speciale la quadrilogia romeriana dei morti viventi - la componente puramente orrorifica
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La componente puramente orrorifica

L'aspetto orrorifico ha una sua precisa connotazione e merita uno spazio di approfondimento a sé. Come anticipato, le tematiche che destano orrore nella saga sono il frutto di una perfida miscela di tabù: la Morte, l'ineluttabilità, il cannibalismo, il contagio, la cieca determinazione.
I protagonisti, nel corso della loro vicenda filmica, vivono con la costante minaccia di
     1. incontrare dei morti viventi, evento terrificante di per sé,
     2. venire da essi aggrediti fisicamente,
     3. venire da essi morsicati e eventualmente smembrati e/o divorati,
     4. venire da essi infettati e, sopraggiunta la morte, diventare a loro volta dei mostri.
È immediatamente evidente che la minaccia cui i protagonisti sono sottoposti ha in sé delle caratteristiche uniche, che non possono non influenzare le scelte dei protagonisti, le loro azioni, le loro relazioni e dunque lo sviluppo della trama nel suo insieme.s

Anzitutto, la morte

Da sempre, la morte è un punto delicato nella psicologia delle persone. L'idea che tutti noi, da esseri caldi e pensanti, siamo destinati prima o poi a diventare ammassi di carne fredda e immota destinata a marcire è, inevitabilmente, una idea che pone sgomento. Al di là delle posizioni religiose o delle credenze individuali, la morte è, perlomeno per la cultura contemporanea occidentale di maggior diffusione, un elemento in sé stesso associato a sensazioni di sgomento, ansia, paura. La elaborata cultura di cui facciamo parte tende a rimuovere la morte, non soltanto relegando i suoi simboli a pubblicazioni stereotipe, ma persino oscurandone il più possibile il concetto. La stessa parola "morte" viene evitata finché possibile. Si preferisce usare giri di parole o metafore forbite e leggere, come "se ne è andato", "ci ha lasciati" e similari. Ovvio quindi che presentare la morte nel suo aspetto più concreto e brutalmente sensoriale, quello del corpo morto, spesso orrendamente deturpato, talvolta marcescente, e farla simbolicamente bussare alle nostre porte è una immagine dal grande impatto emotivo. I movimenti sgraziati, limitati a scatti dal rigor mortis e dai danni alle articolazioni – quelle movenze al tempo stesso lente ed inesorabili, ridicole da lontano quanto minacciose da vicino, aumentano l'amplitudo dell'impatto visivo del morto che cammina. Gli zombie di Romero vengono a ricordarci che prima o dopo, inevitabilmente, noi saremo come loro. Non ci parlano di aldilà, non c'è ombra di metafisica o di misticismo nella loro inquietante presenza. Solo un rivissuto, cieco e brutale, dell'istinto. Tutto ciò che negli zombie resta degli esseri umani è il più grande dei bisogni: la fame. E per soddisfarla, essi cercano i vivi.

Molti, lenti e inesorabili

Un altro aspetto, forse uno dei più terrificanti, della figura dello zombie, consiste nella sua implacabilità. Lo zombie difatti, ha movenze sgraziate, lente, goffe. Un individuo sano è perfettamente in grado di seminarlo, anche semplicemente mettendosi a correre. Ma a differenza del suo inseguitore, il fuggitivo deve anche fermarsi a dormire, deve riflettere, pensare, considerare la propria situazione, le proprie prospettive. Lo zombie, al contrario, non pensa, non riflette, non ha dubbi, non ha timori. Cammina, zoppica, o persino si trascina. Può farlo per ore, giorni, anni, mentre il suo corpo lentamente si decompone (il dottor Logan spiega in Day che la decomposizione è fortemente rallentata dal momento della resurrezione). Lo zombie non smette mai di inseguire la sua preda. Perché, esattamente come la fame che desidera soddisfare, lo zombie non ha un fondo su cui posare, e questa cecità, questa determinazione inumana, lo rendono terribile. Questo, unitamente all'altro fattore essenziale, ovvero il numero. Sconfiggere uno zombie solitario non è una impresa complicata. Gli zombie difatti sono mediamente deboli, rigidi, incapaci di azioni coordinate. Eppure, basta un piccolo morso per condannare chiunque a morte sicura. Ogni singolo zombie è dunque al tempo stesso debole e letale e, come abbiamo appena detto, implacabile. Ciascuno, dal primo all'ultimo, e sono moltissimi. Il numero è un fattore essenziale nella iconografia degli zombie. Per quanti colpi vengano sparati, per quanti zombi vengano abbattuti, altri li sostituiranno sempre. Gli zombie diventano quindi una sorta di esercito con mille facce diverse eppure sempre la stessa. Un inseguitore che si può sempre seminare, ma che non si ferma mai a tirare il fiato o riposare. Così come è alle tue spalle, è anche poco oltre davanti a te. Gli zombi, per definizione, assediano da ogni parte gli umani e sono un avversario che non si scoraggia mai, che non cambia mai idea. Un nemico che si può uccidere mille volte, ma sempre tornerà a cercare di morderci. Ed ecco che la visione di questo sterminato esercito con i mille volti della morte diventa l'orribile incubo dell'assedio prima mentale e poi fisico ai sopravvissuti, a coloro che resistono. Una resistenza che, nel migliore dei casi, finirà con il sopraggiungere della morte naturale. Quasi a sottolineare che, in un modo o nell'altro, gli zombie vinceranno comunque.


Torna suSpeciale a cura di Stefano Re - aggiornato al 23/06/2006

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La quadrilogia Romeriana
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