uomini di dio regia di Xavier Beauvois Francia 2010
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uomini di dio (2010)

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locandina del film UOMINI DI DIO

Titolo Originale: DES HOMMES ET DES DIEUX

RegiaXavier Beauvois

InterpretiLambert Wilson, Michael Lonsdale, Jacques Herlin, Olivier Rabourdin, Philippe Laudenbach

Durata: h 2.00
NazionalitàFrancia 2010
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2010

•  Altri film di Xavier Beauvois

Trama del film Uomini di dio

Anni '90. Algeria. Una comunità di monaci benedettini opera in un piccolo monastero in favore della popolazione locale aderendo all'antica regola dell'"Ora et Labora". Il rispetto reciproco tra loro, che prestano anche assistenza medica, e la popolazione locale di fede musulmana è palpabile. Fino a quando la minaccia del terrorismo fondamentalista comincia a farsi pressante. Christian, l'abate eletto dalla comunità, decide di rifiutare la presenza dell'esercito a difesa del monastero non senza trovare qualche voce discorde tra i confratelli. Una notte un gruppo armato fa irruzione nel convento chiedendo che si vada ad assistere due terroristi feriti. Dinanzi al diniego vengono chieste medicine che vengono rifiutate perché scarse e necessarie per l'assistenza ai più deboli. Il gruppo abbandona il convento ma da quel momento il rischio per i monaci si fa evidente.

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Voto Visitatori:   7,17 / 10 (32 voti)7,17Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Miglior filmMiglior attore non protagonista (Michael Lonsdale)Migliore fotografia
VINCITORE DI 3 PREMI CÉSAR:
Miglior film, Miglior attore non protagonista (Michael Lonsdale), Migliore fotografia
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Voti e commenti su Uomini di dio, 32 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  29/12/2010 02:02:05
   9 / 10
Film tesissimo, come una corda di violino che è in grado di sprigionare la melodia più affascinante ed emozionante.
La cinepresa di Beauvois affresca degli autentici quadri e quando si muove lo fa con movimenti puliti, discreti e decisi, pronti a descrivere e contenere tutto quel che serve per capire la situazione descritta.
L'alternanza continua di contemplazione, violenza, tormento e serenità interiore danno al film un ritmo emotivo talvolta insostenibile. Il tutto in apparente contrasto con la staticità formale di molte sequenze: in questo sta la sua genialità e la sua (notevole) profondità.
Forse troppo "ecumenico", in realtà sa mostrare perfettamente come la furia ideologica riesca sempre a distruggere quel che la bontà del quotidiano sa costruire. E come spesso bastino il rispetto e il semplice buon senso (o il senso della misura) per gettare ponti solidi tra diversità.
Notevolissimo lo scandaglio psicologico che Beauvois e i suoi attori -tutti perfetti- riescono a dare ai vari personaggi: di ognuno sembriamo saper tutto della propria esistenza e della propria interiorità. Dai piccoli gesti quotidiani fino al rapporto con la propria fede passando per il proprio carattere, nulla sfugge allo sguardo partecipato, pudico ma profondissimo di Beauvois al dramma di un pugno di uomini che sa realizzare una vera empatia cristiana nei confronti della gente di un modesto villaggio algerino e che cede di fronte alla cieca violenza del fanatismo.
Tre almeno le sequenze da antologia del Cinema: l'arrivo e il sorvolo insistentemente minaccioso di un elicottero militare sulla chiesa nella quale i frati pregano per poi stringersi in un canto che scacci la loro comprensibile paura; l'ultima cena dei frati accompagnata dalla musica sublime e struggente del "Lago dei Cigni" di Tchaikowskij (ogni volto esprime tutta la gamma dei sentimenti umanamente possibili, davvero una delle più sconvolgenti cose che abbia mai visto al cinema); l'insistita inquadratura finale che ci mostra i monaci portati a morire mentre spariscono tra la neve insieme ai loro aguzzini: fa più male di mille atrocità mostrate esplicitamente.
Nessuna apologia religiosa: i frati e gli imam messi in scena da Bauvois sono umanissimi, pieni di dubbi e contraddizioni emotive; nessuna polemica "coloniale": il problema dell'occupazione francese in Algeria è evocato in modo asciutto e con una particolare attenzione agli effetti ambigui che ha prodotto mettendosi nei panni di chi subisce tali ambiguità; nessun nichilismo di fondo: alla sopraffazione dell'odio risponde la forza della debolezza dei monaci. A ricordarci che ci sono situazioni della vita nelle quali non possiamo controllare tutto, ma che la nostra parte va fatta comunque fino in fondo; il resto è un adagiarsi ai capricci del Fato o al volere di Dio.

