Elfo Scuro 8 / 10 03/05/2024 02:50:04 » Rispondi Incredibile come Verhoeven, alla sua età e con tutto il passato che lo riguarda, non sia mai venuto meno all'etica del suo cinema senza mai condonare o accettare compromessi di sorta (persino quelli di Hollywood). Non si rimane impassibili quando un cineasta come Verhoenen mischia: fede, blasfemia, castità, perversione, attualità, antichità, sante, *******, violenza e candore, persino in un film che parla essenzialmente di suore. Non mi stupisce persino che il suo braccio destro alla scrittura, Gerard Soeteman, si sia allontanato (togliendo pure il suo nome dai titoli di coda) reputando la pellicola troppo declinata al lato sessuale, ma neanche che la scrittrice del libro da cui è tratto il film (Judith C. Brown autrice di "Atti impuri - Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento") abbia testualmente definito: - Paul Verhoeven e David Birke hanno scritto un copione fantasioso e affascinante che esplora l'intersezione tra religione, sessualità e ambizione umana in un'epoca di peste e fede. - parole, che attestano in primis la potenza evocativa del film. Valore aggiunto poi le location italiane di Bevagna, Montepulciano e Val d'Orcia a cui vanno annesse quelle francesi nelle abbazie di Silvacane e Le Thoronet, tutte sfruttate al meglio tra interni ed esterni ad opera della fotografia di Jeanne Lapoirie e delle scenografie di Katia Wyszkop. Il contesto storico non viene mai meno sin dai primi minuti, riportando la dura vita del 1600 tra: crisi dell'imminente ricambio economico, lotte intestine di natura sia civile che religiosa (le diverse eresie dei catari, dolciniani, flagellanti e chi ne ha più ne metta), il ritorno dell'onnipresente peste e infine, parte più importante, la centralità dell'aspetto religioso nella vita della gente e tutto questo viene ricreato in modo certosino (ricordando quasi "Il nome della rosa") qui in Italia. Ma tra tutto quanto è il cast che mi ha colpito: Virginie Efira incarna tutti i valori delle attrici che hanno impersonato i personaggi femminili di Verhoeven: biondismo, bellezza, ambiguità della doppia natura umana e così facendo costruisce nella sua Benedetta Carlini (realmente esistita) una commistione tra i personaggi di Caterina da Siena e Giovanna d'Arco nel quale vengono immesse tutte le peculiarità tipiche del regista come la sottile linea tra realtà e finzione della Catherine Tramell di Sharon Stone in "Basic Instinct", ma sarebbe anche un torto non citare Daphné Patakia (nel vedersi sembra quasi una fusione tra Mia Goth e Béatrice Dalle) che fa da tentatrice e contraltare alla santità (?) della protagonista creando una versione perversa della coppia in "Portrait de la jeune fille en feu" di Céline Sciamma, infine la solita Charlotte Rampling che spicca con la sua arriverà badessa sempre pronta nel condannare uomini che mercanteggiano come giudei le necessità economiche della Santa Romana Chiesa. La pellicola è un susseguirsi tra giochi di specchi, religione, umanità, martirio e non manca anche la violenza medioevale (cosa non nuova a Verhoeven, basta solo citare "Flesh+Blood") che scoppia nel finale della rivolta popolana in cui, come direbbe Barbero, le persone fanno carne delle proprie vittime presi dall'isteria di massa, giusta menzione va fatta anche alla colonna sonora di Anne Dudley spazia dalla sacralità dei cori religiosi all'evocatività di composizioni efficaci. In pratica questo film è l'ennesima conferma di come Paul Verhoeven non venga mai meno al suo cinema, non cedendo alle mere scelte/compromessi politicamente corretti di tanti giovani registi che sono venuti dopo la sua ascesa nel cinema europeo e americano.