alle scoregge dei vari cinepanettoni (o poco più).
Antitesi del cinema commerciale, questo lungometraggio svedese si rivela paradossale, grottesco, cinico. Non è facile apprezzarlo, né discuto il merito del leone d'oro assegnatogli a Venezia. Di fatto lo considero interessante e originale come pochi altri.

david briar  @  22/09/2015 00:38:06
   7½ / 10
Visto per motivi universitari,è un teatro dell'assurdo filmato da un regista raffinatissimo ed elegante.Certe scene sono una vera e propria gioia per gli occhi e per il cervello,su tutte un sogno di morte alla fine che difficilmente dimenticherò.A tratti è insopportabile,e certi "quadri" sono poco interessanti,in altri momenti provoca un curioso senso di spaesamento e di malinconia divertente, assimilabile,per quanto possa sembrare un paragone fuori luogo,alla sensazioni del cinema dei Coen.

Come già detto talvolta è una gioia per gli occhi e per il cervello,ma praticamente mai per il cuore.Però nel complesso mi è piaciuto.E' uno di quei film che fa sentire intelligente la critica e gli intellettualoidi,e oggi avevo voglia di sentirmi intelligente anch'io..

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  12/07/2015 22:59:20
   6 / 10
Il grigiore è l'elemento comune di queste del film di Roy Andersson. Grigiore nella tavolozza dei colori, estremamente smorti, il griogiore dei personaggi alle prese con le loro miserie umane, il grigiore della messa in scena ai limiti del metafisico, scarna e povera. Il film oggettivamente è fuori dagli schemi e particolarissimo, molto di nicchia e dalla fruibilità abbastanza difficoltosa. Una commedia dell'assurdo dell'esistenza umana che nn tutti probabilmente apprezzeranno, ma certamente privo di banalità.

Ciaby  @  14/05/2015 12:55:52
   8½ / 10
Il seguente aneddoto va letto sia come testimonianza di un evento accaduto che come recensione simbolica di "Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza".

Cinema sgombro, proiezione dell'ultimo di Roy Andersson. Un paio di vecchie. Si nota però una ragazza di al massimo quattordici anni, scheletrica, vestita alla moda, con iphone alla mano. Una di quelle che ti immagini il sabato sera in discoteca a reggere il cocktail in mano senza sorridere. è qui, completamente sola. Mi sembra buffa. Stona con tutto il resto.
Probabilmente, penso, si inventerà una storia con le amiche per salvare la faccia: "Ho passato il pomeriggio con quel figo palestrato che mi ha presentato tua cugina sabato sera. Siamo usciti, ci siamo fumati degli spinelli e ci siamo baciati fino al tramonto."
E invece è qui, con lo sguardo atterrito verso lo schermo. Una zombie, come i personaggi del film.

"Lei aveva un sasso nella scarpa."
"Ho visto."
"è stato bello."
"Cosa c'è di bello nell'avere un sasso nella scarpa?"
"è stato bello vedere che è riuscita a toglierselo."

fiesta  @  24/02/2015 10:21:14
   10 / 10
Colori sbiaditi, assenza di ombre, profondità di campo, pianosequenza e recitazione scarna. Espressionismo tedesco e Bazin. Il mix oramai d'autore va di nuovo in scena per l'ultimo capitolo di una saga apocalittica.
Oramai Andersson non lascia più spazio a qualsiasi tipo di sensazione. Dei trentanove quadretti presenti nel film solo in quattro traspaiono emozioni: delle bambine che giocano con le bolle di sapone, una donna in un parco che gioca col suo neonato, una coppia che fuma una sigaretta post coito, una coppia con il loro alano che distesi su una spiaggia di un dorato spento si accingono ad avere un rapporto sessuale. In ognuna di queste scene c'è il segno tangibile della modernità che incombe sui protagonisti (è subito alle spalle o è in profondità di campo).
Andersson è innamorato di Steinbeck perché entrambi odiano la modernità!
L'apocalisse si è ultimata, non si riesce a creare empatia in nessun modo con i Nostri (poche le scene dove sono presenti gli unici protagonisti dell'opera per poter instaurare un rapporto di identificazione) perché allo stesso modo non creano empatia tra loro (emblematica la scena dove siamo costretti ad assistere ad un vuoto messaggio lasciato in segreteria mentre sullo sfondo si svolge il dramma di ciò che pensiamo possa essere una ex coppia) . Ogni conversazione oramai è vuota, non c'è più spazio per l'introversione e le uniche malinconiche emozioni provengono da ricordi del passato (anch'essi alquanto ambigui).
L'ultimo film di questa meravigliosa saga sancisce la morte dell'emozione.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  23/02/2015 00:47:13
   6½ / 10
Piu' che rilessioni, si tratta di riflessi. Andersson metabolizza un'idea di cinema che in certi
Contesti fa gridare al Capolavoro, puzzle senza un tempo preciso dove ci si commuove per il vecchio cliente di un bar, si rabbrividisce per gli orrori dell'umanita' vs. Shioah, o inorridisce davanti agli esperimenti genetici sugli animali. E' uno scenario che via via ricorda Jodorowsky e Von Trier, Bergman e Dreyer, la letteratura di Ibsen e i quadri della pittura nordica dell'Ottocento, "dipinti" da una fotografia nitida e dalle leggi della Metafisica. E' un film ora attraente ora insopportabile (vs. Un certo sconfinato manierismo
Che serpeggia nei dialoghi e in certi episodi), ma e' palese, evidente, eloquente che il tutto sia una sconfinata ammirazione per Samuel Beckett e il suo "teatro dell'assurdo" trapiantato nei lidi nordici del cinema europeo. Aspettando Godot o chissa' chi altro, un referente che mette in luce, con il suo controverso Leone d'oro a Venezia, tutta una genesi storica e sconfinata del fatalismo umano

4 risposte al commento
Ultima risposta 29/10/2017 12.20.45
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Invia una mail all'autore del commento Living Dead  @  22/12/2014 17:06:45
   9 / 10
Andersson dipinge le sue tele con inarrivabile tecnica e precisione, spaziando nelle tre dimensioni senza l'utilizzo del 3D digitale. Giustamente vincitore di Venezia 2014, fa ridere a denti stretti di fronte alla disperazione della condizione umana. Capolavoro.

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