6 risposte al commento
Ultima risposta 16/01/2011 02.33.29
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Dante12  @  03/11/2010 03:31:43
   6 / 10
Difficile dare un voto a questo film... sarebbe come sparare sulla croce rossa :-)
Per la verità comprendo i giudizi positivi che ho visto fin'ora, ma vorrei dare un opinione distaccata, senza lasciarmi condizionare dal tema trattato.
Il film è lentissimo e noiosissimo. Un vero peccato, perchè bastava farcirlo con un po di vita quotidiana del villaggio e qualche preghiera in meno per renderlo meno saporifero. Non succede niente di niente durante tutta la proiezione, capisco che la storia è quella, ma è pur sempre intrattenimento, e come tale a mio parere va colorato per renderlo piacevole anche a chi non ha la pazienza dei protagonisti.
Ripeto, comprendo i giudizi postivi di chi è abituato a ritmi e temi trattati in questo genere di film, ma bisogna avere il coraggio di dire a chi non lo è, di cosa li aspetta. A fine proiezione, durante i titoli di coda, mentre uscivamo, ho fatto notare alla mia ragazza che a parte un altra copia erano rimasti tutti seduti... lei mi fa... va beh, ora accendono le luci e si svegliano :-)

P.s. Anche se mi sono parecchio annoiato, valeva la pena e non mi sono pentito di averlo visto.

2 risposte al commento
Ultima risposta 04/11/2010 03.25.16
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  02/11/2010 20:27:06
   8 / 10
"Tutto quello che ci restava da fare era vivere" (cit.)

Devo ammettere di avere un debole per i film che trattano le problematiche religiose e della coscienza umana, e fin dal trailer avevo visto Uomini di D.io come una versione mistica del Deserto dei tartari del nostro Dino Buzzati.
A dirla tutta, dopo aver visto il film, l'accostamento non mi sembra affatto insensato, anzi.
Un film non facile, occorre essere provvisti di una vera e propria partecipazione (o fede?) ma se dovessi imputargli un difetto direi che la visione manichea della spiritualità suscita a tratti qualche perplessità.
Tecnicamente il film funziona come un orologio svizzero: un'emotività in crescendo, scandita dai rituali dei frati, con atmosfere che sembrano rubate al "Nastro bianco" di Haneke, anche se le immagini e i personaggi ricalcano il cinema complesso di Bresson - v. il frate dubbioso della propria fede come ne "Il curato di campagna" - e soprattutto il cinema di Dreyer.
"L'ultima cena" dei confratelli, che passa da un forzato ottimismo allo smarrimento "terreno" per la loro indubbia sorte, ricorda - per l'uso della mdp e i volti espressivi degli interpreti i terribili preti inquisitori di Dies Irae.
Ma qui la scena si ribalta, perchè il film esplora cautamente le contraddizioni della fede, con i canti religiosi che accusano gli "infedeli", e l'utopia di perseguire un Credo universale e magnanimo verso tutti i tipi di dogma, senza traumi nè reazioni.
C'è tutta l'ambiguità di un D.io che sollecita il martirio ("morire per la mia fede in questo momento non dovrebbe impedirmi di dormire" cit.).
Vi siete mai chiesti perchè, da Bunuel a Herzog, ricorre così tante volte, e in maniera più o meno metaforica, la citazione del cenacolo???
Il film è comunque splendido, perchè esibisce la debolezza di uomini davanti alla paura della morte, o mentre celebrano passivamente una vocazione - incrollabile? - che non sanno essi stessi spiegarsi.
Una vocazione chiusa nel rassicurante rapporto con la comunità, ma altresì chiusa nelle spire di un convento che diventa quasi una FORTEZZA DELL'ANIMA roccaforte di uno spirito esule dal dominio (il)logico del Male.
Solo in un caso si parla di un D.io che accetta nel suo regno martiri di ogni tipo, poveri e diseredati, ma è come una dichiarazione priva di intenti, lasciata smarrire nel dubbio della cosiddetta "vita eterna".
E non appena il meccanismo si spezza, è come assistere al suicidio inevitabile del sacrificio di una vita, non della sua resa ingiustificata.
Alimentato fin dalle prime sequenze da quell'alone di morte costante e spaventoso, "Uomini di Dio" è una delle più efficaci riflessioni sulla fede del cinema contemporaneo.
Superbi gli interpreti, su tutti Lambert Wilson, e un meritato premio a Cannes

1 risposta al commento
Ultima risposta 07/11/2010 23.19.39
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