speciale la quadrilogia romeriana dei morti viventi - la componente puramente orrorifica
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La componente puramente orrorifica

Il cannibalismo

Gli zombie di Romero non ci terrorizzano soltanto con la loro immagine. Essi ci danno la caccia spinti dall'istinto di nutrirsi con le nostre carni. Un bisogno senza fine, slegato dalla necessità reale di alimentarsi (come mostra il dottor Logan ad una orripilata Sarah in Day). Gli zombie dunque ci vogliono divorare. I denti marci, le dita ossute, le mascelle disarticolate cercano corpi vivi da fare a pezzi e infine consumare, almeno finché la vita non abbandoni le loro vittime. Il cannibalismo, l'idea di venire mangiati dal nemico, è uno dei tabù più profondi del nostro immaginario. Questo terrore ha radici assai antiche. Fino ad epoche relativamente recenti, gli uomini erano spesso minacciati dalle belve feroci. Lo sviluppo di insediamenti umani sempre più popolosi, le frequenti battute di caccia alle belve hanno nel tempo ridotto questo pericolo ai minimi termini, eppure il terrore di finire divorati dal monstrum ha radici molto antiche, antiche di millenni, e poche centinaia di anni di relativa sicurezza non ce ne hanno affatto liberato. I mostri delle fiabe più nere mangiano i viandanti, i bambini, le loro vittime. La strega li mette nel pentolone, l'orco li divora ancora vivi. Alcuni tra i più efferati e temuti serial killer praticavano il cannibalismo, e poche cose terrorizzano le persone quanto l'idea di un essere umano che divora un altro essere umano (si veda Ravenous, il notevole film del 1999 di Antonia Bird). Nella quadrilogia, Romero pone un simulacro a svolgere il ruolo di spauracchio: i morti che risorgono, per divorarci. Sulla iconizzazione di questo modello apre una sanguinolenta parentesi celebrativa che diventa subito un topos: la Zombie Feast, che conclude ogni episodio della quadrilogia, vede la massa di zombie banchettare con i corpi dei vivi in un tripudio quasi rituale di smembramenti, visceri fumanti e parti umane masticate dagli zombie. L'orrore della minaccia diventa assoluto, il trionfo totale del monstrum sull'umano. Di fronte a quello spettacolo, anche gli eroi più saldi cedono allo sconforto, alla disperazione.

La filiazione

Eppure il mattatoio della Zombie Feast non è l'apice dell'orrore e della minaccia offerta dagli zombie ai protagonisti (e agli spettatori per interposta persona). Essi difatti non solo ci terrorizzano e ci vogliono divorare, ma sono in grado di renderci simili a loro. Con un forte parallelo rispetto al mito del vampiro, lo zombie di Romero azzanna la sua vittima, sovente la smembra e la divora almeno in parte, ma raramente ne fa scempio a tal punto da non permettergli di risorgere a sua volta. La prolificazione degli zombie è, in effetti, uno degli elementi centrali della intera vicenda. Uccidendo, i morti viventi non solo sottraggono forze ai viventi ma ne acquisiscono di nuove per il proprio esercito. Benché come abbiamo visto la questione della origine del virus sia poco chiara la sua propagazione è palesemente legata (anche) al morso degli zombie. Il morso, velenoso come quello di un serpente, condanna a morte e risurrezione certa la vittima. Ad amici e parenti non resta che scegliere se uccidere subito il ferito o attendere che divenga inevitabile farlo per difendersi da lui. Il morso dunque, e il sangue, come veicoli della maledizione. La filiazione dello zombie è un evidente parallelismo di quella vampirica. Ma il vampiro è, per tradizione, un essere malvagio, astuto, calcolatore. Al contrario lo zombie appare, almeno nei primi due film della serie, stupido come la luna. *(modo di dire americano)

Stupidi?

Gli zombie dunque sono una minaccia terribile. Ma sono malvagi? La malvagità è, necessariamente, frutto di una scelta. Se non di intelligenza, perlomeno di furbizia, scaltrezza. Gli zombi, al contrario appaiono completamente privi di queste facoltà. Essi ciondolano in giro come bambolotti meccanici, piuttosto malconci, senza meta né direzione, ripetendo in modo goffo e spesso comico gesti e comportamenti che in qualche modo rammentano come consueti nella propria, conclusa, esistenza di vita umana. Attaccano gli esseri umani solo perché spinti dall'istinto atavico di nutrirsi. Eppure la minaccia che presentano appare paradossalmente anche maggiore proprio per questa loro assoluta ingenuità: lo zombie ti cerca e ti azzanna osservandoti con occhi morti, privi della luce dell'intelligenza. È come un apparecchio meccanico, che mentre smembra la sua vittima non ne riconosce le urla di dolore, insegue solamente la propria fame assoluta, primordiale e totalmente cieca. Non si può ingannarlo, non si può ragionarvi (e quanto tentano di farlo tutti i personaggi: con preghiere, insulti, promesse e minacce!) e non si può fermarli. Perlomeno questo erano gli zombie di Night e di Dawn. Capaci al massimo di afferrare un oggetto e usarlo in una grottesca parodia di ciò che facevano da vivi. In Day, Romero introduce un elemento nuovo ed inquietante, che cambia le carte in tavola. L'idea che gli zombie possano ricordare ciò che facevano da vivi con maggiore chiarezza, ed imparare nuovamente ad usare con perizia anche utensili di una certa complessità, come un registratore, un telefono o una pistola, sfoca notevolmente l'idea della stupidità degli zombie. Ma ancora più importante, in Day Bub, lo zombie "educato" dal dottor Logan, impara a frenare il proprio cieco istinto, risparmiando al suo mentore il proprio morso let ale quando ne ha l'occasione. Questo zombie, evoluto dopo aver dimostrato di aver appreso a controllare la propria bramosia di carne umana, mostra anche di possedere dei sentimenti. Si affeziona allo scienziato che lo "educa", arrivando a mostrare grande sofferenza nel vederlo ucciso. Inoltre direziona il proprio odio verso il capitano che ha ucciso il dottor Logan, mostrando nella sua vendetta i segni di una intelligenza tutt'altro che primitiva. Il concetto viene fortemente sviluppato in Land, dove uno zombie matura autonomamente una propria consapevolezza, ma anche la capacità di comunicare con i suoi simili, e – come vedremo più nel dettaglio nella analisi della visione politica – sviluppa addirittura una sorta di coscienza di classe degli zombie che lo porterà a guidare una rozza ma efficace crociata contro i simboli del potere degli umani, visti come oppressori. Al di là delle speculazioni, peraltro pertinenti, su plausibilità, coerenza e conseguenze pragmatiche di questo sviluppo, la domanda che per prima mi sorge è: gli zombie pensanti fanno meno o più paura? O, in altre parole, il fascino oscuro dello zombie non consisteva anche e proprio nella sua stolida incapacità di direzionare altrimenti le proprie azioni? Non erano forse la sua implacabile costanza, la sua totale assenza di emozioni, sentimenti e capacità di scelta, il suo essere moltitudine con un solo scopo, a renderne l'immagine tanto spaventosa? Al lettore/spettatore la riflessione e le risposte.


Torna suSpeciale a cura di Stefano Re - aggiornato al 23/06/2006

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