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TAR regia di Todd Field

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Thorondir     8½ / 10  13/02/2023 12:42:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Lydia Tár è arrivata dove è arrivata grazie alla sua bravura, al merito e (il film ce lo fa capire) anche grazie ad una glacialità opportunistica che spesso si accompagna ai ruoli di potere: perché a ben vedere questo "TÁR" di Todd Field è un film sul potere, sulle possibilità che esso apre all'arbitrio umano, su come il potere finisce per gerarchizzare gli esseri umani, tanto più quando inseriti in una realtà così iper-selettiva e competitiva come quella descritta nel film. Field mette su un film-fiume che non ha primariamente l'obiettivo di raccontarci in tutto e per tutto la protagonista (una Cate Blanchett che se esce senza statuina si che può veramente picchiare tutti): quello che il regista/sceneggiatore fa è costruire un piccolo puzzle con cui disvelare l'animo più profondo di Lydia nella sua quotidianità a dominanza lavorativa (raramente il film esula da questa dinamica e quando lo fa, come nella scena in cui invita la bambina a non importunare più Petra, ne viene fuori comunque un ritratto ambiguo e chiaroscurale). Con questo lento dipanarsi (forse si, anche verboso) veniamo quindi condotti all'interno del non-mondo di Lydia, a ben guardare un ritratto contemporaneo di chi è arrivato al vertice: vita dominata dal lavoro (in tutti gli aspetti, finanche quello affettivo), paranoie e paure, sradicamento continuo dello spazio (bisognerebbe contare e analizzare quante volte la vediamo districarsi tra varie abitazioni e hotel, fino a tornare alla casa d'infanzia dove gli rimangono familiari gli oggetti, meno gli esseri umani). Una vita figlia della contemporaneità delle "celebrities" e che quindi non può sfuggire al nostro tempo: le accuse di molestie e arbitrarietà arrivano a terremotare una testa già dolorante (e non solo perchè sbattuta a terra) e a insinuare il dubbio nello spettatore: infatti, un po' come per le storie che riguardano i nomi famosi degli ultimi anni, non veniamo messi a conoscenza dell'effettività di tali abusi. Ma, come diceva già Vinterberg, basta "il sospetto". Colpevole o meno (e il film è certosino nel seminare indizi senza mai rivelare) si regredisce, si perde tutto, e si riparte dallo stadio iniziale, "primitivo" (gli spettatori del finale, vestiti in modo opposto agli abiti freddissimi e alto-borghesi dell'Europa elitaria).

Tutto ciò (e molto altro di cui si potrebbe discutere) viene messo in scena con una regia semplicemente straordinaria, che costruisce singola inquadratura per singola inquadratura, che monumentalizza gli ambienti ma li rende freddissimi (quasi a sottolineare il personaggio-madre che è praticamente sempre in scena e a sottolinearne carattere e modi). Lavoro che viene ulteriormente esaltato sia dal sonoro sia dalla fotografia di Hoffmeister. Ma per comprendere la grandezza del film e quella del lavoro registico basterebbe un momento su tutti: il lunghissimo piano sequenza della lezione, girato per rendere quel momento nel suo tempo reale e per dare le informazioni così come si sono prodotte in quel frangente. Stesso momento che poi vedremo de-costruito e rimontato per dare a quel momento un aspetto e un significato completamente diversi (la stessa Lydia, metacinematograficamente, noterà gli errori nel controcampo di quel video). Perché alla fine tutto sta nello sguardo e nella sua forza manipolativa, cinematografica e non. Cinema a livelli molto molto alti.
Harpo  13/02/2023 15:01:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Stesso momento che poi vedremo de-costruito e rimontato per dare a quel momento un aspetto e un significato completamente diversi (la stessa Lydia, metacinematograficamente, noterà gli errori nel controcampo di quel video)"
Scavallamento voluto e cercato?
Thorondir  13/02/2023 17:23:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non ho nessuna certezza in merito. Potrebbe essere Field che ci dice come alla fine tutto è finzione (anche il cinema) e che tutto può essere manipolato o potrebbe essere semplicemente un artificio per quella scena in cui non c'è nessun tipo di riflessione particolare. La cosa per me interessante è proprio che il regista abbia scelto di distruggere quella scena (facendola riprendere da qualcuno con un cellulare) mentre lui l'ha girata con un piano sequenza complicatissimo di boh, forse un quarto d'ora (e questo rende ancora più da sottolineare la grande prova teatrale della Blanchett).